INTERNI magazine – Aprile 2018

Efrem Raimondi per INTERNI mag - Aprile 2018INTERNI magazine, aprile 2018. Cioè adesso.
House in motion è il tema di questo Fuorisalone 2018.
Il soggetto è sì l’abitare, ma anche la mobilità.
Quindi il movimento, il cambiamento, il divenire.
Pensandoci, la mobilità non è solo una relazione geografica, di luoghi insomma.
Ma anche di tempo… la nostra relazione col tempo.
Che ha una dinamica immediatamente percepibile e il suo andamento, il suo scorrere, ci viaggia addosso.
E cambiamo.
Come?
Questo è il percorso di questo redazionale.

Da ventisette a ottant’anni.
Ed è anche un po’ ironico, mica da prendere alla lettera cronometro in mano: una donna, una sola, Alessia di ventisette anni.
E poi Alessia di quaranta.
Di sessanta e di ottanta.
Al tempo ci ha pensato il makeup di Nancy Gallardo.

Come essere sempre sullo stesso palcoscenico. Il proprio.
Davanti a uno specchio che muta.
Così prendi la fotocamera e usi il suo tempo: un duecentocinquantesimo di secondo per fermare il tuo, e tutto il palcoscenico.

© Efrem Raimondi – All Rights Reserved

Efrem Raimondi per INTERNI mag - Aprile 2018Efrem Raimondi per INTERNI mag - Aprile 2018Efrem Raimondi per INTERNI mag - Aprile 2018

Efrem Raimondi per INTERNI mag - Aprile 2018Okome sofa by Nendo per Alias,
Clizia Bttery by Adriano Rachele per Slamp.

AIKU soft by Jean Marie Massaud per MDF Italia,
Next23 by Deanna Comellini per G.T.Design.

Era Settee by David Lopez Quincoces per Living Divani,
Klip by Michela e Paolo Baldessari per Modoluce.

Hangar by Gino Carollo per Calligaris,
Kiki by Alvar Aalto (1960) per Artek.

Astrum by Antonio Citterio per Maxalto,
Taiky by Chiara Andreatti per Lema.

Nesting by Roman & Erwan Bouroullec per Glas Italia,
èS ideato e prodotto da Design R&D Twils.

Brioni by LucidiPevere per Kristalia,
Ribot by Marc Sadler per Ethimo.

Toro by Michael Geldmacher per B-Line,
Emi by Arter&Citton per Scab Design,
Domino by Marco Acerbis per Talenti.

Modella: Alessia Falcini.
Prestatasi per la circostanza.
In realtà una giovane architetto.
Chi preferisce, architetta.

Stylist: Nadia Lionello.
MUA: Nancy Gallardo.
Assistente fotografia: Nicole Marnati.
Studio: M8STUDIOS.
Backstage Video: © Tommaso Gorani.

All Rights Reserved

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IL FOTOGRAFO – IN CHIARO

IL FOTOGRAFO, novembre 2017.
Pubblico in chiaro l’editoriale che ho firmato. Adesso è possibile.
Per chi l’ha perso.
E per chi non ci ha pensato a suo tempo.

Ma magari…
Una breve riflessione il cui oggetto sono quei tre/quattro punti che penso siano al centro del produrre fotografia.
Comunque la si declini.

Denis Curti mi ha fatto notare che questo è l’editoriale che ha inaugurato la serie di quelli firmati da altri, cioè da chi ha un rapporto diretto con la fotografia, fotografi e non.
L’ultimo di Renata Ferri, molto piacevole.

E mi ha fatto anche notare che ho firmato la prima copertina della sua direzione, marzo 2015.

IL FOTOGRAFO - Cover: Efrem Raimondi Un caso.
Però mi piace pensare che non lo sia.

E adesso il testo, l’editoriale in chiaro.
IL FOTOGRAFO - Editoriale novembre 2017Non so perché son qui.
Ma non inseguo spiegazioni. Mai.

Esattamente come quando fotografo, che è un tempo contato, circoscritto al presente di una visione e alla sua trasformazione in qualcosa che è altro e che solo tu puoi rendere visibile.
Come avviene è il vero differenziale che ci riguarda.
Coincide o meno con ciò che avremmo voluto produrre?

