Achille Castiglioni

Achille Castiglioni by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved

NOTA – Questo articolo è stato pubblicato la prima volta il 30 maggio 2014.

Achille Castiglioni… mi era impossibile dargli del tu.
16 febbraio 1992, Milano piazza Castello civico 27, primo pomeriggio tarda mattinata.
Non ricordo.
Comunque nel suo studio per andare insieme in Cassina e fare il punto sull’Hilly, ultimo progetto giusto in tempo per il Salone Internazionale del Mobile.
E mentre son lì scopro due cose: che è il suo 74° compleanno e che non si va a Meda io che guido la mia macchina, bensì lui che guida il suo Espace.
E proprio non c’è discussione.
Quindi la mia condizione è la seguente: il giorno del compleanno di Achille Castiglioni sono seduto al suo fianco mentre guida direzione Cassina.
E mi dice: Raimondi… però dammi del tu eh! Stiamo lavorando insieme.
Ecco… dopo due tu faticosi ho ripreso col lei e non ho mai cambiato pronome.
Mai.

Una misura esiste. E tutto il mondo riconosceva la sua.
Io ero un pischello. Mi ero affacciato nove anni prima.
Che poi, ma perché ero lì?
Ci penso adesso…
Cioè, perché Achille Castiglioni voleva che ci fossi anch’io a quel summit?
Non sammit, proprio un summit…
Vero che dovevo fotografare da lì a qualche giorno, però boh…
Azzardo ora un’ipotesi: apparteneva a una generazione di gente speciale, abituata al confronto con chiunque componesse l’équipe di lavoro.
E se eri lì dentro non c’erano gradi da far valere. C’era ciò che mettevi sul piatto.
E in che modo.
Perché anche il modo conta.
Questo lui… Io invece gradi e pesi li avevo ben presenti e sapevo perfettamente su cosa e con chi mi confrontavo.
Quindi calma, misura, ascolto. E una dose di azzardo sostenuta da una ingenuità consapevole: in fondo se ero lì una ragione c’era e non era importante che perdessi tempo a cercarla.

Io non posso dire nulla, proprio niente del genio di Achille Castiglioni.
Posso solo raccontare del privilegio che ho avuto.
C’è qualcuno ancora in grado di capire?
Apparentemente una faccenda solo personale. Non è vero.
Chi capisce, bene.
Chi no amen. Da un incontro così si impara molto. Anche se stai fermo a guardare.
Per circa tre mesi ci siamo visti e rivisti.
Nel suo studio, nel mio e al Superstudio, dove ho scattato.
A lavoro ultimato gli ho chiesto di ritrarlo. E si è prestato.
Nel suo studio, spalle al gigantesco specchio a 45°… che la prima volta momenti cerco di oltrepassarlo – secondo me era usato anche come test per gli ospiti.
Luce ambiente e banco ottico.
Luce scarsa per un formato 10/12. Allora monto comunque un flash che mi serve da supporto del bank 90/120 per spalmare la sola luce pilota; rifletto uleriormente su un pannello sospeso e accendo un paio di lampade presenti in studio: volevo una luce continua.
Più lunga, più morbida, più calda – anche nel b/n c’è differenza – pronto anche a un micromosso. Che ci poteva benissimo stare.
E infatti c’è.

E davanti ho proprio la faccia di un meraviglioso milanese.
Che diversa non può essere.
Milano, quella istituzionale, dovrebbe sempre ricordarsi di avere un debito nei confronti di queste facce qui.
Io volevo solo un souvenir per me.
Ed è l’unica cosa che ho chiesto a Achille Castiglioni.
Perché invece rotolino me l’ha regalato lui, direttamente con dedica durante un incontro, così, per suo piacere.
Ero decisamente commosso…

Achille Castiglioni, dedicated to Efrem RaimondiNel corso degli anni mi bastava girare la testa, a sinistra della mia postazione computer, per vederlo quel rotolo.  E ogni tanto pensavo che il giorno dopo avrei telefonato in studio e sarei andato a trovarlo.
Non l’ho mai fatto.
Le urgenze, soprattutto quelle emotive, non andrebbero mai rimandate.
Ci sono passato invece fugacemente l’anno scorso durante il Salone, perché sede di un evento. Ripromettendomi di tornare con calma.
E sono tornato. Adesso.
E mi sono immerso.

