Controluce.

© Efrem Raimondi - All Rights Reserved

Come stai?
Domanda inopportuna. Spesso.
Benissimo! Non ci penso.
Io non penso.
Fotografo e basta.
Quando me lo chiedono e quando mi capita.
Non ho ossessioni. Non più.
Mi confronto con chi mi è simile. Con chi riconosco.
Il resto mi è estraneo. E non lo inseguo.

Mi sveglio alle sei del mattino di un weekend qualunque.
In una camera d’albergo qualunque.
Non apro gli occhi… a che mi serve? Ci vedo benissimo!
Orizzontale… condizione ideale per le immagini, che scorrono fluide.
Si mischiano e si sbranano.
Libere.
Libere di non corrispondere.
Libere.
Libere di essere avulse.
Libere da ogni confronto.
Libere e potenti.
Che tu, rivista chic e paracula, non puoi permetterti.
Poi sbraita ciò che ti pare… je m’en fous e kiss kiss.

Ho dormito tre ore. So che sono le sei, sento il controluce.
Non ho bisogno di vedere né lui né l’orologio.
Il controluce si sente, non si vede. È così che lo si fotografa.
Il controluce avvolge, amalgama, attenua gli spigoli.
Ridisegna i contorni, azzera certezze, riporta alla bidimensione originaria.
Più di ogni altra condizione regola la misura della tua percezione: prima lo senti, poi semmai, a occhi socchiusi, lo vedi.
Quanto a mostrarlo, spalanca gli occhi e lasciati andare.

Ma fa caldo. Il condizionatore è off. Non so perché.
Devo bere, per cui apro gli occhi.
La prima immagine è di Laura per terra, attaccata alla finestra con mezzo letto a riporto.
Prendo quello che al momento ho… l’iPhone, e scatto.
Amo questo controluce. Amo Laura.
Sorrido… sono un fotografo inattuale.
Posso tornare a letto tranquillo.
Bye bye rivistina trendy.

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Fotocamera iPhone 4S, luce ambiente.