My last Vasco Rossi…

Questa immagine, questo ritratto, fa parte dell’ultimo lavoro realizzato con Vasco Rossi.
Settembre 2014. Eravamo in Puglia.

Vasco Rossi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedUn lavoro piuttosto articolato. E io avevo in mente il colonnello Kurtz, proprio quello di Apocalypse Now. Quel Marlon Brando lì, che appariva dalle tenebre.
Che con le tenebre dialogava.
Non c’è un motivo, non una relazione che abbia una logica.

O almeno io non la trovo. Né la cerco.
E questo è assolutamente coerente: la fotografia alla quale penso non trova nella logica la sua risposta.
E comunque non fotografo risposte.

Un lavoro per l’ufficio stampa di Vasco Rossi, per Tania Sachs.
Che purtroppo non se ne fece niente perché non ci fu un solo magazine – che io ricordi – che ne usò una, anche una sola di questo percorso.
Come prendere una campagna stampa e ficcarla, magari con cura, nello sgabuzzino.

Solo Il Fotografo diretto da Denis Curti usò questa per la copertina: febbraio 2015.

Il Fotografo 2015 - cover Efrem RaimondiBasta, nessun altro magazine.
E non c’è alcuna colpa in questo, da parte di nessuno.
Una semplice questione di scelte editoriali.
Però però… Mi è stata immediatamente chiara la divergenza che si era creata tra me
e i magazine. Così d’emblée… Non do risposte.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Condividi/Share

Posato versus Istantanea

Posato versus Istantanea.
Nessun versus… È di ritratto che parliamo, con la consapevolezza che il soggetto,
il perimetro dove tutto si svolge, è quello fotografico.
Quindi in realtà è di fotografia che parliamo. E il genere lo lasciamo agli affezionati della collocazione.
Nessun versus appunto: la contrapposizione è solo il prodotto di una intellettualizzazione distorta. Questo per chi le immagini le legge, le commenta, le usa, le cura e tutta quanta la fauna che ha comunque un rapporto dialettico con loro.

Però non le produce.

Per la fauna che le produce, alla quale appartengo, la contrapposizione invece rischia di essere solo l’alibi per evitare l’una o l’altra. Tradotto, una dichiarazione di cecità.

Il postulato più diffuso prevede l’istantanea avere un grado di nobiltà che il posato si sogna, perché vuoi mettere la naturalezza?
La naturalezza?
Italo Calvino nel racconto L’avventura di un fotografo Gli amori difficili, Oscar Mondadori – usa il protagonista Antonino Paraggi per dire questo:

Il gusto della foto spontanea naturale colta dal vivo uccide la spontaneità, allontana il presente. La realtà fotografata assume subito un carattere nostalgico, di gioia fuggita sulle ali del tempo, un carattere commemorativo, anche se è una foto dell’altro ieri. E la vita che vivete per fotografarla è già in partenza commemorazione di se stessa. Credere più vera l’istantanea che il ritratto in posa è un pregiudizio.

Frontali come un crash emotivo i discepoli del posato.
Che sono una minoranza tendenzialmente silenziosa.
Ma armata di ogni ben di Dio. E di certezze inscalfibili – elenco lungo 85 punti, corrispondente all’ottica presunta preposta, che evito.
La verità non sta nel mezzo. Non esiste e basta.

La cifra di un ritratto si misura con i codici estetici propri dell’autore esattamente come quando si relaziona con un paesaggio urbano o lacustre, un nudo, una sedia, un matrimonio o un trancio di pizza.
Posato e Istantanea non sono codici estetici. Solo due diversi percorsi per raggiungere lo stesso obiettivo: la tua cifra espressiva.
Semmai possiamo discutere dell’autenticità di questa. Che resta l’unica istanza.

Ci sono posati decisamente più dinamici di tante istantanee.
E quando lo sono non si fanno distinguo.
Quando lo sono non pensi IL RITRATTO! Vedi una fotografia.

Nella sua interezza, non solo il faccione al centro. Ma anche la sedia in fondo nell’angolo alto a sinistra…
Il soggetto di una fotografia è la fotografia stessa. Tutto ciò che è visibile esiste e partecipa. Non è un dettaglio ininfluente.
Ciò che non c’è semplicemente non esiste.
E questo è il perimetro entro il quale ci misuriamo.
Che non è mai un luogo statico e noi passivi a cercare un margine di specchio dove rifletterci.

