Fotografia a visibilità limitata

La fotografia è fatta di niente.
Quasi niente…
Ed è tutto.

Un luogo a visibilità limitata.

Un pulviscolo, un margine.
Un dettaglio rotto al quale aggrapparsi.
Un labbro.
E ti riempie gli occhi.

Se non lo vedi, non lo vedrai mai.
È tutto così semplice, la fotografia non esiste.
E questo è il motivo, l’unico, del fotografare.

INSTA 98 © Efrem Raimondi - All Rights ReservedINSTA 98, 2018 – from the series INSTARANDA

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Stati generali fotografia + cinica latina.

Stati generali della fotografia alla luce di tutto: dell’intenzione – lodevolissima, dell’impegno, del percorso, della somma tirata.
Quest’ultima mi sembra mostri qualche lacuna.
E non è la politica della delega che può riempirle.

Perché nel leggere il Piano strategico della fotografia in Italia ci si trova di fronte, finalmente, a una vera intenzione – perfettibile, intendiamoci.
Alla volontà sincera del Ministero dei beni culturali di mettere mano al disordine.
E di produrre un reale supporto per la Fotografia di questo paese.
Anche l’intenzione di fare un REGISTRO degli autori, niente male.
Anzi finalmente mi viene da dire. E che Lorenza Bravetta declina come un registro di chi svolge la professione.

Solo che manca la copertura finanziaria da ciò che ho capito.
Solo che la delega più grande è al futuro governo – qualunque sia.
Due anni di lavoro intenso e ci troviamo di fronte a una wishlist…
Questo il rammarico.

In Brasile, al tavolo di una discussione a fronte di un progetto concreto, accade che il tuo interlocutore passa un tempo spropositato a tesserne le lodi, i benefici…
E la meraviglia che è.

Concludendo però, spesso, con una parola.
Una sola, tombale: infelizmente…

In italiano è come i desiderata…

In latino, lingua precisa, e soprattutto spesso meravigliosamente cinica, suonerebbe così se è di fotografia che si parla: Lens sana in corpore horrido.

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Fotografia sociale e beneficenza

La cosa interessante della fotografia è che mentre tu racconti ostinatamente la tua vita, tutti pensano che stai raccontando quella di altri, di chiunque o qualunque cosa ritrai.

E che tra te e un fiorellino di campo non c’è alcuna relazione.
Se non quella che ti trovavi a passare di lì.
Che tra te e il passante, tra te e Giorgio Armani, tra te e il gatto che incroci, tra te e il mare, non c’è alcuna relazione.
Che tra te e il terremoto non c’è alcuna relazione.
Come sopra: se non che ti trovavi a passare di lì.
Insomma, nella migliore delle ipotesi sei testimone della vita di altri.
Ed è meraviglioso! Uno scudo perfetto.
Camouflage iconografico che funziona perfettamente. Da secoli.
Provare per credere: tu sei quel perimetro ma sei invisibile.

Quindi: tu invisibile e rimettere al centro l’opera.
Che l’autore faccia un passo indietro. Anche due.
L’opera è tutto. Tu autore, lo strumento.
L’esatto contrario di quanto un sistema mediaticamente inquinato impone.

E non ci sono stigmate… non c’è alcuna fotografia nobile in sé.
Non c’è soggetto deputato: il come l’unico differenziale.
L’idea che esista una fotografia impegnata e un’altra in giro per campi a trastullarsi col finocchietto selvatico è una forzatura ideologica.
Che si regge su questo assioma:
La fotografia sociale è quel tipo di fotografia impegnata, di documentazione, strumento di informazione sulle problematiche relative alla società contemporanea. È un tipo di fotografia militante il cui obiettivo è di testimoniare a favore delle vittime e il cui scopo è di contribuire alla risoluzione delle principali problematiche sociali attraverso una testimonianza che possa agire in maniera diretta sull’evoluzione della mentalità umana e civile […] Si parla quindi di fotografia sociale a proposito di reportage fotografici. Ma può anche accadere che se ne parli in via del tutto eccezionale a proposito di immagini uniche e particolarmente scioccanti.

Michel Christolhomme – La fotografia sociale. 2010.

Quindi sarebbe lo shock a dare una patente di impegno a ciò che non è reportage…Questa sotto è una fotografia che ho realizzato nel 1990.
Una campagna NO PROFIT con l’agenzia Carmi e Ubertis a favore di ANFFAS.

