David Chipperfield in Galicia. Report

David Chipperfield - Stefano Core by Efrem Raimondi

34 ore per un solo ritratto.
34 ore leggere.
Senza trambusto… come mi piace adesso, che un po’ di cose sono cambiate.
E io con loro.
34 ore in luce piena. Anche di notte. Perché la luce si sceglie.
Corrubedo, Galizia, Oceano mare – qualsiasi riferimento a Baricco è inopportuno.
David Chipperfield e Stefano Core, amministratore delegato di Driade.
Questo l’assignment di Grazia Casa, magazine Mondadori.
Ma già che c’ero…

Già che c’ero mi sono guardato attorno, e mentre guardavo scattavo. Un po’ con l’iPhone e un po’ con la Nikon… e questi sono gli unici due strumenti che avevo, estremamente accondiscendenti e rapidi. No computer, no generatori e flash. No assistenti: per come avevo pensato di lavorare ero di troppo anch’io.
Se si potesse ridurre tutto alla minima presenza si brucerebbero meno energie. Cioè meno ossigeno.
Questo è l’unico vantaggio immediato del digitale.
E col ritratto che da un po’ rifletto, è un vantaggio vero.
Non sempre possibile. Ma questa volta sì.
Per me è quasi come tornare all’origine, che mettevo dei rulli in un sacchetto di plastica e in tasca una compatta.
L’inconveniente era che non sembravo molto credibile quando arrivavo a destinazione… certe facce!
Forse anche adesso. Ma io non me ne accorgo e mi godo le facce che trovo.

Questo sembra un report… ma è più simile all’idea che ho di redazionale, sponda iconografica.
Un racconto breve di 34 ore impegnate per un solo ritratto.
Ma già che c’ero…

Madrid airport by Efrem Raimondi

Santiago de Compostela airport by Efrem RaimondiVigo airport by Efrem Raimondi

Santiago de Compostela - sky by Efrem RaimondiTre aereoporti: Madrid, Santiago de Compostela, Vigo… non quelli di Milano Malpensa e Milano Linate al ritorno, che non ci ho neanche pensato.
E un solo cielo, quello sopra Santiago mentre si atterrava nel giallo serale.
Non ero mai stato in Galizia… un verde totale. Ma proprio tanto.
Poi un’ora di macchina per arrivare a Corrubedo, in faccia all’Atlantico.
Ma se il mondo finiva alle Colonne d’Ercole, qui dov’era?
Mentre girovagavo per casa Chipperfield alla ricerca di un punto fotografico per il giorno dopo, me lo chiedevo… qui dov’era? E cos’era?
Una luce lunga, di quelle che sembrano non spegnersi mai…
In mezzo una snap a Stefano Core mentre David Chipperfield cucina una pasta alle sarde.

Corrubedo. Galicia. View from David Chipperfield's house, by Efrem Raimondi

Stefano Core by Efrem RaimondiCorrubedo. Galicia. View from David Chipperfield's house, by Efrem Raimondi

Il mattino dopo comincio con un’istantanea a Elisa Astori, direttore marketing Driade, e poi il motivo per cui sono qui, David Chipperfield e Stefano Core. Insieme. E una no.

Elisa Astori by Efrem Raimondi

David Chipperfield and Stefano Core by Efrem RaimondiDavid Chipperfield and Stefano Core by Efrem RaimondiDavid Chipperfield and Stefano Core by Efrem Raimondi

David Chipperfield by Efrem RaimondiAppena fatto questo ritratto singolo ho pensato che avevo finito.
34 ore. All-inclusive.

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Fabriano – Due giorni

 

Efrem Raimondi a Fabriano

È molto semplice: il 13 e 14 di questo mese sarò a Fabriano, al Laboratorio Sociale Fabbri.
Cioè un centro sociale. Con forte presenza femminile.
È ancora più semplice: non sono mai stato in un centro sociale a chiacchierare di fotografia.
Che poi non sarà un chiacchierare… sarà come in altri spazi nei quali mi sono presentato per delle lectio magistralis, come si usa dire. Uguale: io sono la stessa persona.
E soprattutto lo stesso fotografo.
Quando Valeria Carnevali mi ha proposto questa due giorni, non ho avuto alcuna esitazione.
Detto e ridetto, nessun luogo è più deputato di altri a priori.
Conta solo chi incontri.
Devo ammetterlo… mi affascina molto.