Non solo, ma posando si può indurre all’equivoco e far credere che ciò che si vede sia un’istantanea. Invece no, è un posato. So sorry.
Come questo ritratto a Valentino Rossi: Londra 2001, in studio, per GQ Italia.

Valentino Rossi by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved E ha funzionato così: pausa per sistemazione set… mi giro e ho la visione di quell’angolo lì, che non è la vista, ma la sua proiezione.
Chiedo a Valentino di entrare in questa visione. Lo fa.
In mano avevo una compatta analogica, sempre con me, una Ricoh GR1S con un 28 fisso E in macchina, sguardo ficcato nel mirino, mi relaziono con lui.
Questo è ciò che non c’era ma che era visibile se lo percepivi.
Funziona così, non c’è chissà quale alchimia.
Esattamente come questa, con la sua faccia da souvenir.

Valentino Rossi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedDa sinistra: Michele Lupi; Fabio Zaccaro, straordinario assistente; il sottoscritto; Valentino Rossi; Anne – non ricordo il cognome, so sorry – MUA.

Nessun luogo è vuoto. Nessun luogo è dato e inchiodato al telaio di una realtà assoluta e inalienabile. Nemmeno un fondo bianco.
Dipende solo da noi e dalle nostre visioni. Come renderle visibili è il percorso che la fotografia richiede.
Del dualismo posato/istantanea chi se ne frega.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Condividi/Share

Vasco Rossi e questa fotografia

Vasco Rossi e io ci conosciamo bene.
Anche se sono tre/quattro anni che non ci vediamo resta che ci conosciamo bene.
E non potrebbe essere diversamente visto come ci siamo dati fotograficamente per quattordici anni.
Sempre fotograficamente, la sintesi di questo percorso è condensato in TABULARASA, il libro fatto con Toni Thorimbert nel 2012: insieme abbiamo percorso ventisette anni con Vasco.

Che non è poco. E soprattutto è raro che ci sia un epilogo editoriale di questo genere.

A coloro che quando il libro è uscito mi scrivevano che non l’avrebbero preso perché non amavano Vasco Rossi rispondo adesso: e chi se ne frega!
Che il punto, l’equivoco, è sempre lo stesso: il soggetto è la fotografia prodotta, non la soggettività di chi o cosa è presente.
Ma è così difficile da capire?

E veniamo al dunque, questa fotografia:

Vasco Rossi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedCerto che è un ritratto. Ma indipendentemente se bella o brutta, è una fotografia – dell’utilità o meno non me ne occupo, mi fa sempre pensare al tizio che regala un minipimer al compleanno della moglie.
Una fotografia quindi. Cioè qualcosa che prima non c’era, non esisteva.
Lascia stare se è anche un ritratto, non è il punto.
Se è alle specifiche di genere che ti attacchi, questa fotografia non solo non la farai mai, ma neanche la immagini. Perché è tutta sbagliata.
E invece è di visioni che ci nutriamo. Come le traduciamo il differenziale.

Quasi due ore sotto la doccia. Un’enorme cabina: io da una parte con tanto di accappatoio e cappuccio a coprirmi dagli schizzi più asciugamano sulla fotocamera; Vasco di fronte perfettamente vestito e docciato. Stivali inclusi.
Grande collaborazione e pazienza – lui; grande tenacia il sottoscritto – mi si conceda il personalismo.
Di questo percorso ci sono altre immagini ovviamente, ma questa maschera è per me un’altra cosa proprio perché coincide con la visione originaria. Quella che avevo avuto due mesi prima.
Sai che mi frega del ritratto…

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Roma, Hotel Hilton Cavalieri – Gennaio 2004.
Assistenti fotografia: Fabio Zaccaro e Letizia Ragno.

Condividi/Share

Imperfetto

Imperfetto.
L’unico tempo declinabile se si vuol dire qualcosa.
Di tuo, di intimo.
Che si veda proprio bene come sei ridotto…
Che ti renda riconoscibile, in primis a te stesso… come guardarsi allo specchio,
consapevoli che mente. Sempre.
Ma questa menzogna è tutto quello che hai.
In sé, è credibile?
E perché lo è?
Altro che masturbazione, siamo proprio ai preliminari.

