iDyssey – Stefano De Luigi


Che cos’è la condivisione?
Accettare senza alcuna remora e distinguo un soggetto che è altro, e rendere pubblico questo tuo stato.
Quando è giusta?
Quando sai che il patrimonio espressivo in questione ti riguarda.
Non è importante che il linguaggio coincida, ognuno ha il proprio.
Ciò che conta è il patrimonio. In qualche modo la matrice.
E questa sì, è un differenziale.

Conosco Stefano De Luigi da quando entrambi eravamo in Contrasto.
Lo stimo molto. Per il suo lavoro e per la persona che è.
Eppure non ci siamo visti tantissime volte. La matrice, appunto.
Nel suo lavoro io riconosco qualcosa che appartiene anche a me.
E voglio condividerlo.
Cominciando con un suo video, parte integrante di questo percorso, iDyssey, e prodotto dal New Yorker… tutto iPhone.

Stefano De Luigi - Efrem Raimondi Blog

iDyssey, sarà in mostra a Parigi il 30 ottobre.
Questo il link con tutte le informazioni, per chi, a sua volta, voglia condividerlo e sostenerlo.

Stefano De Luigi - Efrem Raimondi Blog

Vero… noi fotografi siamo individualisti. Ma non ciechi.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

DOVE VAI


Otto opere 100×100 cm.
Realizzato in Franciacorta (Lombardia) nell’ottobre 2002
con una SX-70.
Con lo sguardo attonito, rivolto a terra poco oltre i miei piedi, attraverso un paesaggio mutato e continuamente mutante.
Dove tutto si mischia e coesiste… simile ormai
in tutta la vecchia Europa.

Questo la scheda di DOVE VAI, inserito in Tracce. Una mostra a invito voluta dalla Fondazione Terra Moretti e dalla rivista Photo.
Ospitata in due sale de L’Albereta Relais & Chateaux di Erbusco: Franciacorta piena.
Adelaide Corbetta e Wolf-Gregor Pazurek i curatori.
Oltre a questo mio lavoro, quelli di Hassan Badreddine e di Hugh Findletar.
Era il dicembre 2002… qualche anno fa.
 La Polaroid SX-70 alla portata di tutti. E perfetta per questo percorso: testa bassa e passo veloce.
Perché lo ripesco?  Non è mai stato sommerso… sedimentava.

Ci sono immagini che sedimentano.  Un privilegio che non riguarda tutte le fotografie che realizziamo. 
E che in genere non riguarda le “migliori apparenti”, quelle cioè che subito ti fanno gridare al miracolo e quanto sei bravo. Figo. Geniale. Con quel taglio che solo tu e quella luce che emana dall’io profondo…
Non dobbiamo avere fretta. A maggior ragione adesso coi mezzi a disposizione, coi quali rischi il cortocircuito tale è la mole di materiale e l’immediatezza dell’immagine.
Mi sono costruito una gabbia entro la quale stare. E non sono uscito di un millimetro.
In questo il quadrato aiuta. Perché in qualche misura asseconda la bidimensionalità di uno sguardo forzatamente privato dell’orizzonte.
Solo in una ho alzato le palpebre. Solo perché la stada era in salita.
E ciò che spuntava era poca roba… una macchia all’inizio del niente.
Aveva una sua misura decorosa, perciò non mi spaventava.
 Perché invece ciò che non ho registrato, ma che c’era in quella fascia di mezzo tra suolo e cielo, non aveva più niente di decoroso e mi lasciava statico e attonito.
Un po’ come la figura guida delle otto immagini.
Alla quale sono negati il mezzo busto e l’espressione.
Vorrei sapere che fine ha fatto l’orizzonte.
Vorrei sapere perché la misura del nostro sguardo non lo raggiunge più.
DOVE VAI è il lavoro col quale di fatto, mio malgrado, chiudo con la Polaroid. E con un paesaggio per certi versi assoluto e romantico. Che infatti non mi riguarda più.
Il paesaggio col quale ci confrontiamo oggi è un soggetto attivo e reattivo.
In tempi molto più rapidi rispetto a qualsiasi epoca precedente.
A me interessa intercettarne gli umori. E non solo i fenomeni.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Adelaide Corbetta e Wolf-Gregor Pazurek i curatori.
Fotocamera e film: Polaroid SX-70.
Scansioni da originale stampate 100 x 100 cm

TIRATURA 6 100/100 cm + 3 50/50 cm.