Ex novo.
Due punti: uno, la fotografia non si preleva. Si fa. Prima di te quel perimetro non c’era.
Due, la fotografia si occupa dell’invisibile.
Di quello stato in cui qualsiasi cosa è realmente percepibile ma non ancora espressa nella forma che definisce noi, ognuno, agli altri che stanno a guardare.
Questo è ciò che fa la Fotografia: trasforma la percezione in forma.
Che per quello che mi riguarda coincide col contenuto.
E con me.
Con noi.

Questo l’auspicio.
Non serve sforzarsi… la percezione è una questione personale.
Intima.
E intercettiamo solo ciò che ci riguarda.
La fotografia la rende pubblica.
Fosse anche una figura umana, soprattutto un ritratto. Sul quale i cliché si sprecano.
Va be’, après.

Per rendere visibile ciò che non lo è, per rendere esportabile e finalmente leggibile ciò che davvero ti riguarda – qualsiasi cosa – occorre mirare bene.
Col massimo della precisione a disposizione. Nel caso incrementarla.
E la conoscenza tecnica è fondamentale.
Una questione grammaticale…
Chi sostiene il contrario, o ignora e se ne bea o è un demagogo.
Non so chi sia peggio.
Ma a noi che ci frega? Continuiamo per la nostra strada.
Un percorso dinamico, dialettico, che sia in grado di sostituirci.

Un colpo al cerchio e nessuno alla botte.
Siamo ciò che iconograficamente esprimiamo. Senza se e senza ma.
Con qualche dubbio a corredo. Che è utile.
Quindi la precisione è importante.
Le regole, vituperate/esaltate…
Quattro in tutto quelle che servono.
E una manciata di tempo per capirne la logica.
Poi sta a te usarle. Manipolarle. Asservirle.
Imparare a dimenticartene.
E tra queste non c’è quella dei terzi. Della quale francamente ignoravo l’esistenza fino al 2010, quando ho aperto il mio account Facebook.
Scoprendo che c’era chi ammazzava per lei.
E ignorava tutto il resto.
Una, fondamentale: l’esposizione.
Bella al centro.
La sua modulazione crea l’immagine.
Quindi non serve scannarsi in periferia, ma puntare al centro con consapevolezza e umiltà.
Dichiarare la propria visione del mondo, fotografia dopo fotografia.
Coerentemente.
Trasversalmente, aggiungo.
Se possiedi un linguaggio, è questo che fai.
Ed è semplice.

Pinzolo, agosto 2017.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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SPAZIOFF, la mostra – Backstage

SPAZIOFF - PSPF 2018 - Efrem Raimondi BlogElisa Biagi al lavoro fotografata da Tiziana Nanni.

SPAZIOFF: l’allestimento, l’opening, la mostra…
E io zeppo di cortisone e antibiotico. Che giustamente chi se ne frega, però ero uno straccio.
Per fortuna c’è stata una grande condivisione, anche operativa, tra tutti i protagonisti, le autrici in primis.
Così me la sono cavata anch’io.

Lo dico senza alcuna presunzione… però lo dico: una gran bella mostra.
E sino all’8 aprile resta lì dov’è: Perugia, circuito espositivo PSPF, Officine Fratti.

Una mostra che va da un’altra parte. Almeno questo il mio intento curatoriale.
E non essendo un curatore forse mi entusiasmo oltre il lecito.
Del resto, fossi stato nel lecito non sarei mai stato fotografo, ergo…

Lo spazio è splendido. Una ex mensa in pieno centro storico.
Adesso un progetto operativo voluto dal Comune di Perugia: […] promozione di percorsi di rigenerazione urbana del centro storico, attraverso l’imprenditorialità giovanile e le professioni culturali e creative.
Solo due robe: è luogo di lavoro e sotto la tutela della soprintendenza alle belle arti.