Imperfetto…
Quale il tuo grado di imperfezione?
Riconoscerlo, metterlo al centro, declinarlo.
Se non è così, straccia tutto.

E se sei in grado, ricomincia.

Scusa Raimondi, ma cosa stai dicendo?
Nulla. Assolutamente nulla di pubblica utilità. Fisso solo i miei canoni.
Al netto di qualsiasi pretesa universale.
Sai che mi frega dell’universalità della fotografia?
Zero.
Senza neanche il bisogno del punto esclamativo…

Di imperfezione si vive.
Di perfezione si muore.

© Efrem Raimondi - All Rights Reserved© Efrem Raimondi - All Rights Reserved

 

 

 

 

 

 

© Efrem Raimondi - All Rights Reserved© Efrem Raimondi - All Rights Reserved

 

 

 

 

 

 

© Efrem Raimondi - All Rights Reserved© Efrem Raimondi - All Rights Reserved

 

 

 

 

 

 

                                            © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Redazionale per AMICA mag.
Ranco – Lago Maggiore, 2002. Relais et Chateaux Il Sole di Ranco.
Styling Mirella Moretti.
Assistente fotografia Fabio Zaccaro.
Polaroid 690 SL – film Polaroid 600.

A margine.
Se proprio dovessi usare una didascalia, come fosse un tattoo, un hashtag su tutto sarebbe #fotografiaimperfetta.
Una per una, #imperfectphoto.
Che è il certificato di una relazione, il marchio di una reale esistenza.
Di lacrime e sangue. Senza alcuno sforzo.
Poi sì, c’è chi sostiene che il talento non esiste…

Condividi/Share

AAA Assistente

Lucia e Giulia. © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Via subito un equivoco: l’assistente fotografo non è un portaborse. Neanche un paggetto. E nemmeno un apprendista.
Un lavoro tosto in cui la relazione col fotografo è fondamentale.
La lacuna, la mia, è che non l’ho mai fatto. Perché quando avrei voluto non c’è stato sbocco. Ho capito poi il perché. E cioè: come puoi offrirti a un fotografo se non hai idea di cosa si sta parlando?
E io non avevo idea. Per cui mi sono arrangiato… certo mi sarei risparmiato un po’ di fatica e di sberle.
Quindi questo è solo il mio punto di vista di fotografo.
La fotografia non è un ambito esotico sospeso dove l’approssimazione trova dimora e la conoscenza è rimandabile a domani. Non c’è nessun domani, la fotografia è in tempo presente! Della tua vita puoi fare ciò che vuoi, e dilatare l’ombelico quanto ti pare, ma quando stai lavorando tutto si deve incastrare e basta.
Anche l’improvvisazione, quella roba che a volte fa la differenza.
E un assistente asseconda al volo gli umori del tuo cranio. Che a volte sono fulminei e inaspettati.  A volte sfiorano il deragliamento. E capita che abbiano un senso momentaneamente esclusivo, mio e invisibile.
Solo che può significare un ribaltamento della situazione. Subito.
Mica è facile… mica c’è il tempo di spiegare e fare disegnini.
Una palestra forse interessante per chi già sa ed è duttile, un assistente insomma. Un disastro per gli altri.
Dico un, ma è anche una assistente. Anzi, in genere preferisco. Perché le fanciulle hanno una marcia in più. E non mollano finché il lavoro è finito. Mediamente. Che quella sparuta eccezione di maschietti non s’incazzi per favore! Gli altri farebbero bene a guardarsi un po’ meno allo specchio e di più attorno, senza misurare continuamente il bigolo, che non c’è nessuna medaglietta in palio.
La capacità di monitorare il set, di avere cioè uno sguardo più ampio e percepire cosa accadrà da lì a un attimo. Ci vuole intesa, per questo preferisco un rapporto durevole, che riempia un periodo comune… che possa sfornare aneddoti e istantanee dopo vent’anni, direttamente dalla memoria. Perché è vero, un assistente è in grado di percepire in una mezz’oretta al primo incontro con chi ha a che fare, ma l’intesa, quella vera e complice, cresce col tempo. Ed è fatta anche di dettagli, di sfumature. Di manie para superstiziose che spesso i fotografi hanno. E che vanno assecondate. Senza domande, comunque prive di risposta. Poi ognuno tragga le sue conclusioni.
Strane bestie i fotografi. Almeno quelli non prodotti con lo stampino, né da party o da famigliari ben introdotti. E in questo gli assistenti sono un termometro infallibile perché a differenza di altre figure sovrintendenti, determinano sulla base del puro merito.
Che è dato da un percorso complesso, articolato, realmente creativo, da ciò che dichiari di fare a ciò che poi realmente fai.
Quello dell’assistente può essere uno stato temporaneo, scandito dal tempo che separa dal diventare fotografo. Oppure uno stato in sé concluso.
Non c’è differenza! Entrambe le condizioni non sono in funzione di un futuro più o meno prossimo, ma rispondono al presente… uno specifico che non prevede lo scatto, ma la predisposizione del resto. Di tutto il resto di competenza fotografica. Anche gli assimilabili se non c’è un responsabile di produzione.
Fare assistenza non significa presenziare per imparare o rubare il mestiere… ma mettere a disposizione il proprio bagaglio affinché un altro faccia fotografie.
Piatto piatto così si capisce meglio.
Chiaro poi che è un rapporto dialettico e non si procede col cranio blindato: gli occhi devono essere ben aperti… le orecchie tese. E lo scambio reciproco.
Io faccio prevalentemente ritratto, e questo mi permette di mettere bene a fuoco la distinzione dei ruoli credo: a un assistente chiedo di garantirmi tutto il ponderabile, con un occhio attento all’imponderabile che mi riguarda. Tutto qui.
Ho imparato molto dal rapporto coi miei assistenti. Anche oggi.
Sono le persone che ho più vicino quando lavoro.
Da qui la mia stima e riconoscenza.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

