Questo ritratto non è un ritratto.
È una fotografia.
mio padre, 1995.
© Efrem Raimondi. All rights reserved
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Rimini, una vita che non ci vado.
Rimini, luogo di scorribande giovanili fino a Gabicce.
Rimini… adesso ci torno.
E la responsabilità è da attribuire a Maria Teresa Romolo, del direttivo dell’associazione fotografica t.club… riminesi, sappiatelo: io non ho colpa originale.
Solo la voglia di tornare a Rimini.
E non lo faccio mai… non presento mai così un incontro che mi riguarda.
Questa è un’eccezione dovuta a Rimini.
Magari ce ne saranno altre di eccezioni. Non lo so.
Ma intanto c’è questa.
Non so neanche individuare con precisione il legame che sento…
Rimini è per me un’atmosfera.
Un luogo mnemonico.
Il primo libro di Raymond Carver… la Pilsner Urquell a ettolitri… il mare che boh, è solo d’inverno… una coppia di amici carissimi.
Il lavoro di Marco Pesaresi, che nel 2001 ha deciso di andarsene.
Da tutto. Da tutti.
Sarà una serata di 28 secondi dilatati.
Il cui soggetto è la sottrazione.
Venerdì 30 ottobre – Sala del Podestà – h. 20,30.
Rimini.
E poi c’è Chico De Luigi, che non vedo da un po’.
Che ho voglia di rivedere e che mi ospita nel suo B&B CamereChiare.
Mi preoccupa solo il programmino che dice di avermi riservato.
Che lo conosco…
So we were, so we are.
Photography can never die.
© Efrem Raimondi. All rights reserved
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Tornando a casa,
troverete tante fotografie.
Date loro tutto l’amore di cui disponete, anche una carezza è opportuna…
Ma non un titolo.
Di quelli belli fantasiosi e involontariamente comici.
Una notte insonne – una settimana – un mese – una vita a spremersi il cranio et voilà, il titolo é…
Suggestioni vegetali magari non è il caso se è una pianta, chessò, un platano.
Se è un paracarro, anche se di lamiera e ammaccato, Sbandamenti non è il caso.
Ma non sarebbe meglio limitare il danno a ciò che si vede?
Sono le nostre fotografie, le nostre opere? a implorarlo.
E anche noi.
Siccome non ho né cranio né cranio… io faccio in fretta: creo una serie e poi numero in ordine progressivo + anno:
Orizzontale UNO, 2006
Oppure l’oggetto del contendere e il numero di scansione o di file originario + anno:
Fiori_238, 2012
Se un ritratto, il nome del soggetto + anno:
Philippe Starck, 1996
Per le fuori serie faccio un’eccezione, ma sto sempre lì:
Sconosciuta, 2014
Poi ognuno faccia come gli pare.
Breve campionario di ciò che si trova:
Riflessi Pietrificati – Riparliamone – Quiescenza Integrata – Incursioni rurali – Velleità – Ripieni nel vuoto – Stratosferica romantica – Sprovveduto – MelaDai – TelaDo – Sembianze d’autunno – Essere altrove – Prove liberatorie – Forever smiles –
Qui – Là – Su – Giù – Provvedimenti – Pressappoco – Tentazioni infingarde – Visioni preventive – Sospetto – So’ stretto – The sound of their breath fades with the Light –
Salti introspettivi – Introspezione – Livore – Impianto accusatorio – Saremo – Sarò – Sarai… Il resto mettetelo voi.
© Efrem Raimondi. All rights reserved
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Giovanni Gastel, Un eterno istante. La mia vita…
Un’autobiografia. Di quelle decisamente vere.
Dovevo passare un po’ di ore in treno. Luogo ideale per leggere.
E così ho fatto.
E così ho lasciato fuori l’Italia sgangherata che attraversavo.
Lettura piacevolissima. Leggera. Densa. Sfumata. Ricca.
Dove le cose si dicono. E non si gira intorno.
Che ti porta anche altrove.
E ce n’è bisogno.