Visto che il secondo giorno è dedicato alla lettura portfolio, ripropongo questo post:

Efrem Raimondi Blog

Per informazioni più specifiche: ripartefestival@gmail.com
Questa la pagina FB dell’evento:
https://www.facebook.com/events/529145290548879/?ref_dashboard_filter=upcoming

Forse

maybe, Efrem Raimondi

“Ma davvero sei fotografo?”
“No, per finta. La fotografia è finzione.”

La domanda mi è stata posta in un bar.
Nello stesso bar la risposta.
È andata così. Ma non c’è mai una risposta univoca. Salvo in casi estremi o immediatamente pratici, tipo “Vuoi del bourbon?”
O sì, o no. Forse, non è una risposta.
“Forse…”
Ecco fatto… poi facci sapere.
In fotografia, essendo un altro mondo, una realtà parallela ma in quanto tale non coincidente, FORSE è la condizione.
La fotografia decalcomania, quella che aveva nella catalogazione del mondo il suo motivo di esistere, è sparita. Forse.
Ma da una cifra, appena s’è stufata di fare gara di realismo.
La fotografia assertiva, quella che si prende la briga di affermare semplicemente se stessa, è quella che a me interessa.
E qui sì che c’è una coincidenza e riguarda la visione dell’autore.
Che è una finzione, una simulazione di realtà.
Qualsiasi cosa ritragga è una rappresentazione del sé.
Dico subito che non me ne frega niente di scadere nella sociologia spicciola e nella psicologia, spicciola anche lei, e cominciare a disquisire sull’uso degli smartphone negli asili e il loro impatto sulla famiglia moderna… che s’impattassero pure.

Quindi il soggetto della fotografia è se stessa.
Ed è superfluo invece sapere in che percentuale sia prossima alla realtà. O peggio, alla verità.
Mi preme sintonizzarmi con ciò che rappresenta. Di più! Sul come lo rappresenta.
In sostanza mi interessa la rappresentazione della realtà e la sua manomissione. Il grado di possesso dell’autore.
Quando il mondo vide Morte di un miliziano di Robert Capa, 1936, i peana non si contarono. E andarono avanti fino ai primi ’70, quando si cominciò a dubitare dell’autenticità della fotografia.
Prego??? Già, perché pare, si dice, ci sono prove, analisi e dibattiti che invece no: il miliziano è soggetto sano e vegeto, mentre fuma sigaretta, in fotogrammi successivi; che il miliziano è caduto due volte; che non nei pressi di Cordova ma in località Cerro Muriano e poi e poi non mi dilungo, tanto è tutto noto.
Questa fotografia è stata l’icona del reportage, la foto delle foto… e adesso no, che mica si fa così, che Capa ci ha preso tutti per il culo.
Che smacco! Che smacco?

Susan Sontag - Efrem Raimondi Blog

Susan Sontag in Sulla fotografia, nella prima edizione del 1973  – Einaudi 1978 – dice:
Le conseguenze della menzogna sono necessariamente più importanti per la fotografia di quanto potrebbero mai esserlo per la pittura in quanto le fotografie avanzano pretese di veridicità che non potrebbe mai avere un quadro.
Quando lo lessi da ragazzo mi piacque molto. L’ho sfogliato recentemente e ho riletto le precise sottolineature che feci allora: ecco, adesso sarebbero molte meno.
Non so dire se all’epoca della sua pubblicazione la Sontag fosse al corrente o meno dell’ambaradan che si stava mettendo in piedi intorno al miliziano di Capa. Presumo di sì.
A scanso di equivoci in Davanti al dolore degli altri, Mondadori 2003, che invece trovo comunque molto interessante dice: L’efficacia di “Morte di un miliziano repubblicano” sta nel mostrarci un momento reale, catturato fortuitamente; perderebbe ogni valore se dovessimo scoprire che il soldato sul punto di cadere ha recitato per l’obiettivo di Capa.