Garfagnana Fotografia report

Efrem Raimondi in Garfagnana

 

La prima cosa che mi viene in mente è di ringraziare.
Un tranquillo, movimentato weekend a Castelnuovo di Garfagnana.
Un weekend di piacevole duro lavoro… che fotografare al confronto è uno scherzo.
Ma a me piacciono le situazioni dense. E meno, anzi per niente, le liquide… che somigliano a quelle circostanze in cui stringi delle mani molli, che scivolano via.
Se ti fermassi un attimo…
Una nota di attenzione per chi va in Garfagnana: non fidatevi delle bottiglie di minerale gassata, che hanno tentazioni suicide e vi si scaraventano addosso.
A me è successo più o meno a metà percorso della lectio magistralis. Che ho proseguito bagnato.
Non era una performance.
Le bottiglie di naturale invece non fanno niente e stanno al loro posto.
Lectio magistralis a parte, dove sembra abbia sostenuto l’inesistenza della fotografia, la cosa davvero interessante è stata la lettura portfolio.
Che non faccio spesso. Perché credo che alla lettura dovrebbe conseguire “fare il portfolio”. Dico sul serio.
Che è un lavoro, un lavoro vero e tosto. Perché ti dà in mano uno strumento che prima non avevi.
E impegna gli attori ben oltre la mezz’ora preposta… deadline invece ragionevole, e a volte generosa, nelle circostanze pubbliche. Com’è appunto questa del Portfolio dell’Ariosto, inserita nel circuito di Portfolio Italia. Che quest’anno ha assegnato il primo premio assoluto al lavoro Res(p)e(c)t di Sergio Carlesso e Nazzareno Berton.

Efrem Raimondi, lectio magistralis

La verità? Mi ha fatto un grande piacere!
Perché ho visto il lavoro di persone che non conosco. E che nella circostanza mi affidavano le loro foto: ci vuole coraggio!
E già questo è apprezzabile, visto che dalla mia lettura non dipende concretamente nulla. Forse. Dipende.
Ho visto anche il lavoro di persone che invece conosco mediate dalla rete… dai social o dal mio blog. E qui il mio piacere raddoppia perché, che ci si creda o no, vedersi è un modo comunque più ricco di interloquire. Che il sorriso è una roba, gli emoticon boh.
Ho visto solo persone interessanti e intelligentemente interessate, forse ho culo.
E poi ho visto anche qualche lavoro decisamente bello.
E comunque nell’insieme e nell’eterogeneità, di un livello medio che riconcilia la vista dall’impunità democratica dei social: la fotografia non è democratica.
Può esserlo un premio, la sua assegnazione, ma non la fotografia, che si misura con altri parametri.
L’unica cosa che ho visto solo raramente, è il rigore.
E non si scappa… è un fatto di disciplina: se stai presentando un portfolio esistono regole alle quali attenersi.
Anche nel fotografare c’è disciplina, e si riscontra in ciò che si vede, fosse anche allucinazione, che per darsi, ha bisogno di argini.
Comprenderlo è un passo successivo all’entusiasmo del mezzo espressivo, ma prima si comprende e prima si è in grado di esprimersi compiutamente. E forse è questo il vero contributo che una lettura può dare. In questa circostanza per me è stata la regola.
Non so se ci sono riuscito, non so se ne ho la capacità, ma questo è il mio sforzo.
Poi ho visto delle mostre, tutte interessanti. Ne cito una sola, perché testimonia la possibilità di fare del reportage senza toni melodrammatici. E in più, essendo un lavoro a sedici mani, è evidente la presenza di un editing accurato. Mi riferisco a  Prete Nostro, un percorso sui preti della Garfagnana, un lavoro a cura del Circolo Fotocine Garfagnana, che  è l’organizzatore di tutta la manifestazione Garfagnana Fotografia.