Quindi allestire non è stato facilissimo: sì chiodi no trapano; mattoni e pietra non si toccano se non SOLO in quel punto lì; intonaco ok, ma sotto c’è pietra medievale, e sotto sotto un po’ di Etruria che non guasta – non ne ho idea ma il passato a volte emerge con una pernacchia che inchioda te e le tue velleità espositive…
Se non ci fosse stato Luigi Petruzzellis, materialmente risolutivo col suo super trolley pieno di tutto e soprattutto adeguato ai muri, ciao! saremmo ancora lì a deambulare attoniti.
Se non ci fosse stata la disponibilità delle persone che lì ci lavorano, in primis Elisa Pietrelli, altro ciao!

E noi ancora lì alla ricerca di un metro quadro.
Non è stato proprio così drammatico, ma a fronte di tanta vera collaborazione mi piace romanzare un po’.

SPAZIOFF - PSPF 2018 - Efrem Raimondi BlogQuesta la sintesi fotografica realizzata da un po’ tutte e tutti strada facendo.

Più una che è un momento moooolto particolare non spiegabile qui. Diciamo il mio souvenir per questo gruppo compatto che altrimenti non saprei come ringraziare diversamente.

SPAZIOFF - PSPF 2018 - Efrem Raimondi BlogLe autrici: Cinzia Aze, Elisa Biagi, Lisa Ci, Dana de Luca, Iara Di Stefano, Benedetta Falugi, Sophie-Anne Herin, Laura Lomuscio, Irene Maiellaro, Tiziana Nanni, Paola Rossi.
Diverse ma con un comune senso di liberazione che straccia trend e cliché.

Chi vuole può leggere la presentazione in un articolo precedente.
Quello che aggiungo, è che una mostra così non è la sommatoria dei singoli percorsi autoriali.
Ma ha un suo respiro e uno sguardo che la identifica.
Che mi fa dire che non è proprio una collettiva.

Ma un’altra cosa.
E non so darle una collocazione… non trovo l’aggettivo.

Al fine, la curatela ha comportato delle scelte nette in termini espositivi: non mi interessava entrare nel dettaglio di ogni singola opera esposta. Per qualche autrice mi interessava che se ne cogliesse lo sguardo in un lampo.
Quindi anomala lungo qualche parete… come una linea leggera.
Ma indietro tre metri, ne colgo il respiro. Che qui vale più del dettaglio.
Tutto opinabile.
Ma questa è una scelta.
E due cose due le dico in questa brevissima intervista fattami da Gilles Dubroca.
Che sapeva esattamente cosa chiedere:
https://vimeo.com/260244096

SPAZIOFF - PSPF 2018 - Efrem Raimondi Blogby Benedetta Falugi

Ringrazio Antonello Turchetti per la fiducia.
Giulia Ferranti per la collaborazione.
E anche le tantissime persone che sono venute all’inaugurazione.
Ma soprattutto le autrici e ogni millimetro delle loro opere.
Sono davvero molto contento di averla curata questa mostra.
Di amarla.

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Achille Castiglioni

Achille Castiglioni by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved

NOTA – Questo articolo è stato pubblicato la prima volta il 30 maggio 2014.

Achille Castiglioni… mi era impossibile dargli del tu.
16 febbraio 1992, Milano piazza Castello civico 27, primo pomeriggio tarda mattinata.
Non ricordo.
Comunque nel suo studio per andare insieme in Cassina e fare il punto sull’Hilly, ultimo progetto giusto in tempo per il Salone Internazionale del Mobile.
E mentre son lì scopro due cose: che è il suo 74° compleanno e che non si va a Meda io che guido la mia macchina, bensì lui che guida il suo Espace.
E proprio non c’è discussione.
Quindi la mia condizione è la seguente: il giorno del compleanno di Achille Castiglioni sono seduto al suo fianco mentre guida direzione Cassina.
E mi dice: Raimondi… però dammi del tu eh! Stiamo lavorando insieme.
Ecco… dopo due tu faticosi ho ripreso col lei e non ho mai cambiato pronome.
Mai.

