Dovunque ti giri è pieno: corsi e workshop a tutto spiano.
Offerti da chiunque: dalla bottega alle scuole.
Con un impegno didattico variabile: dal weekend al biennio/triennio di classica impostazione accademica.
E con una esposizione economica che rimbalza dal centinaio di euro fino a un tot di migliaia.
Tutto ciò in un paese che non ha una sola università dedicata alla fotografia con un piano quinquennale.
Magari di anni ne bastano tre… magari due. Ma per far cosa?
Cioè, a fronte di una grande domanda, terribilmente obliqua, che offerta propone il mercato didattico? E per quale sbocco che tranne rare eccezioni il livello di uscita è imbarazzante.
Mi è capitato casualmente di imbattermi in due studentesse, “laureande” in fotografia presso una prestigiosa istituzione accademica. Erano prossime alla tesi, ed erano molto confuse.
Il materiale che avevano era il prodotto di un progetto ideato e realizzato coi propri fondi all’estero. Anche interessante, ma messo lì così non significava niente. In più tecnicamente era lacunoso.
E non ci si esprime come si vorrebbe affidandosi alla precarietà grammaticale.
Siamo ripartiti dall’intento. Siamo ripartiti dal soggetto. Siamo ripartiti dai raw… siamo ripartiti da tutto. Un percorso durato oltre due mesi a causa del singhiozzo, il mio, derivato dal mio lavoro primario, che è fare fotografia. Col quale ci pago la vita e le tasse.
E dove diamine era il loro relatore? Ho chiesto a proposito… se lo chiedevano anche loro. Li pagano poco??? Alcuni certamente, altri fin troppo!
Non sto a menarla sul piano morale e sull’etica dell’insegnamento, a qualsiasi livello, ma qualcuno mi dica sulla base di cosa lo sconto è effettuato sulla pelle degli studenti.
Ho insegnato sporadicamente da qualche parte, e tra l’altro mi è anche piaciuto. E magari lo rifarei. Con lo stesso entusiasmo di quando tiravo calci al pallone: se non ti va di giocare, stai a casa!
Se non ti soddisfano le regole e sei un genio incompreso, o hai la forza di cambiarle o cambi tu indirizzo. I ragazzi non c’entrano niente. E pagano di persona. Le conseguenze poi, sono per tutti.
Insegnare fotografia? La scuola è fondamentale. Il corpo docente che la compone ne è la spina dorsale: qual è il criterio di designazione di una cattedra? Quale il percorso che ti permette di mettere una targa s’un muro e distribuire diplomi?
Ho davanti un programma importante di un corso importante.
Il cui obiettivo è di formare un artista/fotografo, una figura in grado di confrontarsi con ambiti vari del mercato della fotografia: bene… cerco i docenti. Non li trovo. M’impegno a fondo e trovo una listina, una robetta misera nel numero: di questi ne conosco uno.
Che ha tentato in tutti i modi di fare fotografia. Ma di questa sua ostinazione non c’è traccia neanche su Google.
E mentre un tempo le cattedre erano appannaggio di artisti e docenti di chiara fama, con tanto di opere e curriculum, adesso il dato più significativo che scopro su uno di questi curriculum è ”non fumatore”.
A scendere immaginiamoci un po’! Tra agenzie e corsi finanziati dalla regione o dai comuni, tra botteghe e circoli vari: sulla base di cosa, di quali conoscenze e capacità didattiche, con che titolo e curriculum si imbandisce la tavola?
E chi partecipa, ma cosa si aspetta? Di uscirne in tre mesi con in mano cosa?
Mi arrivano da più parti richieste di workshop: non servono a un cazzo. Ne ho tenuti, è così che me ne sono convinto.
Ed è per questo che invece ne sto mettendo a punto uno mirato a una sola roba, precisa precisa: il ritratto e la coscienza di sé.
Sono anni che parlo di autoritratto. Sono anni che ritraggo gli altri così. Trovo che sia il momento di raccontare bene una cosa.
Se lo specchio non è piazzato in un limbo etereo, magari ci si accorge anche dell’altro che si riflette.
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