Luce ambiente – Una pura formalità, 3

Vanessa Beecroft by Efrem Raimondi

La luce ambiente è quella che trovi, non la porti da casa…
Ci sono due modi per affrontarla: o usarla, che quasi non la noti o restituirla come fosse il soggetto, e allora la puoi toccare.
E sono due percorsi diversi.
Ambiente: che non è detto coincida con quella naturale.
Ambiente: inclusa l’incandescente giallognola bandita qualche anno fa. Però io ne ho una scorta, tutta in memoria.
Ambiente: quella dei lampioni di notte… quella del sole filtrata dalla finestra e schiantata s’una parete blu. Rossa. Bianca…
Ambiente: quella fredda del mattino. Calda la sera.
Ambiente: quella che la nebbia ti rimbalza in faccia e anche tu chissà dove sei.
Naturale: per definizione quella del giorno. Rigorosamente tarata a 5.500 gradi Kelvin, rigorosamente a mezzogiorno, rigorosamente col sole.
E se piove? E se nevica? E con la luna?
È solo una convenzione, mettiamola così: Naturale è la luce prodotta dal giorno che c’è, in assenza di qualsiasi luce artificiale, messa emotivamente in relazione con l’esterno qualsiasi esso sia.
Ambiente è la luce che determina, marca lo spazio nel quale ci troviamo, sia esso interno o esterno. E riguarda anche la notte che c’è, anche se addobbata a Natale.
Me ne frego delle convenzioni, e così per comodità etichetto tutto come luce ambiente. Cioè tutta la luce che non importiamo artificiosamente. Fosse anche una pila. Tantomeno la luce flash.
Perché poi, Naturale definisce un punto tecnico, mentre Ambiente una realtà promiscua.
E perciò più corrispondente alla condizione fotografica.

La prima luce con la quale ci siamo misurati tutti.
Perché subito riconoscibile; perché comoda; perché non impegna.
Perché non ci si pensa.
Perché non si vede.
Perché non disponiamo di un’alternativa.
Ne siamo in balìa…
Semplicemente non la guardiamo in faccia e le rifiutiamo un’identità.
La trattiamo un tanto al chilo: più è meglio è. Sbagliato.
Poi ti fermi e ti metti a guardarla. Così ti accorgi che una dialettica è possiibile e modulandola, la luce ti asseconda. Una generosità inaspettata.
Tutto ciò in ripresa, non dopo: dopo quando?
La fotografia è adesso, dopo è un altro tempo nel quale barare per dare forma a delle fotografie che fotografia magari non sono.
Adesso è il tempo che ci riguarda.
Per cui in primis, guardare la luce. Che in fotografia è il mezzo dominante. E determinante.
Diffusa e morbida, direzionata e contrastata, in ombra portata o scoperta. E il colore? E il bianco e nero?
Sono tutte domande che non hanno una rispota. Ne hanno varie.

Esiste una luce K, che è il coefficiente teorico della perfetta esposizione: quella esatta per impressionare il supporto che ti pare.
Ancora una quantità… viviamo in un mondo quantitativo. Non mi piace.
Qui però non possiamo fregarcene, ma solo polemizzando con l’idea di perfezione otteniamo l’esposizione che ci riguarda.
La luce ambiente si manifesta. E noi ne vediamo un’altra: quella che ci appartiene.
Questa è la nostra fotografia.
Vale per tutto, mica è una questione di genere.
E vale soprattutto per il ritratto.
Dove modulare la luce ambiente determina la cifra primaria.
Che se fosse un controluce? Un mosso piuttosto che un blocco di granito?
La luce che ci è data è una. La sua lettura ne determina altre.
E restituisce una gamma di volti e anche di espressioni.
La luce che ci è data è sempre una… che l’occhio registra come una soluzione, mentre fotograficamente è un composto. Spalmata in uno spazio più ampio di quello che il nostro occhio percepisce col suo angolo di campo di circa 50 – 60°, e che per convenzione ottica viene approssimato al cosiddetto obiettivo normale, cioè il 50  “Leica”, che in realtà è un filo più stretto.
Come se non bastasse, l’occhio rileva molte più informazioni al centro del campo visivo… E la periferia, che fine fa?
È semplicissimo: se usiamo un grandangolo abbiamo più luce ambiente di quanta ne avremmo con un tele.
E si può pensare che non influisca sul nostro ritratto?