Una misura esiste. E tutto il mondo riconosceva la sua.
Io ero un pischello. Mi ero affacciato nove anni prima.
Che poi, ma perché ero lì?
Ci penso adesso…
Cioè, perché Achille Castiglioni voleva che ci fossi anch’io a quel summit?
Non sammit, proprio un summit…
Vero che dovevo fotografare da lì a qualche giorno, però boh…
Azzardo ora un’ipotesi: apparteneva a una generazione di gente speciale, abituata al confronto con chiunque componesse l’équipe di lavoro.
E se eri lì dentro non c’erano gradi da far valere. C’era ciò che mettevi sul piatto.
E in che modo.
Perché anche il modo conta.
Questo lui… Io invece gradi e pesi li avevo ben presenti e sapevo perfettamente su cosa e con chi mi confrontavo.
Quindi calma, misura, ascolto. E una dose di azzardo sostenuta da una ingenuità consapevole: in fondo se ero lì una ragione c’era e non era importante che perdessi tempo a cercarla.

Io non posso dire nulla, proprio niente del genio di Achille Castiglioni.
Posso solo raccontare del privilegio che ho avuto.
C’è qualcuno ancora in grado di capire?
Apparentemente una faccenda solo personale. Non è vero.
Chi capisce, bene.
Chi no amen. Da un incontro così si impara molto. Anche se stai fermo a guardare.
Per circa tre mesi ci siamo visti e rivisti.
Nel suo studio, nel mio e al Superstudio, dove ho scattato.
A lavoro ultimato gli ho chiesto di ritrarlo. E si è prestato.
Nel suo studio, spalle al gigantesco specchio a 45°… che la prima volta momenti cerco di oltrepassarlo – secondo me era usato anche come test per gli ospiti.
Luce ambiente e banco ottico.
Luce scarsa per un formato 10/12. Allora monto comunque un flash che mi serve da supporto del bank 90/120 per spalmare la sola luce pilota; rifletto uleriormente su un pannello sospeso e accendo un paio di lampade presenti in studio: volevo una luce continua.
Più lunga, più morbida, più calda – anche nel b/n c’è differenza – pronto anche a un micromosso. Che ci poteva benissimo stare.
E infatti c’è.

E davanti ho proprio la faccia di un meraviglioso milanese.
Che diversa non può essere.
Milano, quella istituzionale, dovrebbe sempre ricordarsi di avere un debito nei confronti di queste facce qui.
Io volevo solo un souvenir per me.
Ed è l’unica cosa che ho chiesto a Achille Castiglioni.
Perché invece rotolino me l’ha regalato lui, direttamente con dedica durante un incontro, così, per suo piacere.
Ero decisamente commosso…

Achille Castiglioni, dedicated to Efrem RaimondiNel corso degli anni mi bastava girare la testa, a sinistra della mia postazione computer, per vederlo quel rotolo.  E ogni tanto pensavo che il giorno dopo avrei telefonato in studio e sarei andato a trovarlo.
Non l’ho mai fatto.
Le urgenze, soprattutto quelle emotive, non andrebbero mai rimandate.
Ci sono passato invece fugacemente l’anno scorso durante il Salone, perché sede di un evento. Ripromettendomi di tornare con calma.
E sono tornato. Adesso.
E mi sono immerso.

Studio Museo Achille Castiglioni, ma l’atmosfera è la stessa, e da un momento all’altro sarebbe sbucato l’architetto.
Come l’ha lasciato lui… come se fosse andato a prendere un caffè e a minuti torna.
Così mi dice Giovanna Castiglioni, sua figlia.
Che cura  e gestisce insieme a Antonella Gornati – che ricordavo bene perché collaboratrice dell’architetto.
E mentre Giovanna mi guida nel tour di questo meraviglioso luogo, sacro per me, certi ricordi mi tornano nitidi.
Su tutti la faccia, il sorriso, il suo intercalare.
La sua ironia accentata di paradosso: Chi sbaglia fa giusto.
A un certo punto chiedo a Giovanna se le va di posare con rotolino steso, il mio rotolo… acconsente a patto che non si veda il viso.
Non so perché.
Ma nello specifico iconografico la sua è stata un’intuizione che ho immediatamente condiviso.

Giovanna Castiglioni by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedE il tour è sorprendente in ogni angolo: qui c’è storia, qui sono state scritte tra le più importanti pagine di design.
Rivedo i quattro parallelepipedi di vetro con dentro di tutto… che quando li vidi la prima volta rimasi sconvolto: c’era la Ferrania che mi regalò mio padre quand’ero bambino, formato 120… mica sapevo che l’avesse disegnata lui. Come anche il Rocket, proiettore per diapositive. Così come un sacco di altra roba.
Tutta lì dentro.
E poi scaffali e zone d’archivio Senza saperlo è stato un grande archivista.