Per chi è fotografo, per chi conosce Gio, una conferma.
Perché lui è esattamente così.
Almeno per quel poco tempo che ci si conosce, è proprio lui…
Mi concedo una piccola nota personale. Però utile.
Lo scorso marzo, eravamo insieme per chiacchierare di una roba e poi:
”Ma Efrem, non ti ho mai ritratto?”
No… non mi hai mai ritratto Giovanni.
Ed ero curioso… un fotografo che ritrae un fotografo.
Poi me, che non amo stare dall’altra parte. Non è più il tempo.
Ma le eccezioni esistono.
Gentilissimo e leggero… in un quarto d’ora, venti minuti, mi sono trovato ritratto – sviluppato – stampato – dedicato – incorniciato.
E quello che ha restituito non sono io.
È lui.
Cioè quello che per me conta.
© Efrem Raimondi. All rights reserved
Un eterno istante. La mia vita, Giovanni Gastel.
2015, Mondadori.
144 pagine + XXXII pagine di tavole fuori testo.
Rilegato con sovraccoperta, 14×21 cm.
€ 16,90.
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AVVERTENZA!
Questo articolo è già stato pubblicato nel dicembre 2013.
Lo ripubblico integralmente con qualche piccola modifica.
Aggiunte anche un paio di immagini.
Che non so perché non le avevo pubblicate allora.
L’originale lo nascondo, commenti inclusi.
Ma resta tutto a disposizione.
Una traccia per le prossimissime cosiddette lectio magistralis.
Uno spunto.
Uno sputo.
Ingenui, eccessivi, sfrontati.
In che altro modo si può essere se privi di esperienza?
Ingenuo, latino… nel diritto romano coincide con lo stato di Libero.
L’ingenuità non la apprendi né la coltivi e, anzi, ne perdi un pezzo man mano che campi.
A favore di conoscenza e esperienza, che sono importanti… ma dopo!
Prima c’è la condizione ingenua. E faresti bene a sfruttarla se hai vent’anni e vuoi fotografare.
Perché è questo il momento in cui misuri il tuo talento.
Che è una dote gratuita, e proprio per questo non va gettata.
Si getta ciò che si compra, non i regali.
E va mostrata il prima possibile: al bando tutto! Incertezze, paure, ritrosie e bon ton.
Conta solo la dote.
Il cui valore non dipende dagli altri. Gli altri se ne fregano, quindi non sono un alibi da sventolare.
Non può neanche essere un alibi il fatto di non essere figlio della/del grande: fotografo, pittore, musicista, regista, imprenditore, architetto, giornalista, direttore – di qualsiasi genere – avvocato, critico, premio Nobel, attore eccetera.
I FIGLI DI hanno un indubbio vantaggio… ottimo per la carriera professionale.
È così, facciamocene una ragione.
Ma che importanza ha? Il talento è altra roba. E può riguardare chiunque.
Col vantaggio che se lo mostri, si vede!
Non dico che le condizioni famigliari non abbiano un peso, dico che non c’è altro modo che fottersene. Perché se pensi che tutto sia precluso per via del natale, non solo ti sbagli ma, cosa ancora più grave, sei un soldato dello status quo, di quel conservatorismo che non ha bandiera e che vorrebbe tutto davvero ridotto alla misura del potere costituito.
Mentre è solo con l’insurrezione e la rivolta che le condizioni cambiano.
Sempre.
L’arma che hai a disposizione è il tuo talento.
Quindi non cincischiare, mostralo!
Sappi che più è evidente e cristallino, più sarà offeso: da chi non lo riconosce e da chi lo riconosce bene ma non lo ritiene utile.
Sai che me ne faccio dell’utilità? Come regalare un minipimer alla fidanzata…
C’è sempre però qualcuno da qualche parte, che a sue spese potrebbe ammiccare.
Dagli retta.
In genere è riconoscibile, non pirla in giro e è onesto: ti dice con assoluta precisione cosa fare. Come muoverti.