Susan Sontag - Efrem Raimondi Blog

Quindi il vero soggetto non è più l’immagine, ma la sua veridicità.
Questo viene detto. Di fatto.
Ma cosa cambia!?
È assolutamente probabile che Capa abbia assistito in altre circostanze alla morte essendo un fotografo di guerra.
E questa è una fotografia verosimile. Quanto percentualmente sia prossima alla verità è importante?
No. Nella misura in cui Capa si preoccupa di rappresentare la realtà che continuamente vede. E ce la restituisce.
Può essere un falso storico?
Sì, nel suo specifico. No nella sua rappresentazione.
E fine della faccenda.
Questo è un esempio molto pertinente sul come diversamente si può intendere la fotografia. Ed è indubbiamente considerabile come estremo, quasi oltre. Quasi non accettabile. Quasi blasfemo.
Ma la fotografia che ci interessa e che facciamo non è la perizia di un sinistro.
E non ha alcun obbligo col reale, verso l’esistente tangibile e catalogabile, che è solo una comodità fotografica, un luogo dal quale attingere a piacimento.
Detta piatta: prendo ciò che voglio e lo restituisco come voglio ex novo. Ma perché sia davvero finzione, e quindi fotografia, non si nota. Compresi mossi e sfuocati, che dichiarano apertamente l’essere una rappresentazione.

Architettare la propria finzione… che per quello che mi riguarda ha sempre a che fare con la rappresentazione della realtà percepita. Compresa quella dell’inconscio. Comprese emozioni, passioni, pruriti e idiosincrasie.
Rappresentazione, non didascalia. Rappresentazione, non escamotage manieristico.
Rappresentazione, cioè quella roba che prevede un’appropriazione e una restituzione che non riguarda la Storia.
Che poi, come se la Storia fosse un certificato di morte.
Magari lo è, ma apparente. Che a scriverla notoriamente sono i vincitori.
Paradossalmente è proprio quella fotografia che ha nell’intenzione una certificazione di verità che oggi si ammanta di beltà ultramediatica. Perché la realtà non è abbastanza vera… non somiglia alle cover di certi bei magazine.
Fino a diventare caricatura.
Un parossismo comico. Che però piace alla gente che piace.
E che è di un trash cosmico. Globalizzato si direbbe.

Ma che bella faccia! Fresca di carrozzeria si direbbe se non fosse di Steve McCurry… ma vi piace davvero questa fotografia?
Che a me non sembra diversa dall’iconografia cara alle suicide girls.
Come tornare al vecchio pittorialismo. Uguale.
E in tutto questo si trova il tempo per esporre al pubblico ludibrio, con espulsione da tutto, il fotografo Narciso Contreras reo di aver contraffatto una fotografia scattata in Siria eliminando una cinepresa da un angolo: ma fatemi il piacere!

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http://www.internazionale.it/news/fotografia/2014/01/23/un-fotografo-dellap-licenziato-per-una-foto-contraffatta/

Quante anime candide… quanta demagogia.
Sotto cieli che manco il giorno del Giudizio Universale, si decora la morte.
Senza indugio, butta tutto.
E si ricomincia.
Si può fare.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fotografia in vacanza

Efrem Raimondi photo

Io resetto tutto e me ne vado.
Anzi, prima me ne vado, poi all’imbocco di un viale qualunque di qualsiasi agosto il mio cranio passa in ora legale.
E questa è la mia vacanza. Un tempo sospeso nel quale mi disintossico alimentando relativismo e distacco.
E una sola certezza: finché anche qui, qualsiasi qui sospeso, trovo il motivo della fotografia che mi riguarda, sono vivo.
Lo trovo anche in altri sguardi, mentre girovago tra social e blog, con un Internet non sempre accondiscendente.
Lo trovo in alcune, rare, immagini… e poi lo trovo, spalancato nella sua compostezza, in un Facebook post di Francesca Stella, fotografa e blogger:

