C’è sempre più cielo di quello che vedi.
E se anche sei abituato al tuo, ritagliato con geometrica precisione sulla testa, ce n’è un altro a un millimetro.
Ed è lo stesso di quello d’Australia.
Il cielo non ha confini… varia la propria rappresentazione a seconda di dove si trova… senza mai perdere la propria identità.
Quasi fosse una divinità.
Questo cielo non è di nessuno.
Impalpabile… incolmabile… inguardabile.
Se chiudi gli occhi lo puoi sentire.
Poi…
Poi c’è il cielo che c’è.
Quello che appartiene al tuo sguardo.
E questo è solo tuo.
Un cielo che puoi usare come fosse un fondale, come un contenitore, come spazio umorale cangiante.
Come voliera di un aquilone senza più filo, senza più un polso che lo trattiene.
Ma che fine fanno gli aquiloni che scappano?
E poi c’è il mio cielo di Milano.
Che adesso vedo anche da lontano.
Non è lo stesso delle nebbie infantili e del Duomo nero, quando proprio il cielo non c’era.
Sto camminando e me lo godo.
Vedo cavi che lo tirano da tutte le parti, e croci d’acciaio: un groviglio che non so descrivere.
Ma che so fotografare.
Una fotografia. Una sola. A me basta.
Parafrasando Hrabal, c’è più cielo negli occhi di un topolino che sopra le nostre teste.
Buon anno! Che sia sereno.
J’embrasse fort les amis parisiens…
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
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