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Un circolo tosto, di gente che ama la fotografia e si dà da fare senza menarla. Presieduto da Pietro Guidugli con un risultato davvero eccellente: i miei complimenti!
La mia presenza qui la devo però essenzialmente a una persona, membro del circolo: Stefania Adami, che ringrazio di cuore.

E poi ho rivisto Stefano De Luigi, al quale è stato assegnato il premio Rodolfo Pucci.
C’era una sua mostra esposta, e poi ha fatto una preziosa lecture sul suo lavoro e le trasformazioni in atto, anche tecnologiche, che inevitabilmente sono direttamente relazionabili anche a un mutamento del linguaggio. Presentato, come sempre magistralmente, da Giovanna Calvenzi.
Stefano è un fotografo che stimo molto, e nei confronti del quale nutro un sincero affetto: era un paio d’anni che non ci si vedeva… anche questo è un motivo di ringraziamento nei confronti dell’organizzazione.

Stefano De Luigi by Efrem Raimondi

Non ho altro da dire. Solo da aggiungere la foto sotto, di Simone Letari, che ben descrive l’atmosfera: ehi! si può anche ridere.

E che ‘sta estate abbia una svolta.

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Selfie vs Faces – Maria Teresa Gavazzi

Efrem Raimondi by Maria Teresa Gavazzi

Cammino per Reggio Emilia. Un mese fa per Fotografia Europea 014.
E vedo Maria Teresa Gavazzi: pittrice, performer… un’artista insomma. Che però sapevo a Londra! dove vive e lavora.
Lì in un angolo di strada con una fotocamera, un cavalletto, uno schermo come sfondo. Uno sgabello.
E una calza in mano, di quelle da donna.
Mi dice quattro cose che non capisco e in un attimo mi trovo sullo sgabello con la calza in testa giù fino al collo.
Questo sarà il mio selfie! E prima che lei scatti, mi scatto io.
Anche lei scatta… mi dà delle indicazioni e io eseguo.
Sono in balìa di un altro sguardo, per cui eseguo.
È rarissimo che sia dall’altra parte. Non è più il tempo.
Però questa è tutta un’altra situazione: non mi specchio nella mia identità, che anzi va a ramengo.
Ma in una qualunque. Quasi una matrice.

Questo occidente è un luogo impaurito che ha perso la capacità di esprimere divergenza e alternativa espressiva. È muto.
Variopinto, ma inespressivo. Dove l’incipit è uno: mostratevi.
E nel mostrarsi, ci si accorge di essere copie. Malgrado gli sforzi.
Mi piace molto questo lavoro di Maria Teresa Gavazzi, perché ha un’apparenza leggera, ma una sostanza potente.
Io non sono un critico, io sono uno di quelli con la calza in testa.
E lì sotto ho avuto il tempo di vedermi. E come sempre non mi piaccio neanche un po’. Altrimenti non  farei il fotografo.
Altrimenti non starei dalla parte opposta all’obiettivo.
Altrimenti non guarderei il mondo. L’altro mondo, quello che non si vede.
È ciò che non so vedere che vorrei trovare da qualche parte.
Ed è di persone in grado di mostrarmelo che ho bisogno.
Parafrasando Maria Teresa, anche ladri.
Perché è come avere a che fare con un bene comune che va in malora… una casa vuota da secoli abbandonata all’ingiuria: io ne ho bisogno e me la prendo.
E la restituisco alla vita.

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Efrem Raimondi, backstage M.T. Gavazzi by Laura De TomasiEfrem Raimondi, backstage M.T. Gavazzi by Laura De TomasiEfrem Raimondi, backstage M.T. Gavazzi by Laura De Tomasi

C’è però un’anteprima, non posso evitarla.
Maria Teresa Gavazzi l’ho ritratta per il magazine Arte nel 1999.
Questo il ritratto che le feci. Quindici anni fa. Già.
Era più o meno da allora che non ci si vedeva: è come essersi ritrovati. In più la ringrazio per questo suo Faces, che è il selfie di un’epoca. Così non c’è più bisogno di farne. Almeno io.