Studio Museo Achille Castiglioni, ma l’atmosfera è la stessa, e da un momento all’altro sarebbe sbucato l’architetto.
Come l’ha lasciato lui… come se fosse andato a prendere un caffè e a minuti torna.
Così mi dice Giovanna Castiglioni, sua figlia.
Che cura  e gestisce insieme a Antonella Gornati – che ricordavo bene perché collaboratrice dell’architetto.
E mentre Giovanna mi guida nel tour di questo meraviglioso luogo, sacro per me, certi ricordi mi tornano nitidi.
Su tutti la faccia, il sorriso, il suo intercalare.
La sua ironia accentata di paradosso: Chi sbaglia fa giusto.
A un certo punto chiedo a Giovanna se le va di posare con rotolino steso, il mio rotolo… acconsente a patto che non si veda il viso.
Non so perché.
Ma nello specifico iconografico la sua è stata un’intuizione che ho immediatamente condiviso.

Giovanna Castiglioni by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedE il tour è sorprendente in ogni angolo: qui c’è storia, qui sono state scritte tra le più importanti pagine di design.
Rivedo i quattro parallelepipedi di vetro con dentro di tutto… che quando li vidi la prima volta rimasi sconvolto: c’era la Ferrania che mi regalò mio padre quand’ero bambino, formato 120… mica sapevo che l’avesse disegnata lui. Come anche il Rocket, proiettore per diapositive. Così come un sacco di altra roba.
Tutta lì dentro.
E poi scaffali e zone d’archivio Senza saperlo è stato un grande archivista.

Secondo me non buttava via niente. Col retropensiero di trovare sempre il riciclo.
E vai e giri… e appunti, disegni, modelli, stampi… il suo tecnigrafo, il suo design e le sue cose.

FONDAZIONE ACHILLE CASTIGLIONI by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedC’è anche la brochure dell’Hilly, coi modelli. La sua sagoma, chino che guarda.
Non me l’aspettavo.
Rimbalzo indietro di 22 anni. Come vi sentireste?
La vedo ancora la sua faccia…
Perché è così, si incontrano certe rare persone e talvolta si ha una fortuna dialettica, quella che ti consente di interagire con loro. Ed è un tempo da tesaurizzare.

Visitare questo spazio è formativo. Ascoltarlo, respirarlo è formativo.
Ed è possibile, basta prendere un appuntamento per una visita guidata, questo il link, qui c’è tutto:
http://fondazioneachillecastiglioni.it/visite/

Un luogo dinamico, un luogo dove si fa progettazione al fine di restituire tutto il percorso progettuale di mio padre. Le esatte parole di Giovanna.
Più che guidata, per alcuni dovrebbe essere una visita obbligata.
Per tutti un vero, grande piacere.

Raimondi
Mi avesse chiamato una volta per nome, forse nella singola circostanza sarei riuscito a dare del tu a Achille Castiglioni.

FONDAZIONE ACHILLE CASTIGLIONI by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Il lavoro per l’Hilly, marzo 1992, l’ho realizzato con la Toyo 45G e con un film Ektachrome EPY 10/12… una pellicola tarata per luce al tungsteno. Kodachrome a parte, credo sia stata la più bella slidecolor mai prodotta. Che esponevo a 50 iso.
Pubblico solo due immagini.
Mentre non trovo l’originale esposta in Triennale nel 2008 per la mostra Made in Cassina.
Ma so che c’è. E la troverò.

HILLY, Achille Castiglioni - Cassina by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedHILLY, Achille Castiglioni - Cassina by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedAchille Castiglioni, questa faccia qui…

Achille Castiglioni by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Portfolio – Lettura – PSPF

Portfolio. E lettura.
Chi pensa che il portfolio non serva, si sbaglia.
Un errore indotto dalla confusione, dall’ignoranza, dalla malafede e dal fatto che in genere chi lo sostiene non ne ha bisogno, quindi spaccia convenienze relative per verità assolute.