Secondo me non buttava via niente. Col retropensiero di trovare sempre il riciclo.
E vai e giri… e appunti, disegni, modelli, stampi… il suo tecnigrafo, il suo design e le sue cose.

FONDAZIONE ACHILLE CASTIGLIONI by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedC’è anche la brochure dell’Hilly, coi modelli. La sua sagoma, chino che guarda.
Non me l’aspettavo.
Rimbalzo indietro di 22 anni. Come vi sentireste?
La vedo ancora la sua faccia…
Perché è così, si incontrano certe rare persone e talvolta si ha una fortuna dialettica, quella che ti consente di interagire con loro. Ed è un tempo da tesaurizzare.

Visitare questo spazio è formativo. Ascoltarlo, respirarlo è formativo.
Ed è possibile, basta prendere un appuntamento per una visita guidata, questo il link, qui c’è tutto:
http://fondazioneachillecastiglioni.it/visite/

Un luogo dinamico, un luogo dove si fa progettazione al fine di restituire tutto il percorso progettuale di mio padre. Le esatte parole di Giovanna.
Più che guidata, per alcuni dovrebbe essere una visita obbligata.
Per tutti un vero, grande piacere.

Raimondi
Mi avesse chiamato una volta per nome, forse nella singola circostanza sarei riuscito a dare del tu a Achille Castiglioni.

FONDAZIONE ACHILLE CASTIGLIONI by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Il lavoro per l’Hilly, marzo 1992, l’ho realizzato con la Toyo 45G e con un film Ektachrome EPY 10/12… una pellicola tarata per luce al tungsteno. Kodachrome a parte, credo sia stata la più bella slidecolor mai prodotta. Che esponevo a 50 iso.
Pubblico solo due immagini.
Mentre non trovo l’originale esposta in Triennale nel 2008 per la mostra Made in Cassina.
Ma so che c’è. E la troverò.

HILLY, Achille Castiglioni - Cassina by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedHILLY, Achille Castiglioni - Cassina by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedAchille Castiglioni, questa faccia qui…

Achille Castiglioni by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Portfolio – Lettura – PSPF

Portfolio. E lettura.
Chi pensa che il portfolio non serva, si sbaglia.
Un errore indotto dalla confusione, dall’ignoranza, dalla malafede e dal fatto che in genere chi lo sostiene non ne ha bisogno, quindi spaccia convenienze relative per verità assolute.

Il portfolio non è altro che uno strumento di lavoro.
E ha caratteristiche proprie.

Costruito per la presentazione di un singolo percorso, che diffusamente viene denominato progetto – mi viene sempre il prurito tanto è inflazionato il termine – è una cosa.
Se invece il percorso sei tu, quindi si presume una realtà più complessa che col circostante e la sua rappresentazione si relaziona trasversalmente, la questione è altra.

Entrambi i portfolii devono essere in grado di esprimersi in tua vece.

Lettura: serve eccome! Solo dipende dal lettore e dal suo grado di alfabetizzazione.
Nonché la mira che ti riguarda, cioè dove vuoi andare a parare: a cosa ti serve far leggere il tuo portfolio? Quale lo scopo?
Che destinazione ti prefiggi?

Personalmente mi fiderei solo di alcuni e non di altri…
Il distinguo, piaccia o no, lo fa il curriculum.
E qui si apre un capitolo ampio che evito.

Comunque per chi ha voglia, sfogliando il blog, di roba ne trova.

Quando Antonello Turchetti e io ne abbiamo parlato, si è convenuto che un tempo idoneo fosse di quaranta minuti.
C’è chi legge meravigliosamente in venti, io no.

In linea di massima potrebbero bastarne cinque di minuti, che è lo standard quando non c’è alcuna necessità dialettica.
Cioè quando si tratta di decidere se dare un assignment o no.