Lo riconosci anche dal fatto che non ti rimbalza a qualcun altro, ma si assume personalmente l’onere di offrire un argine al tuo talento.
Perché senza un argine, rischi di disperdere un patrimonio.
Gli argini sono il luogo dove l’ingenuità trova forma e diventa volume, peso specifico. Espressione.
Essenzialmente a questo dovrebbero servire i portfolio reading: a riconoscere il talento.
Se c’è.
Qualcuno mi dica se è così che funziona.
Ho fatto entrambe le cose: mostrato il mio portfolio a suo tempo, e letto diversi portfoli negli ultimi anni.
Potrei dilungarmi sulla variopinta fauna, abbigliata d’aura fotografica, di entrambi gli schieramenti.
Da una parte presunzione e cliché random, poi ogni tanto un talento.
Idem dall’altra. Quindi è patta.
E comunque se proprio devo scegliere, io sto con me.
E con pochi altri.
Io mi fido di più dei poco allineati. Se sei lì col tuo portfolio e sei un vero talento, faresti bene a fare altrettanto.
Perché l’allineamento è solo un grado della conservazione.
Mentre tu devi spingere. Rompere gli equilibri.
È spesso l’unica chance che hai. Oggi più che mai.
Se poi devi anche per forza urlare Largo ai giovani! per spirito di appartenenza generazionale, fallo pure. Con la consapevolezza che è un’enorme cazzata demagogica.
E che a breve lo sentirai dalla bocca di chi di anni ne ha cinque meno di te.
Faresti meglio a urlare a squarciagola Largo al talento! Che è la vera discriminante.
Già… ma come si fa a riconoscere il talento?
È facile: guarda da un’altra parte. E lo fa con una semplicità e una caparbietà che non lasciano dubbi.
Lo fa con una leggerezza incosciente, mostrando bene il fianco e fregandosene dei risvolti.
Quasi ignaro del trend, va per la sua strada. Che è ben visibile.
Il tempo poi dirà se si è smarrito per i troppi tornanti o se qualche curva non gli ha impedito di maturare, di puntualizzare il senso della propria rivolta.
Perché, ribadisco, il talento è rivolta. Non emulazione, non scimmiottamento.
Convengo che oggi è tutto molto più difficile. Ma quando tocca a te, indipendentemente dall’epoca in cui vivi, è sempre tutto più difficile.
Certo, il surplus di fuffa disorienta. Mai come in quest’epoca le sembianze mediatiche dirigono la danza.
Ma tant’è.
Se il tuo talento è vero, saprai disciplinarlo.
E supplire allo sgomento.
© Efrem Raimondi. All rights reserved
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Questo lavoro è del 1981.
Proclamato dall’ONU ”Anno Internazionale dell’Handicappato”.
Diversamente abili se fosse adesso. Per me non cambia niente.
Realizzato presso il centro ANFFAS di Legnano. Allora un’avanguardia.
Segue di pochi mesi quello sul terremoto irpino, che ho qui pubblicato un po’ di tempo fa.
Lo spirito è lo stesso.
Stesso anche tutto l’armamentario fotografico e il suo uso un po’ così, disinvolto…
Stesso piglio reportagistico, intimista e completamente avulso dallo spirito di allora.
Ma anche di adesso.
Questo e quello sono la mia vera matrice espressiva: tutto da qui!
Che poi ho fatto altro. E il reportage, chissà…
Stesso tutto…
Stessa ingenuità.
Che è ciò che mi ha permesso di fare il fotografo.
Altre possibilità non ne avevo.
Ma avevo ventidue anni.
Questo è il primo lavoro che ho pubblicato.
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Alessandro Zanardi © E.R.
Workshop, La sede del ritratto, prossimissimi…
Va be’, Follonica è settimana prossima, quindi andato.
C’è solo la cosiddetta lectio magistralis la sera del 9 ottobre, aperta a chiunque voglia.
Così come Roma, per Rimesse Fotografiche, che è il 17 e 18 ottobre.
Entrambe le info comunque si trovano nel menù in alto alla voce WORKSHOP ECCETERA.