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Verrà mai un giorno in cui si dovrà ammettere di aver detto tutto?
Come una fucilata.
Infatti scarso consenso e nessun applauso. Un commento uno, quasi imbarazzato, il mio. Che è giovane la fanciulla, perché si pone questa domanda adesso?
Ma è una domanda che chiunque abbia a che fare col linguaggio non può non essersi posto, anche distrattamente. Anche poi risbattuta a calci e insulti nello sgabuzzino da dove è venuta.
Che prevede però due cose: che tu abbia davvero detto qualcosa, e che lo stesso tu non abbia più niente da dire.
E che a questo punto te ne renda conto, ti inchini e ti appendi da qualche parte.
Perché di finire su un piedistallo mobile, supposto che te lo diano, avanti e ‘ndre per palcoscenici a sparare cazzate e aneddoti, equivarrebbe a una veglia funebre itinerante.
Ci tieni?

Una questione intima quella di avere o no ancora qualcosa da dire.
Che non riguarda il consenso, per quello spesso basta il mestiere, forse più di comunicatore/trice che di fotografo.
Riguarda solo te stesso e la certezza che non stai bluffando.
Qualsiasi strada è buona e io uso la vacanza estiva… le fotografie delle vacanze, sissignore.
Che non so perché siano così snobbate… ma quando mai hai così tanto tempo a disposizione per fotografare in santa pace, senza dover rendere conto a nessuno? Potendo persino scegliere la pubblica incomprensione: è la cartina di tornasole del tuo sguardo, che ti frega del resto del mondo? È allo specchio che ti stai riflettendo, e non c’è nessuno, nemmeno nascosto dietro la tenda alle tue spalle.
É di questo che ti devi convincere: non c’è nessuno.
E nessuna fotografia è mai stata fatta.
O sono state fatte tutte… la condizione è la stessa.
Non pensare… dai retta allo stomaco che insiste e ti chiede DI COSA HAI FAME?
Chiudi gli occhi. E poi scatta.
Se quando li apri non ti rifletti, sei arrivato e non c’è altro che tu possa aggiungere.
Appenditi.

Una vacanza per venti immagini.
Venti come capitano.
Venti che mi servono.
Più una dell’anno scorso, visto che è sempre Pinzolo, Valle Rendena, Trentino.
Che non c’è come misurare lo sguardo negli stessi luoghi.
Cos’è che non ho visto ieri e che invece oggi mi è evidente come una decalcomania?
Quest’una è perché ho un dubbio. E i dubbi li manifesto.
Succede. A me succede.
Quando non accadrà più, quando mi rifletterò in sole certezze mi appenderò anch’io.
Che tanto non avendo alcun piedistallo è più facile.
Garantito.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Efrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photo

Efrem Raimondi photo

Efrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photoEfrem Raimondi photo © Efrem Raimondi. All rights reserved.

f/64 – il blog di Francesca Stella
stella_2iPhone 4s e Nikon D800 – per la prima volta in vacanza…

DOVE VAI


Otto opere 100×100 cm.
Realizzato in Franciacorta (Lombardia) nell’ottobre 2002
con una SX-70.
Con lo sguardo attonito, rivolto a terra poco oltre i miei piedi, attraverso un paesaggio mutato e continuamente mutante.
Dove tutto si mischia e coesiste… simile ormai
in tutta la vecchia Europa.

Questo la scheda di DOVE VAI, inserito in Tracce. Una mostra a invito voluta dalla Fondazione Terra Moretti e dalla rivista Photo.
Ospitata in due sale de L’Albereta Relais & Chateaux di Erbusco: Franciacorta piena.
Adelaide Corbetta e Wolf-Gregor Pazurek i curatori.
Oltre a questo mio lavoro, quelli di Hassan Badreddine e di Hugh Findletar.
Era il dicembre 2002… qualche anno fa.
 La Polaroid SX-70 alla portata di tutti. E perfetta per questo percorso: testa bassa e passo veloce.
Perché lo ripesco?  Non è mai stato sommerso… sedimentava.