Maria Teresa Gavazzi by Efrem Raimondi

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Faces by Maria Teresa Gavazzi  – PDF faces_ita

M.T.G. a Fotografia Europea 014 feuropa

M.T.G. Performance performance

 

 

 

Le fotografie di backstage sono di mia moglie, Laura De Tomasi.

Munari Politecnico

Museo del 900 by Efrem Raimondi

 

Quando qualcuno dice: questo lo so fare anch’io, vuol dire che lo sa rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima.
Ecco, questo è Bruno Munari in sintesi estrema.
E lui le cose le faceva prima.

C’è questa piccola grande mostra al Museo del 900, a Milano: Munari Politecnico, che ha un soggetto preciso a mio avviso, la trasversalità del linguaggio, il suo.
Quasi tutte le opere provengono dalla collezione Danese – Vodoz.
È l’antitesi della contemporaneità monoespressiva e monotona che trova nella reiterazione del gesto, sempre lo stesso, la sponda della critica, sia pop che glam… sempre più coincidenti malgrado sottolineature e distinguo, degli uni e degli altri.

È piccolina, ma potente in questo suo focus. Tanto che è immediato accorgersene.
E forse per assaporarla bene bisogna usare due tempi distinti: il primo, un giro veloce, moderatamente veloce, e poi ricominciare daccapo con lentezza.
C’è anche un Focus fotografico, con le opere di Ada Ardessi e di Atto, che hanno molto seguito Munari.
E si vede un uomo in giacca, camicia e cravatta che si diverte come un pazzo. Come un artista vero senza etichetta appiccicata.
Chi s’è visto s’è visto.
Fino al 7 settembre.

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Munari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem Raimondi

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

L I N K

Museo del 900, info:
http://www.museodelnovecento.org/le-mostre/presente-menu/51-mostre/mostre-nel-tempo/481-munari-politecnico-e-focus-chi-s-e-visto-s-e-visto

A proposito delle forchette, video RAI Edu:
http://www.arte.rai.it/articoli/le-forchette-parlanti-di-bruno-munari/16168/default.aspx

Munart:
http://www.munart.org/

Associazione Bruno Munari:
http://www.brunomunari.it/

Nota: tutte le immagini in iPhone 4s.

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Aggiornamento – FRAMED, LA CORNICE

Efrem Raimondi iPhonephotography.

Ho detto che l’avrei fatto e quindi questo è l’aggiornamento, molto leggero, al post che precede, cioè questo: https://blog.efremraimondi.it/fotografia-europea-2014/
Ieri mattina, poco prima di partire per Reggio Emilia, apro FB e vedo la fotografia qui sotto… una porzione della mostra FRAMED.
E momenti svengo: la mia, lassù nell’angolo a destra, non è ciò che avevo mandato… ne manca oltre metà! 10247378_10152215809173778_8769357830500581787_n
E da orizzontale che era, me la ritrovo verticale che è.
Ergo, non è più la mia.
Ergo, momenti svengo: m’incazzo quando alcune riviste tagliano immotivatamente, figuriamoci una mostra! Inaspettato e mai successo…
Per prima cosa vado a controllare cosa davvero ho inviato, mica di aver sbagliato… perché in effetti avevo fatto anche una verticale.
No no no! Ho mandato quella giusta.
Scrivo a Chico De Luigi. Mi risponde. Lo chiamo e ci chiariamo.
Al volo stampo e parto. A me basta chiarirsi.
Che poi, proprio una mostra con tema la cornice… che è vero che segna un limite, ma mica lo inventa arbitrariamente!
E per le riviste non si adducano motivi di impaginazione, perché è una balla… se taglio
dev’essere, non può snaturare il senso dell’immagine. Io taglio in macchina e quindi si tratta sempre di formati compatibilissimi con la stragrande maggioranza delle gabbie grafiche: qualsiasi immagine è impaginabile.
Capisco perfettamente com’è andata una volta che arrivo: le opere sono tutte contrassegnate con un numero… da 1 a 61.
La mia è la 17. Fine di qualsiasi querelle.
Ci sono evidentemente condizioni che vanno oltre la volontà.
Non sono particolarmente superstizioso, non almeno in modo convenzionale… devo però prendere atto della coincidenza.
Che poi, una volta che Chico ha rimesso le cose a posto – come da documentazione qui annessa – la fotografia in questione non ne voleva sapere di stare diritta. Come a ribadire. E infatti è storta. Almeno fino a ieri lo era.