Quindi c’è Milano:
7-8 novembre
New Old Camera
Organizzazione Workshop On The Road
In generale il senso del percorso è questo
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Il mio mandato era di fare due ritratti.
Ma ne ho fatti di più.
Che dentro quel teatro di Gualtieri c’era un’atmosfera davvero particolare.
E visto che Ezio Bosso non si risparmiava, io idem.
A volte incontri persone che ti piacciono proprio.
E ti viene voglia di girargli intorno.
Senza motivo e senza mandato.
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Polaroid, dicembre 1997.
Dalla serie Appunti per un viaggio che non ricordo.
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Specchio a margine, 2015 © E.R.
Nulla succede per caso.
Ma per accorgersi che qualcosa sta succedendo, occorre essere curiosi e sapere ascoltare. Con tutti i sensi.
La fotografia, farla davvero, non impegna la sola vista.
E questo vale per tutti. Perché appunto, nulla è casuale.
Semmai causale.
Durante il mio workshop alla Fondazione Fotografia Modena, chiacchierando con Nicola Petrara, lì partecipe, viene fuori che ha fatto un lungo lavoro in un carcere di massima sicurezza.
Massima sicurezza… dove molti oggetti di uso quotidiano vengono negati.
Come lo specchio.
Non ci si pensa… ma se d’emblée ci venisse precluso, lo specchio intendo, che sarebbe della nostra faccia?
Quale la nostra identità?
Lavoreremmo sulla memoria?
Stai in carcere due, cinque, vent’anni… poi ne riparliamo.
Non c’entra con nessuna valutazione morale né con la pena che stai scontando: è l’idea insopportabile della propria immagine negata.
E di un riscontro impossibile: come avere la faccia da un’altra parte.
Per cui quando Nicola entrava in carcere era altro che ben accetto, di più!
Perché il monitor della sua digitale diventava il luogo di restituzione dell’identità. E il tempo finalmente tornava a coincidere.
Questa la molla che ha scaturito questo articolo – mi son rotto le balle di dire post… quelli, oggi, li fanno i newsmagazine.
E così ho coinvolto prima Giovanni Mereghetti, collega che conosco e stimo, e poi suo figlio Hermes.
Perché entrambi hanno fatto un lavoro sul carcere.
Questo è quanto. Buona visione.
© Efrem Raimondi. All rights reserved
Giovanni Mereghetti
Casa di reclusione di Milano-Bollate. Ottobre 2012 – Febbraio 2015.
Da sempre mi occupo di problematiche sociali e soprattutto della gente di “serie B”. Fotografare in un carcere significa andare oltre i margini del vivere comune. Entrare in contatto con persone che siamo abituati a vedere in modo diverso. Conoscere le loro storie, cercare di capire le loro vite. E poi fotografarle senza “rubare nulla”. Alla fine una stretta di mano. E un sorriso.
© Giovanni Mereghetti. All Rights Reserved
Hermes Mereghetti
Casa di reclusione di Milano-Bollate. Marzo – Luglio 2015.
Sulla scorta del mio precedente lavoro fatto in studio su persone amiche e conoscenti, ho voluto approfondire la mia ricerca interiore dell’individuo attraverso la particolarità dei detenuti di un carcere. E’ stato importante lavorare in simbiosi con i soggetti, i quali, oltre che posare, hanno suggerito loro stessi un aggettivo che in qualche modo li rappresentasse.
p e r m a l o s o
f i d u c i o s o
s i m p a t i c o
g e n e r o s o
c a l c o l a t o r e
d i f f i d e n t e
© Hermes Mereghetti. All Rights Reserved
Le immagini sono state realizzate durante due progetti distinti, nel 2008 e poi nel 2009.
La spinta iniziale è arrivata dalla curiosità di entrare in contatto con un mondo a me sconosciuto. La fotografia spesso ha questa funzione di “chiave”.
Ho accettato volentieri l’invito di due miei amici a documentare il loro progetto su base teatrale.
© Nicola Petrara. All rights reserved
N O T E
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