Quindi un altro spazio, che è quello al quale bisognerebbe aspirare.
Ma non è questo il luogo: qui al PSPF, la dialettica è propedeutica.
A cosa, lo scopriremo insieme.

Tre lettrici: Sara Emma Cervo, Teodora Malavenda, Emanuela Mirabelli. E il sottoscritto.
10 e 11 marzo, durante il Perugia Social Photo Fest.

Qui tutte le informazioni.

Vi aspettiamo.

Nel mio caso, lo dico subito, è possibile assistere.

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Che donna cerchi?

Maria Cabrera by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedMaria Cabrera, 1988 – Dolce&Gabbana © Efrem Raimondi

Che donna cerchi?
Non solo una questione fotografica, o artistica in genere…

Che donna cerchi?
Certo poi, quando la mostri, quando assume una forma soprattutto fotografica,
so perfettamente che idea ne hai – della donna dico, che tu chiami musa.

Non ho nulla contro l’idealizzazione.
Anzi, essendo la rappresentazione di una condizione intima mi interessa molto la traduzione iconica.
E siccome per essere davvero espressione non c’è casualità né può singhiozzare,
ci si aspetta un percorso, una coerenza dell’autore chiunque sia.
Questo, e non altro, diventa l’indice.
A volte il dramma…

Che donna cerchi?
Perché la fotografi?
Quanti anni ha la tua donna ideale?

La mia non ha età. E si misura con sé stessa.
Entrambi i fattori credo siano l’origine della divergenza tra il concetto di idealizzazione, cioè rappresentazione, e
standardizzazione, cioè creazione di un prodotto prêt-à-porter.
Che è l’origine dei guai di alcuni – molti – magazine femminili, ostinati in quello che mi sembra uno stato confusionale.
E anche di molta comunicazione.
Entrambi i media confortano la deriva misogina.
Che però chiamano seduzione.

Il risultato è spalmato ovunque.
Trasversalmente da lassù fino al cosiddetto photographer modalità social.
Complimenti.

Ma che razza di donna avete in testa?
Avete mai pensato seriamente che una fotografia racconta una relazione?
E posto che il soggetto è l’autore – almeno per quel che mi riguarda – traete le conseguenze da ciò che vedete.
Questo sempre.

Io cerco te è un articolo che ho qui pubblicato nel 2016.

L’ho aggiornato con altre immagini.
Donne che ho ritratto come le vedevo.
Senza idealizzare un bel niente.
Ma, credo, con una chiara idea, la stessa sempre: tu che mi stai davanti.
Chiunque tu sia per la vita che vedo.
E la vedo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Bianca dorme

Bianca dorme.
Faccia in giù che non so come fa.
Braccio avanti saldamente in mano il cerchietto.
Braccio indietro abbandonato a sé stesso.
Coperta a metà.
Prendo l’iPhone.
Quasi in pianta.
Scatto.

Fine.
Forse sarà un suo souvenir…

Di certo è il mio.
Non c’è altro da aggiungere.

Ma di cosa ancora dobbiamo parlare?

Bianca dorme © Efrem Raimondi - All Rights Reserved

Bianca dorme, gennaio 2018

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Perugia Social Photo Fest – SPAZIOFF

SPAZIOFF, 10 marzo – 8 aprile, Perugia Social Photo Fest – PSPF.
Intanto lo comunico.
Poi, c’è ancora del lavoro da fare – messaggio in codice per le autrici… segue sorriso.

Circa un anno fa Antonello Turchetti, direttore artistico del festival, mi chiese la disponibilità a seguire la cosiddetta OFF zone.
Che non è la vetrina grande, quella al centro, ma proprio per questo gode di un’autonomia affascinante. Ecco il motivo per cui ho accettato con entusiasmo.
E una certa serenità incosciente, che nel mio caso è stata fondamentale: non ho mai curato niente, non è il mio lavoro.
Però mi guardo attorno, e questo sì mi appartiene.
Poi, dettaglio non trascurabile, stimo profondamente Antonello e amo il suo rigore, quindi se mi ha fatto questa proposta avrà i suoi validi motivi… inutile che io perda tempo a indagare. Ecco.