Ci sono immagini che sedimentano.  Un privilegio che non riguarda tutte le fotografie che realizziamo. 
E che in genere non riguarda le “migliori apparenti”, quelle cioè che subito ti fanno gridare al miracolo e quanto sei bravo. Figo. Geniale. Con quel taglio che solo tu e quella luce che emana dall’io profondo…
Non dobbiamo avere fretta. A maggior ragione adesso coi mezzi a disposizione, coi quali rischi il cortocircuito tale è la mole di materiale e l’immediatezza dell’immagine.
Mi sono costruito una gabbia entro la quale stare. E non sono uscito di un millimetro.
In questo il quadrato aiuta. Perché in qualche misura asseconda la bidimensionalità di uno sguardo forzatamente privato dell’orizzonte.
Solo in una ho alzato le palpebre. Solo perché la stada era in salita.
E ciò che spuntava era poca roba… una macchia all’inizio del niente.
Aveva una sua misura decorosa, perciò non mi spaventava.
 Perché invece ciò che non ho registrato, ma che c’era in quella fascia di mezzo tra suolo e cielo, non aveva più niente di decoroso e mi lasciava statico e attonito.
Un po’ come la figura guida delle otto immagini.
Alla quale sono negati il mezzo busto e l’espressione.
Vorrei sapere che fine ha fatto l’orizzonte.
Vorrei sapere perché la misura del nostro sguardo non lo raggiunge più.
DOVE VAI è il lavoro col quale di fatto, mio malgrado, chiudo con la Polaroid. E con un paesaggio per certi versi assoluto e romantico. Che infatti non mi riguarda più.
Il paesaggio col quale ci confrontiamo oggi è un soggetto attivo e reattivo.
In tempi molto più rapidi rispetto a qualsiasi epoca precedente.
A me interessa intercettarne gli umori. E non solo i fenomeni.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Adelaide Corbetta e Wolf-Gregor Pazurek i curatori.
Fotocamera e film: Polaroid SX-70.
Scansioni da originale stampate 100 x 100 cm

TIRATURA 6 100/100 cm + 3 50/50 cm.

Garfagnana Fotografia report

Efrem Raimondi in Garfagnana

 

La prima cosa che mi viene in mente è di ringraziare.
Un tranquillo, movimentato weekend a Castelnuovo di Garfagnana.
Un weekend di piacevole duro lavoro… che fotografare al confronto è uno scherzo.
Ma a me piacciono le situazioni dense. E meno, anzi per niente, le liquide… che somigliano a quelle circostanze in cui stringi delle mani molli, che scivolano via.
Se ti fermassi un attimo…
Una nota di attenzione per chi va in Garfagnana: non fidatevi delle bottiglie di minerale gassata, che hanno tentazioni suicide e vi si scaraventano addosso.
A me è successo più o meno a metà percorso della lectio magistralis. Che ho proseguito bagnato.
Non era una performance.
Le bottiglie di naturale invece non fanno niente e stanno al loro posto.
Lectio magistralis a parte, dove sembra abbia sostenuto l’inesistenza della fotografia, la cosa davvero interessante è stata la lettura portfolio.
Che non faccio spesso. Perché credo che alla lettura dovrebbe conseguire “fare il portfolio”. Dico sul serio.
Che è un lavoro, un lavoro vero e tosto. Perché ti dà in mano uno strumento che prima non avevi.
E impegna gli attori ben oltre la mezz’ora preposta… deadline invece ragionevole, e a volte generosa, nelle circostanze pubbliche. Com’è appunto questa del Portfolio dell’Ariosto, inserita nel circuito di Portfolio Italia. Che quest’anno ha assegnato il primo premio assoluto al lavoro Res(p)e(c)t di Sergio Carlesso e Nazzareno Berton.