AAA Assistente – Gallery

Con queste persone ho avuto la collaborazione più stretta.
A loro ho chiesto una fotografia che li rappresentasse e due righe, che qualcuno ha dilatato modello A4  (ho estrapolato, tanto c’è modo e spazio per tornarci sopra).
In tempi stretti. Per questo giustifico (parzialmente) l’assenza di qualcuno.
Che comunque includo.
L’ordine è cronologico e gli anni indicano il periodo:

Marco Pagani, fotografo:                  ’86 – ’90.

Guido Clerici, fotografo:                    ’90 – ’94.
Guido, 45 anni, campo con la fotografia. Un giorno lavorerò sul serio e fotograferò per passione. www.guidoclerici.it

Emanuela Balbini, fotografa:     ’94 – ’99, occasionalmente tra il 2003 e il 2010. www.emanuelabalbini.com

Fabio Zaccaro, organizzazione e preparazione servizi presso gli studi fotografici
Condé Nast, Milano:                           ’99 – 2004.
Una bella persona (l’assistente non è ne’ maschio né femmina, è semplicemente assistente). Dovrebbe avere la conoscenza tecnica fotografica più ampia possibile, e soprattutto come dice la parola stessa ASSISTERE il fotografo, nel suo significato più ampio e allrgato del termine.

Pietro Bomba, docente di teoria e tecnica fotografica presso ISFCI (Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata), Roma.     ’99 – 2001.
Con alcuni fotografi l’assistenza è un’esperienza emozionante, soprattutto quando c’è empatia e sintonia. E si diventa una vera squadra. Così ci si sente egualmente responsabili e partecipi del risultato.

Letizia Rgno, fotografa:     2003 – 2007.
Per come la vedo io la figura dell’assistente deve essere: superpreparata tecnicamente, disponibile, intuitiva e trasparente peccato nel nostro paese questo mestiere non goda di grande rispetto ( ? considerazione??).   www.letiziaragno.com

Nicole Marnati, fotografa:                2004 – 2008.
Una professione a tutti gli effetti : disciplina, responsabilita’, etica. Essere assistente e’ un processo di crescita e sicuramente un lavoro. Capirne i ruoli, i meccanismi , le ragioni e le conseguenze. Adottare una strategia. Ripettare le regole del gioco, ma giocare www.nicolemarnati.com

Giulia Diegoli, assistente:                  2009 ad oggi.
Credo ci siano tanti livelli ai quali si può lavorare e senza dubbio questa è una professione che diventa appagante nel momento in cui si instaura un rapporto di collaborazione attiva con il fotografo, per cui non sei solo un braccio che risolve problemi ma anche una testa capace di dar spunti differenti.

Lucia Iannuccilli, assistente:               2010 ad oggi.
Dietro ad un grande fotografo c’è sempre un grande assistente