Le immagini che pubblico sono solo esemplificative dell’uso che faccio della luce ambiente. L’unico artificio che mi concedo, quando ritengo, è un Lastolite circolare riflesso in bianco.
Tutto qui.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Adriana Zarri by Efrem Raimondi

Adriana Zarri, 1984. PM mag. Color Slide 35 mm

Subsonica by Efrem RaimondiSubsonica, 2005. Lo Specchio della Stampa mag. Negativo 35 mm

Valentino Rossi by Efrem RaimondiValentino Rossi, 2001. GQ mag. Negativo 4,5/6

Francesco Bonami by Efrem RaimondiFrancesco Bonami, 2002. Gentleman mag. Negativo 35 mm

Pia Tuccitto by Efrem RaimondiPia, 2007. Album Cover Urlo. Negativo 6/7

Vanessa Beecroft by Efrem Raimondi

Vanessa Beecroft, 2011. Work. Digitale medio formato.

Giorgio Armani by Efrem Raimondi

Giorgio Armani, 2001. NOVA mag. Polaroid 600 BW con Polaroid 690 slr camera

Claude, my brother by Efrem RaimondiClaude – my brother, 1997. Work. Polaroid 600 BW con Polaroid SX-70 camera

Laure by Efrem RaimondiLaure, 1998. Work. Polaroid 600 BW con Polaroid SX-70 camera

Laura and Me by Efrem Raimondi

Laura and Me, 1997. Work. Polaroid 600 con Polaroid 690 slr camera

Annarita and Me by Efrem RaimondiAnnarita and Me, 2013 Work. iPhone Photography

Giorgio Faletti by Efrem RaimondiGiorgio Faletti, 2004. Baldini Castoldi Dalai editore. Negativo 4,5/6

Gillo Dorfles by Efrem RaimondiGillo Dorfles il giorno del suo 104° compleanno, 2014. INTERNI mag. Digitale full frame

Giovanni Bussei by Efrem Raimondi

Giovanni Bussei, 2000. GQ mag. Negativo 4,5/6

Vasco Rossi by Efrem Raimondi

Vasco Rossi, 2000. Campagna stampa Stupido Hotel album. Negativo 4,5/6

Tom Dixon by Efrem Raimondi

Tom Dixon, 2013. INTERNI mag. iPhone Photography

Giovanni Levanti by Efrem Raimondi

Giovanni Levanti, 2014. Istituzionale. Digitale medio formato

Laura Maggi by Efrem Raimondi

Laura Maggi, 2012. Playboy mag. Digitale medio formato

Sconosciuta by Efrem Raimondi

Sconosciuta, 2014. Work. iPhone Photography

Silvana Annichiarico by Efrem Raimondi

Silvana Annicchiarico, 2012. Ladies mag. Digitale medio formato

David Chipperfield by Efrem Raimondi

David Chipperfield, 2014. Grazia Casa mag. Digitale full frame

Laura by Efrem Raimondi

Laura, 2013. Work. iPhone Photography

Annarita by Efrem Raimondi

Annarita, 1995. Work. Polaroid 55. Banco ottico

Cat Power by Efrem Raimondi

Cat Power, 2012. Rolling Stone mag. Digitale medio formato

Zinedine Zidane by Efrem Raimondi

Zinedine Zidane, 2000. GQ mag. Negativo 4,5/6

Boys by Efrem Raimondi

Terremoto Irpinia, 1980. Reportage. Color slide 35 mm

Fuorisalone by Efrem Raimondi

Fuorisalone, 2013. INTERNI mag. iPhone Photography

Fuorisalone by Efrem Raimondi

Fuorisalone, 2013. INTERNI mag. iPhone Photography.

Luce ambiente by Efrem Raimondi

Luce ambiente, 2014. Work. Digitale full Frame

©Efrem Raimondi – All Rights Reserved

#stop1here

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Una luce una camera


L’ultima volta che ho fotografato della biancheria da letto è stato vent’anni fa o giù di lì.
Me ne sono ricordato quando mi ha telefonato Carolina Trabattoni, stylist di Grazia Casa chiedendomi se poteva essere nelle mie corde.
Tutto è nelle mie corde… sono un fotografo, e qualsiasi cosa, persone incluse, è un ottimo pretesto per elaborare il mio rapporto con il visibile. Se invisibile meglio.
Ma poi era interessante il soggetto: una camera d’albergo e un letto senza testata, nel senso che ciò che si spaccia come tale è in realtà un trompe l’œil.
E poi l’assenza umana…
E una sola presenza. La luce. Che tutto può cambiare.