Efrem Raimondi, lectio magistralis

La verità? Mi ha fatto un grande piacere!
Perché ho visto il lavoro di persone che non conosco. E che nella circostanza mi affidavano le loro foto: ci vuole coraggio!
E già questo è apprezzabile, visto che dalla mia lettura non dipende concretamente nulla. Forse. Dipende.
Ho visto anche il lavoro di persone che invece conosco mediate dalla rete… dai social o dal mio blog. E qui il mio piacere raddoppia perché, che ci si creda o no, vedersi è un modo comunque più ricco di interloquire. Che il sorriso è una roba, gli emoticon boh.
Ho visto solo persone interessanti e intelligentemente interessate, forse ho culo.
E poi ho visto anche qualche lavoro decisamente bello.
E comunque nell’insieme e nell’eterogeneità, di un livello medio che riconcilia la vista dall’impunità democratica dei social: la fotografia non è democratica.
Può esserlo un premio, la sua assegnazione, ma non la fotografia, che si misura con altri parametri.
L’unica cosa che ho visto solo raramente, è il rigore.
E non si scappa… è un fatto di disciplina: se stai presentando un portfolio esistono regole alle quali attenersi.
Anche nel fotografare c’è disciplina, e si riscontra in ciò che si vede, fosse anche allucinazione, che per darsi, ha bisogno di argini.
Comprenderlo è un passo successivo all’entusiasmo del mezzo espressivo, ma prima si comprende e prima si è in grado di esprimersi compiutamente. E forse è questo il vero contributo che una lettura può dare. In questa circostanza per me è stata la regola.
Non so se ci sono riuscito, non so se ne ho la capacità, ma questo è il mio sforzo.
Poi ho visto delle mostre, tutte interessanti. Ne cito una sola, perché testimonia la possibilità di fare del reportage senza toni melodrammatici. E in più, essendo un lavoro a sedici mani, è evidente la presenza di un editing accurato. Mi riferisco a  Prete Nostro, un percorso sui preti della Garfagnana, un lavoro a cura del Circolo Fotocine Garfagnana, che  è l’organizzatore di tutta la manifestazione Garfagnana Fotografia.

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Un circolo tosto, di gente che ama la fotografia e si dà da fare senza menarla. Presieduto da Pietro Guidugli con un risultato davvero eccellente: i miei complimenti!
La mia presenza qui la devo però essenzialmente a una persona, membro del circolo: Stefania Adami, che ringrazio di cuore.

E poi ho rivisto Stefano De Luigi, al quale è stato assegnato il premio Rodolfo Pucci.
C’era una sua mostra esposta, e poi ha fatto una preziosa lecture sul suo lavoro e le trasformazioni in atto, anche tecnologiche, che inevitabilmente sono direttamente relazionabili anche a un mutamento del linguaggio. Presentato, come sempre magistralmente, da Giovanna Calvenzi.
Stefano è un fotografo che stimo molto, e nei confronti del quale nutro un sincero affetto: era un paio d’anni che non ci si vedeva… anche questo è un motivo di ringraziamento nei confronti dell’organizzazione.

Stefano De Luigi by Efrem Raimondi

Non ho altro da dire. Solo da aggiungere la foto sotto, di Simone Letari, che ben descrive l’atmosfera: ehi! si può anche ridere.

E che ‘sta estate abbia una svolta.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Io fotografo in italiano

V

Io fotografo in italiano.
E rivendico il mio idioma. Che è cifra espressiva.
L’immagine non nasce in un limbo etereo, in una volta celeste che in quanto tale non ha confini… nasce sotto, a terra, dove le cose hanno una dialettica subordinata. Si mischiano anche, ma i percorsi sono molto accidentati. E si fa i conti con i confini.
Che non sono tanto prodotto della geografia politica, disegnati e ridisegnati da una Yalta qualsiasi… sono culturali, religiosi, sociali.
E anche ideologici. Tutta farina del nostro cranio e della nostra bile.
Della nostra storia.
Della nostra idiozia e intolleranza, anche. Ma questo è.
E non è negandolo che si favorisce una dialettica, semmai si alimenta la confusione: la diversità è un patrimonio, e l’arte la sintesi massima attraverso la quale esprimerla.