Immediatamente ho pensato al femminile. E non è una scelta discutibile.
Perché nel tempo recente mi riconosco spesso nello sguardo restituito dalle donne.
Spesso, non vuol dire sempre. Ma è un indice preciso per ciò che mi riguarda… qualcosa mi dice che sono anch’io lì.
Non una coincidenza ma una parentela, stretta, sì.
E non so perché.
Quindi mi fiondo.
Tutto sommato è ciò che ho scritto nella presentazione di questa collettiva:
PSPF - SPAZIOFF Curated by Efrem Raimondihttp://www.perugiasocialphotofest.org/spazioff/

Undici autrici per un centinaio di opere:
Cinzia Aze, Elisa Biagi, Lisa Ci, Dana de Luca, Iara Di Stefano, Benedetta Falugi,
Sophie-Anne Herin, Laura Lomuscio, Irene Maiellaro, Tiziana Nanni, Paola Rossi.
Tutte diverse, tutte uguali con quel fil rouge che vedo: liberazione.
Chi lo vede, bene. Chi no, amen. Non è un mio problema.
Il fatto è che avrei voluto fossero cento… che ce ne sono davvero tante.
Spero di avere altre possibilità.

PSPF - SPAZIOFF Curated by Efrem Raimondi© Efrem Raimondi. All rights reserved.

© Cinzia Aze - All Rights Reserved                    Cinzia Aze – Collaze.

© Elisa Biagi - All Rights Reserved                    Elisa Biagi – Lasciapassare – Vivere il confine mobile.

© Lisa Ci - All Rights Reserved                    Lisa Ci – Ma dentro voliamo via.

© Dana de Luca - All Rights Reserved                    Dana de Luca – La petite mort.

© Iara Di Stefano - All Rights Reserved                    Iara Di Stefano – Qualcuno una volta mi ha ricordato.

© Benedetta Falugi - All Rights Reserved                    Benedetta Falugi – Diary (2009 – 2017).

© Sophie-Anne Herin - All Rigts Reserved                    Sophie-Anne Herin – La plongée.

© Laura Lomuscio - All Rights Reserved                    Laura Lomuscio – Sono dove sogno.

© Irene Maiellaro - All Rights Reserved                    Irene Maiellaro – Muoviti.

Tiziana Nanni – Tenere insieme le cose.

© Paola Rossi - All Rights Reserved                     Paola Rossi – L’infinito viaggiare.

PSPF – Perugia Social Photo Fest – Opening 9 marzo 2018.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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James Nachtwey – Memoria

James Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedJames Nachtwey a Palazzo Reale, Milano, sino al 4 marzo 2018.
Una mostra che va vista.
Che non lascia indifferenti.
Che è totalmente coerente con un certo modo di intendere la fotografia dedicata al reportage.
E che mi trova solidale pur non frequentando.
Tranne per una cosa che dirò dopo. Come un dubbio…

Non ho idea di quanti modi ci siano per vedere una mostra, qualsiasi mostra.
Questa ha però intrinsechi motivi e letture che si muovono su più piani. Più che altrove.
Nessuno facile da affrontare.
Occorre un grande rigore. E coerenza.
Perché il soggetto, tutta la mostra, si regola anche sul piano estetico. E s’una idea del rapporto che questo ha con un contenuto che è tosto.
Mai e poi mai può essere trascurata l’estetica.
Anche se reportage, per me cambia nulla… non è il genere che fa la distinzione.

Solo l’opera. Solo ciò che è lì da vedere.
E questo è il mio modo di affrontare le mostre.
E tutta la fotografia a dire il vero.

Privo di patente, questo il mio rapporto.
Perché è così che leggo l’essenza dialettica di qualsiasi autore.
La misura espressiva.
Qui un equilibrio delicato.
Perché quando vedi dolore, morte, disperazione, la tentazione al rifiuto è forte.

Su due pannelli proprio all’inizio Roberto Koch – che ha curato la mostra insieme all’autore – dice: Da quarant’anni Nachtwey fotografa il dolore, la violenza, la morte e a sostenerlo nella discesa nella ”città dolente” della condizione umana è sapere che il buon fotogiornalismo può ancora incidere sull’opinione pubblica, come una prima stesura di un futuro libro di storia.

