Portandomi dietro due fotocamere

Sono giornate così, sostanzialmente in rete.
E non c’è nulla di virtuale.

Due interventi due. Diversi.
Per Maledetti Fotografi, magazine fondato da Enrico Ratto.
Solo audio, due minuti: Quella volta che tutto è cambiato.
Che per me sono state due. Più una terza, forse, che ci riguarda tutti.

Per AFIP International nella rubrica ESERCIZI PER FOTOGRAFI IN PANTOFOLE.
Io no pantofole. Non fosse altro che per un fatto estetico.
Una chiacchierata con Giuseppe Biancofiore, una diretta sul canale Instagram di AFIP, un’ora e un quarto.
Non avevo mai fatto una diretta. Mi ha fatto molto piacere.
Per la prossima a chissà quando. Non vedo l’urgenza: le cose che avevo da dire nella circostanza, le ho dette qui.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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8 thoughts on “Portandomi dietro due fotocamere

  1. Buonasera Efrem. C’è stato un momento in cui lei ha detto che la fotografia è adesso (per lei), e quando si scatta, in una certa situazione o in quel contesto, ciò che accade lo si vede solo se si ha avuto la capacità di dare o meno forma a qualcosa che non è visibile in quel momento ” quindi passare da ciò che non è visibile a qualcosa di visibile. ( mi dica se mi sfugge qualcosa). Ecco, volevo chiederle se può non tanto riformulare ciò che ha detto, ma approfondire questo punto, che mi sembra ambiguo.. Cioè mi chiedo questo invisibile è quello che io in quel momento sto cercando e devo essere capace di saperlo comunicare agli altri quando guardano poi la foto? È più personale? Non so, ho la mente offuscata a riguardo…

    • buonasera Sara. andavano un po’ sviluppati i due concetti in effetti. per ordine: la fotografia è adesso cioè quando la si sta facendo. proprio materialmente. ed è l’unico momento di relazione concreta. non è prima, non è dopo.
      entrambi altri luoghi. anche imporatnti intendiamoci, magari per riflettere su ciò che si è fatto o che si farà. ma quando si sta fotografando, si fotografi. una sorta di ridimensionamento del pensiero a favore dell’atto. del fare.
      e perché accada occore una consapevolezza robusta. quella che permette anche di decidere di non scattare. in buona sostanza ci sono tempi diversi. quindi, anche un po’ provocatoriamente sottolineo quel momento temporale, fisico, lì.
      seconda questione: la fotografia si occupa dell’invisibile. di qualcosa che senza la nostra visione fotograficamente non esiste. nostro è il percorso di rendere visibile la nostra visione.
      e siamo in grado di intercettare solo ciò che ci riguarda. che ci appartiene. quanto più riduciamo la distanza tra quell’invisibile lì, quell’intenzione, e ciò che realmente produciamo fa la concreta differenza.
      spero di essermi spiegato decentemente. o no?

  2. Viste/ascoltate entrambe.
    Superfluo dire che mi sono piaciute? Non credo. Anche io non ci ho trovato nulla di virtuale, sei tu, come dici tu “con una faccia sola”. E dici tantissimo, e mentre dici scavi e metti semi in chi ti ascolta. Tutto bello, non è superfluo dirlo.
    p.s. uno dei miei todo cambia è stato il giorno che ho visto la foto di tuo padre. Credo tu lo sappia.

      • Perché vorrei aver avuto quella lucidità e quella necessità, anche una piccolissima parte delle tue, tanto tempo fa. Ma allora non sapevo… e del resto parlare delle foto che non ho fatto è un dolore inutile. Facciamo oggi del nostro bisogno lingua e linguaggio anche fotografici. Proviamoci. (le esortazioni sono rivolte a me )

  3. Come sempre ascoltarti è illuminante perché nonostante io abbia avuto la fortuna di vederti diverse volte mentre parli rifletto, vago nei miei pensieri a volte mi perdo nei confronti e ogni tanto perdo qualcosa.
    Anche questo è istruttivo.
    È sempre sempre un grande piacere.
    Ps
    Io la regola dei tre gattini la farei ufficiale.

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