È minato ‘sto post, cammino sulle uova…
Sto parlando del produrre fotografia. Che non coincide col leggerla, anche se la lingua sembra la stessa. Apparentemente…
Si dice che la fotografia in quanto immagine e non avendo bisogno quindi  della parola per esprimersi, sia scevra da incomprensione e da equivoci tipici della lingua. E chiunque, di conseguenza, è in grado di capire.
Ah sì? E allora anche di fare, senza inciampo se hai letto il libretto d’istruzioni.
La fotografia non sarà parola. Ma è fortemente linguaggio.
E il linguaggio non è scevro da niente.
Fotografare significa usarlo ‘sto linguaggio: e allora quale?
Com’è che si dice quando si ha proprietà di una lingua? Che si pensa in quella lingua.
E la fotografia perché mai dovrebbe fare eccezione?
Esiste un pensare avulso quando girovaghi con la fotocamera?
Esiste quando ritrai, con la fotocamera?
Esiste quando sbiotti a destra e a manca, con la fotocamera?
Esiste quando ti illumini di landscape, con la fotocamera?
Probabilmente avulso solo quando l’unico centro della tua attenzione sei tu medesimo… avulso sì, in un selfie narcotizzante.
Che se di biottitudine poi si vanta, narcotizza anche gli altri, noi che un’occhiata comunque la buttiamo. E voyeuristicamente ci attardiamo.

Una lingua povera, produce immagini povere.
Che se però sostenute da un apparato industriale adeguato, diventa egemone. Si legga pure Pop Art, più tutte le sue declinazioni contemporanee.
Una lingua impoverita produce immagini emule.
Non c’è alcuna fotografia internazionale, c’è uno pseudo linguaggio internazionale che produce immagini globalizzate, tendenzialmente uniformi.
Una trappola per chi possiede un patrimonio genetico.
Ogni tanto salta fuori la nuova fotografia… a turno: inglese, olandese, tedesca, cinese… e tutte hanno una forte componente espressiva di riferimento proprio. Che rivendicano.
Mai una italiana. Perché?
A me sembra di vedere molta timidezza.
A me sembra si sia smarrita drammaticità, quella che ha permeato tutta la storia dell’arte italiana. Sino ad arrivare a Sorrentino.
In fotografia boh… produciamo una prosa discreta ma senza un gesto, senza una rivendicazione chiara immediatamente leggibile.
Senza identità non siamo riconoscibili.
Io camminare come gambéro… come dire italiano? Gambero or gambéro?
Ma è lo stesso Joe…
No! Sorry… but it’s not the same: you must respect your language.
Questo non era Ovidio, ma Joe Strummer, con le idee molto chiare.

Ripartirei da I promessi sposi, e da un po’ tutto Pirandello… mi tufferei per ore in Caravaggio e in Mario Giacomelli.
E mica è tornare indietro, tutt’altro… si tratta di capire se abbiamo ancora una lingua in grado di esprimere un linguaggio alto condiviso.
E condivisibile.
Se no moriamo e vaffanculo. Che almeno è una decisione.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fotografia:
Valentina Vezzali, nel 2004 al parco della Villa Reale di Monza, per Sport Week magazine.
Pentax 645N con ottica 75 mm.
Film Kodak TRI-X PRO 320
Flash Hensel e luce ambiente.

Assistente Nicole Marnati.

Garfagnana Fotografia

Efrem Raimondi al Garfagnana Fotografia

Garfagnana Fotografia Festival…
Solo una news: l’1 agosto alle h. 21 sarò a Castelnuovo di Garfagnana.
Ospite del Circolo Fotocine Garfagnana, per quella che comunemente si dice una Lectio Magistralis
Che nel mio caso è un’esagerazione, ma tant’è e non posso che prenderne atto.
Al momento ho un’idea di massima sul come condurla, poi si vedrà.
É inserita nel programma, molto più ampio, del Festival di Fotografia che si svolge dal
26 luglio al 10 agosto.