Non so se sia ancora in grado di incidere sull’opinione pubblica, davvero non lo so.
Però mi sa di no. Con rammarico.
Semmai ci sarebbe da chiedersi: e poi? Poi cosa fa l’opinione pubblica?
Ma capisco perfettamente il senso, e probabilmente l’auspicio di Koch.

Quella che è immediatamente chiara è l’onestà.
E la coerenza dello sguardo di Nachtwey lungo questi quarant’anni: Cisgiordania, Haiti, Guatemala, Libano, El Salvador, Berlino, Bosnia, Kosovo, Albania, Cecenia, Somalia, Sudan, Romania, Zaire, Ruanda, Sudafrica, Stati Uniti, Afghanistan, Iraq, Germania Est, Cecoslovacchia, Indonesia, Nepal, Vietnam, Pakistan, Zambia, India, Cambogia, Croazia, Macedonia, Grecia… un viaggio con al centro un’umanità esposta a tutto.
Compreso ciò che non vogliamo sapere. Ma che qui trova forma.

E con garbo ti viene sbattuto in faccia.
Sei qui e non puoi sottrarti…
Se decidi di venire qui, sappi che devi farci i conti.
Solo che non è come altrove, come per altri: Nachtwey è secco, pulito, diretto, essenziale e potente con quel suo bianco e nero.

Assolutamente da affrontare come una sequenza l’installazione riguardante gli ospedali militari in Iraq: 60 fotografie sapientemente addossate che ti arrivano addosso come una bomba. Uguale.
Se ti avvicini partendo dalla sala che la precede, dritto senza esitare, uguale.

James Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedJames Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedJames Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedJames Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedJames Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedJames Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedUna carneficina.
Ma sempre con questo sguardo pulito, non incline ad alcun prurito: nessuna sbavatura. Non è per nulla facile.

Mentre ho trovato del tutto boh le parole di Wim Wenders.
Vagamente pretesche nel suo accomunare tutti: Nachtwey, i suoi soggetti, noi che siamo lì a guardare.
Oltre alla firma sul pannello, chi ci passa davanti si fermi e legga.
Dopodiché prosegua.

James Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedJames Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedJames Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedJames Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedJames Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedJames Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedJames Nachtwey Exhibition by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedE adesso il mio dubbio.
Che riguarda gran parte del colore: tutto si muove con le priorità del bianco e nero, solo che la cromia è un’altra. Ed è come incollata.
Brillantemente incollata.
Tanto da sembrarmi un artificio.
Intendiamoci, anche qui nulla a che vedere con certe note derive da carrozzeria, però…

Insomma un dubbio.
Che in qualche modo mi fa pensare a un diverso orientamento del gusto. E che prima o poi ci vorrebbe qualcuno, un cranio vero e ben attrezzato, che affronti la questione.
Al momento resto qui col mio dubbio che è tale perché è magistrale lo sguardo di James Nachtwey. Che va be’, lo affronteremo altrove.

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Nota: tutte le immagine in iPhone 6.

Memoria, James Nachtwey mostra.
Palazzo Reale, Milano 1 dicembre 2017 – 4 marzo 2018.
105 opere esposte.
Curatela: Roberto Koch, James Nachtwey,
Organizzata da: Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale, Civita, Contrasto e GAmm Giunti.
Digital Imaging Partner: Canon.
Con il supporto di: Fondazione Cariplo e Fondazione Forma per la Fotografia.

Questa la pianta della mostra data unitamente al biglietto – € 13,00.
Volendo è disponibile anche l’audioguida.

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Distante

Si può fare di più.
Non sempre. Non per obbligo.
La tentazione invece è fare di meno.
Anzi nulla.
Quasi nulla, dai.
Distante
Limitarsi a guardare e cogliere il minimo indispensabile.
Ma proprio INDISPENSABILE.
Insomma sottrarre. E vedere l’effetto che fa.

Quanto a questa fotografia, questa volta sì ha un messaggio.
Che però è sempre lo stesso di tutte le mie: ?

Ecco, prendere le distanze. Questo l’auspicio.
Con i miei più sinceri auguri di un 2018 sereno.
E leggero.

Prendere le distanze
Ciao!

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedRanda 233 – Lago Maggiore, dicembre 2017.

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