Efrem Raimondi per Grazia CasaEfrem Raimondi per Grazia Casa

Vero, sono essenzialmente un ritrattista.
Essenzialmente…
Ma cosa ci impedisce di fotografare altro?
E poi per me tutto è ritratto, al di là dei generi imposti.
Perché lo sguardo non è limitabile e la fotografia è tutto, le fotografie solo un pretesto.
Mi vengono in mente le parole di Ghirri: …mi sembrava assurdo che un fotografo potesse fare solo fotoreportage e non riuscisse a fotografare una cattedrale o l’interno di una casa, o elaborare un rapporto minimamente più approfondito con il visibile…
L’ho sempre pensata esattamente così.
La riduzione a genere è solo la semplificazione per gli addetti ai lavori al fine di capirci qualcosa, visto che non fotografano.

Oltre alle due doppie pagine, pubblico anche le immagini originali: semplicemente perché mi fa piacere farlo.

Efrem Raimondi per Grazia Casa

Efrem Raimondi per Grazia CasaEfrem Raimondi per Grazia CasaEfrem Raimondi per Grazia Casa

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Questo lavoro è stato realizzato negli ambienti di Secondo Pensiero, B&B di grande charme, in corso Magenta a Milano: un giorno ci torno a fargli un ritratto.

Stylist: Carolina Trabattoni.
Assistente fotografia: Nicole Marnati.
Fotocamera,  Hasselblad H3D II-39 con 50/3,5
Flash, Profoto.

La testata è uno sticker trompe l’œil di Christophe Koziel, galleria Rossana Orlandi.
Biancheria e oggetti: Fazzini, Alessandro di Marco, Rossana Orlandi, Haik di Emilio Nanni per Laboratorio Pesaro, Zucchi Collection of Antique Handblocks, Pratesi, Flute di Roberto Barbieri per Poliform, I Ricchi Poveri Toto di Ingo Maurer, Frette, La Fabbrica del Lino, Cheese di Paola Navone per Poliform, Juliette di Carlo Colombo per Penta, Roberta Licini per Colé Gallery, Gabel, IC Lights T di Michael Anastassiades per Flos.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Il Cielo che c’è

 

C’è sempre più cielo di quello che vedi.
E se anche sei abituato al tuo, ritagliato con geometrica precisione sulla testa, ce n’è un altro a un millimetro.
Ed è lo stesso di quello d’Australia.
Il cielo non ha confini… varia la propria rappresentazione a seconda di dove si trova… senza mai perdere la propria identità.
Quasi fosse una divinità.
Questo cielo non è di nessuno.
Impalpabile… incolmabile… inguardabile.
Se chiudi gli occhi lo puoi sentire.
Poi…
Poi c’è il cielo che c’è.
Quello che appartiene al tuo sguardo.
E questo è solo tuo.
Un cielo che puoi usare come fosse un fondale, come un contenitore, come spazio umorale cangiante.
Come voliera di un aquilone senza più filo, senza più un polso che lo trattiene.
Ma che fine fanno gli aquiloni che scappano?

E poi c’è il mio cielo di Milano.
Che adesso vedo anche da lontano.
Non è lo stesso delle nebbie infantili e del Duomo nero, quando proprio il cielo non c’era.
Sto camminando e me lo godo.
Vedo cavi che lo tirano da tutte le parti, e croci d’acciaio: un groviglio che non so descrivere.
Ma che so fotografare.
Una fotografia. Una sola. A me basta.
Parafrasando Hrabal, c’è più cielo negli occhi di un topolino che sopra le nostre teste.

Buon anno! Che sia sereno.
J’embrasse fort les amis parisiens…

Efrem Raimondi Photography © All rights reserved.

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SEI QUELLO CHE LEGGI

Editoria periodica…
Punto 8: Sei quello che leggi.
E che fai, mi viene da aggiungere.
Dedico questo articolo di Christian Rocca pubblicato su Il Sole 24 ORE e questo post lampo che l’accompagna, all’ottimismo e al talento.
Io punto su questi:

24ore

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