Efrem Raimondi iPhonephotography.Efrem Raimondi iPhonephotography.

La mostra è però molto interessante. Anche lei in modo poco convenzionale: va vista come fosse un tutt’uno.
Un unico blocco esposto. Con un suo movimento compatto.
Non ha alcuna importanza chi ha fatto cosa: è l’impatto visivo dell’insieme.
A me non è neanche quasi venuto in mente di avvicinarmi.
E non ho provato curiosità alcuna nell’andare a scoprire a quale autore corrispondesse il numero espositivo.

Efrem Raimondi iPhonephotography.Perciò mi vien da dire che in realtà questa, proprio presa così, è un’opera di Chico De Luigi. Nel vero senso della parola.
Non è una collettiva se non accidentalmente, se non per necessità logica.
Ma artisticamente appartiene a Chico.

Efrem Raimondi iPhonephotography.

Per ciò che riguarda il resto del ricco programma, suggerisco di andarci non nel weekend, se è possibile, se no ci si prepari a delle code:
http://www.fotografiaeuropea.it/
Ultima cosa, non andavo a Reggio Emilia da un secolo: è veramente bella.

Efrem Raimondi iPhonephotography. CHIOSTRI DI SAN PIETRO

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Questo il report di Chico De Luigi:
http://www.chicodeluigi.it/home/2014/05/03/3-mag-5/

Fotografia Europea 014 – FRAMED – La Cornice

LA CORNICE


Fotografia Europea 2014…
Premessa.
Chico De Luigi è un pazzo meraviglioso. Infatti lucidissimo.
Nel contesto di Fotografia Europea 014 – Reggio Emilia, ha concepito FRAMED, mostra collettiva di 61 autori.
Il soggetto, LA CORNICE.
Nell’invito che mi ha mandato leggo il testo di Marco Zauli, che apre così La cornice è una corona che consacra, eleva di rango una fotografia e quello che rappresenta, impone una genuflessione dello sguardo, deferenza dovuta a qualcosa che si riconosce valere (essere) più in alto del resto.
Chissà, può essere… non sono certo che mi riguardi. Però ci provo.
Poi altre riflessioni sul rapporto cornice – fotografia.
A me l’architettura della mostra piace, e il tema della cornice l’ho già affrontato. Diversamente, e tanto tempo fa.
Nello specifico attuale c’è un fatto che mi incuriosisce molto, ed è il motivo per cui aderisco senza pensarci un secondo più del dovuto: i 61 mandano una fotografia, ma la cornice la sceglie FRAMED.
Come chiedermi di andare nudo allo stadio. In un derby.
Però voglio vedere l’effetto che fa.
Quindi realizzo la fotografia che pubblico in testa, e la invio. Nuda.
La realizzo per questa occasione specifica, non rovistando nei cassetti. Che qualcosa a ben cercare c’è sempre, ma per me non è la stessa cosa. Almeno in questo caso.
Sabato 2 maggio vado a Reggio Emilia, e un minimo di report su questa mostra lo faccio. Magari.