Il portfolio non è altro che uno strumento di lavoro.
E ha caratteristiche proprie.

Costruito per la presentazione di un singolo percorso, che diffusamente viene denominato progetto – mi viene sempre il prurito tanto è inflazionato il termine – è una cosa.
Se invece il percorso sei tu, quindi si presume una realtà più complessa che col circostante e la sua rappresentazione si relaziona trasversalmente, la questione è altra.

Entrambi i portfolii devono essere in grado di esprimersi in tua vece.

Lettura: serve eccome! Solo dipende dal lettore e dal suo grado di alfabetizzazione.
Nonché la mira che ti riguarda, cioè dove vuoi andare a parare: a cosa ti serve far leggere il tuo portfolio? Quale lo scopo?
Che destinazione ti prefiggi?

Personalmente mi fiderei solo di alcuni e non di altri…
Il distinguo, piaccia o no, lo fa il curriculum.
E qui si apre un capitolo ampio che evito.

Comunque per chi ha voglia, sfogliando il blog, di roba ne trova.

Quando Antonello Turchetti e io ne abbiamo parlato, si è convenuto che un tempo idoneo fosse di quaranta minuti.
C’è chi legge meravigliosamente in venti, io no.

In linea di massima potrebbero bastarne cinque di minuti, che è lo standard quando non c’è alcuna necessità dialettica.
Cioè quando si tratta di decidere se dare un assignment o no.

Quindi un altro spazio, che è quello al quale bisognerebbe aspirare.
Ma non è questo il luogo: qui al PSPF, la dialettica è propedeutica.
A cosa, lo scopriremo insieme.

Tre lettrici: Sara Emma Cervo, Teodora Malavenda, Emanuela Mirabelli. E il sottoscritto.
10 e 11 marzo, durante il Perugia Social Photo Fest.

Qui tutte le informazioni.

Vi aspettiamo.

Nel mio caso, lo dico subito, è possibile assistere.

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Che donna cerchi?

Maria Cabrera by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedMaria Cabrera, 1988 – Dolce&Gabbana © Efrem Raimondi

Che donna cerchi?
Non solo una questione fotografica, o artistica in genere…

Che donna cerchi?
Certo poi, quando la mostri, quando assume una forma soprattutto fotografica,
so perfettamente che idea ne hai – della donna dico, che tu chiami musa.

Non ho nulla contro l’idealizzazione.
Anzi, essendo la rappresentazione di una condizione intima mi interessa molto la traduzione iconica.
E siccome per essere davvero espressione non c’è casualità né può singhiozzare,
ci si aspetta un percorso, una coerenza dell’autore chiunque sia.
Questo, e non altro, diventa l’indice.
A volte il dramma…

Che donna cerchi?
Perché la fotografi?
Quanti anni ha la tua donna ideale?

La mia non ha età. E si misura con sé stessa.
Entrambi i fattori credo siano l’origine della divergenza tra il concetto di idealizzazione, cioè rappresentazione, e
standardizzazione, cioè creazione di un prodotto prêt-à-porter.
Che è l’origine dei guai di alcuni – molti – magazine femminili, ostinati in quello che mi sembra uno stato confusionale.
E anche di molta comunicazione.
Entrambi i media confortano la deriva misogina.
Che però chiamano seduzione.

Il risultato è spalmato ovunque.
Trasversalmente da lassù fino al cosiddetto photographer modalità social.
Complimenti.

Ma che razza di donna avete in testa?
Avete mai pensato seriamente che una fotografia racconta una relazione?
E posto che il soggetto è l’autore – almeno per quel che mi riguarda – traete le conseguenze da ciò che vedete.
Questo sempre.

Io cerco te è un articolo che ho qui pubblicato nel 2016.

L’ho aggiornato con altre immagini.
Donne che ho ritratto come le vedevo.
Senza idealizzare un bel niente.
Ma, credo, con una chiara idea, la stessa sempre: tu che mi stai davanti.
Chiunque tu sia per la vita che vedo.
E la vedo.

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