Il 2 e 3 agosto, per quel che mi riguarda, mi dedico alla lettura portfolio, inserito nel circuito Portfolio Italia, assieme a Giovanna Calvenzi, Stefano De Luigi, Luigi Erba, Roberto Evangelisti, Fulvio Merlak.
Per eventuale iscrizione alla lettura, so che bisogna inviare una e mail, e comunque per le info basta rivolgersi qui: http://www.fotocinegarfagnana.it/

Questo il programma:  Brochure2014_fronte

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Website

Efrem Raimondi website


Sito versus Blog…
Non c’è alcun versus, proprio zero contrapposizione: due luoghi diversi.
Sì va be’… ma cos’è meglio?
Ma vuoi più bene alla mamma o al papà?
Approfitto di quest’ultimo aggiornamento del mio sito per dire due robe a riguardo. E che mi riguardano.
Il blog è un medium dinamico. Che ha una relazione abbastanza agile e certamente dialettica con la rete e con chi lo segue.
Nello specifico è luogo di riflessione sui temi della fotografia dove anche la parola scritta diventa espressione, almeno in alcuni casi.
Quindi fotografia a due livelli, quella iconica e quella parlata.
E per ciò che mi riguarda non c’è una prevalenza  generale dell’una nei confronti dell’altra: esiste solo in alcuni casi, ed è voluta.
Poi, come ho avuto modo di verificare, c’è chi finge di non vedere e usa pretestuosamente gli argomenti della parola per ignorare quelli dell’icona. Un atteggiamento speculativo tipico di alcuni fotografi, quelli che in genere non pesano mai la propria fotografia.
Pochi per fortuna…
Fare fotografia non è una gara… io non conosco competizione. Mi guardo attorno e basta.
E qui subentra il sito. Che è un medium statico. La cui relazione con la rete non è dialettica. Dove la fotografia è tutto e deliberatamente lasciata a se stessa. In balìa.
Ma è così che dev’essere… come quando mostri un portfolio: cosa c’è da aggiungere oltre la fotografia che mostra? Nulla! Il silenzio è un presupposto. E solo se richiesta si usa la parola. Al minimo. Ma meglio di no.
Ognuno lo imposta come gli pare il sito, e anche in questo caso credo sia comunque una diretta rappresentazione dell’autore.
Il mio è molto semplice, e riguarda solo gli assignments.
Salvo rarissime eccezioni, ma proprio rarissime immagini, che sono coerenti con la struttura.
Due sezioni: People e Design… più chiaro di così!
Ognuno di questi ha in primis una Top gallery: 60 immagini people e 50 design. Dove Top non indica il meglio, ma solo un editing temporaneo, una scelta destinata a mutare ogni tre mesi circa, a seconda di eventualità e esigenze anche momentanee.
Entrambe le sezioni hanno poi una zona di archivio immagini: all people e all design. Che è una selezione del mio archivio, della mia produzione degli ultimi trent’anni riferita ai due percorsi.
Alla quale attingo appunto per cambiare la top gallery.

In questo sito non c’è tutto ciò che produco o che mi riguarda: solo in SHOW c’è qualche pillola ulteriore. Ma proprio un accenno.
Per esempio manca certo reportage, al quale tengo e che troverò il modo di condividere.
Mancano altri assignment, tipo certe monografie o redazionali un po’ obliqui. Amen.
E soprattutto manca il paesaggio, nella forma che ha da pochissimo assunto in termini di prints rivolte al collezionismo, attraverso una galleria che si rivolge al mercato internazionale. E di cui parlerò.
Perché il paesaggio è per me luogo di esplorazione. Un fatto intimo che finora ho mostrato con timidezza.

Ci tenevo a questo post… perchè è vero, sono un outsider e sono trasversale come certa fotografia inattuale.
Ma intendo rivendicare la mia inattualità… io con certa attualità non ho niente a che fare. Non mi riguarda né mi interessa.
Ma soprattutto, sono un fotografo. Non un blogger, non un critico, non uno scrittore se non per il fatto che occasionalmente scrivo.
Come altri che di mestiere scrivono e occasionalmente fotografano. Male in entrambi i casi a guardare certi resoconti recenti.
Tutto discutibile ovviamente, ma a me alcuni saputelli, parvenu dell’ultima ora, sono proprio indigesti. Ci facciano vedere un po’ delle loro foto… con coraggio, petto in fuori e sia quel che sia.
Ma stai zitto e zitta un attimo.
Chi segue il mio blog mi scuserà.

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