foto europea

Quello della cornice è un lavoro duro.
Oltre a essere un tema forte della filosofia dell’immagine, perché raffigurazione di un limite evidente. Sia di qua dell’opera, che di là, dove c’è tutto il resto.
Non mi frega niente dire di come son fatte, è il concetto di cornice la vera questione. Anche se, vero, l’idea che ognuno si fa influenza la scelta dell’oggetto che si usa intorno all’opera. E che la segna, la definisce appesa nello spazio che le è stato deputato.
Parlo di cornici, non di supporti modello sandwich: fotografia schienata a un compensato del cazzo e faccia contro un vetro che le toglie quasi tutto l’ossigeno… ma quel niente che resta, perché qualcosa resta, le omaggia umidità e muffa, compressa com’è da delle mollette d’acciaio.
E vedi che fine fa la tua bella fine art…
Tanto valeva stamparla al minilab sottocasa.
Comunque ‘sto sandwich a giorno non segna niente, non è una cornice, quindi non c’è motivo per parlarne.
La cornice invece sottolinea un confine tra l’opera, che è comunque un’astrazione, e il reale circostante, qualunque esso sia.
Questo in sintesi è il suo scopo, quello di creare una discontinuità evidente.
Paolo Ulian e io facemmo una cornice impalpabile, per la Association Jaqueline Vodoz et Bruno Danese, oggi Fondazione Vodoz Danese. Nell’ambito della mostra Intorno alla fotografia. 37 cornici per 37 fotografi, esposta nel 1998 a Milano e a Parigi.
E poi itinerante.

072

Per meglio dire, Paolo Ulian fece la cornice, io la fotografia.
Il risultato è un’opera a sé stante.
Da prendere nel suo insieme precario e matematico. Binomio assolutamente possibile.
E che allora presentammo così …Col nostro sguardo che un po’ declina gli ammiccamenti e le certezze dell’alta definizione, funamboli lungo un’impalpabile diagonale di luce, ci piace davvero proiettare quest’ombra, questa recinzione inesistente eppure visibile. Si allunga, si deforma, palpita in una sorta di rapporto omologico col rettangolo fotografico, assumendo di volta in volta forma diversa ma mai casuale, sempre rispondente ad una precisa logica matematica. Una cornice dinamica dai contorni liberi, instabile per propria natura. Impegnata in una continua dialettica col circostante è unica o molteplice, piena o soffusa. Precaria la sua stessa esistenza: appesa com’è a un filo elettrico basta davvero poco… staccare la spina… ed è finita.
Questo è l’unico concettuale che sposo. Perché ha forma.
Per chi si regola con le arti visive, una condizione imprescindibile.
Se no fai altro. Anche l’intellettuale se ci riesci.
O la performer balcanica. Col mondo per cornice.

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Instant Movie N.1

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Una mostra da vedere assolutamente, ABSENCE OF SUBJECT.
Milano, Fondazione Stelline, Corso Magenta civico 61. Inaugurata il 31 gennaio e visitabile fino al 7 aprile 2013. Esposte le celebri opere di August Sander e a fronte, proprio sulla parete opposta, le rielaborazioni di Michael Somoroff. Un lavoro, quello di Somoroff, di sottrazione del soggetto. Restituendoci il luogo del lavoro di Sander, la location direbbero oggi molti, intatta. Non sappiamo se prima o dopo il passaggio dei soggetti sanderiani.
Un incredibile lavoro possibile solo grazie al digitale. A una applicazione acutissima, feroce, dei software a disposizione. In qualche caso ricostruendo completamente l’intera scena. Ma non si tratta di un mero lavoro concettuale… quello che ci viene restituito ha vita autonoma. E alcune immagini sono di una bellezza straordinaria. Diventando a loro volta soggetto. Almeno io la vedo così.

August Sander – Michael Somoroff. All rights reserved.

Al piano di sotto ci sono sei video. Altra intensa interpretazione da parte di Somoroff… un omaggio forte e toccante all’opera di Sander.
Qui io non ho saputo resistere… e con l’iPhone mi sono concentrato s’una porzione di luce e buio. So mica se lecito o no. Intanto è qui. E poi non è una riproduzione… ma una porzione di emozione che mi sono messo in tasca.
Che poi ho manipolato. Strapazzando un po’ tutto,  anche Ry Cooder.

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Nota: video in iPhone 4s

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