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedUn ritratto, anzi due: Alessandro e Elisabetta.
No shock. No reportage.
E adesso? È impegnata o no? È sociale o no?
La sottolineatura di genere ha una logica per un archivista o uno storico.
Non affine a un fotografo. Che fa altro.
Francamente della collocazione e delle stigmate non me ne frega niente.
Resta questa imagine.

Ne ho fatte altre a scopo benefico. NO PROFIT significa che non c’è compenso.
Nel ’93 e nel ’96 con McCann Erickson a favore di AIP.
Art direction Annarita Colombo.
Anche qui due ritratti a entrambi i presidenti, direttamente interessati: Paolo Ausenda e Marzio Piccinini.

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedA differenza di quella ANFFAS, dove l’immagine è tutto, qui la parte copy ha un peso specifico.
Soprattutto Spero che il morbo di parkinson colpisca anche te: fummo investiti da una polemica feroce.
Ma dalla nostra avevamo il soggetto, cioè i malati.

E ancora tra altre, una a favore di PAL – Protezione Animali Legnano, 2009.
Perché non distinguo il piano dell’impegno.
Non sono specista e non riconosco alcuna supremazia.

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedAvete idea di quanto terrore c’è in un fiore?
Ma se vuoi, continua pure a pensare alla tua fotografia impegnata e a come cambierà il mondo.
A me basta quella che ha cambiato me.
Parafrasando Hrabal, c’è più cielo negli occhi di un topolino che sopra le nostre teste.

UPDATE – 7 MAGGIO.
Mi sono state chieste delle informazioni a proposito dell’immagine ANFFAS, il dittico.
Sono due ritratti distinti. Che ho poi montato.
In realtà c’è una terza immagine: Andrea.

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedSapevo dell’alto livello di disabilità. Sapevo che Alessandro e Elisabetta oltre a tutta una serie di grossi problemi erano anche sordomuti. Andrea anche… però si muoveva con le proprie gambe.
In compenso era cieco.
Questa era la situazione. E io dovevo ritrarli.
Ritrarli… non fare un reportage all’interno di una struttura.
Ritrarre è un altro piano della relazione.
Che prevede una comunicazione, una dialettica.
Come?

Contrariamente a qualsiasi logica optai per il banco ottico e la sua staticità, un 4×5 pollici.
Un 90 mm come ottica – equivalente a un grandangolo 28/30 formato leica… full frame in digitale.
Polaroid 55, che era un positivo – negativo.
Flash per un totale di sei/ottomila watt infilati in un grande window light, su in alto, quasi a picco.
Fondo bianco.
Il tutto fu la mia salvezza.
Perchè feci la mia inquadratura e da lì non mi mossi di un millimetro.

Cominciai con Elisabetta. Che si agitava sulla carrozzina.
Provai la luce. Mi accorsi che a ogni colpo di flash lei si tranquillizzava. Chiesi a sua madre che l’accompagnava come stava andando: Bene! Sta bene. Se così non fosse avrebbe già vomitato. Le piace la luce.
Ad ogni scatto dell’otturatore corrispondeva un leggero spostamento d’aria.
Perché ottomila watt flash muovono il diffusore in tela leggera di un window light così grande – tre metri per più di uno.
E si sente… c’è quella leggera spinta… e l’aria, leggera, si muove.
Queto è stato il mio piano di comunicazione.
Con tutti e tre.
Non so cosa ci siamo detti. Ma certamente abbiamo comunicato.
Ed è stato meraviglioso.

Un lavoro intenso. Una relazione forte, coinvolgente.
Tutti i presenti ne hanno beneficiato.
Anche un gruppo di studenti dello IED, come mi ha ricordato Claudia in un commento sotto.
Ho imparato molto. Ma dico davvero! Per esempio che il piano del linguaggio può variare.
E che l’epidermide non è semplicemente un involucro.
Per questo, anche, detesto chi la uccide in post produzione.

Questo è quanto. Ed è il tipo di contributo che preferisco sul piano della cosiddetta beneficenza.
Senza nulla togliere alle varie aste dove doni un’opera, e che indubbiamente hanno un valore, personalmente ho bisogno di un coinvolgimento diretto. Di mischiarmi con le cose e le persone.
Di uscirne realmente arricchito.

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Presente imperfetto – New Old Camera – 12 maggio, Milano

Presente imperfetto. Lectio versione intima…
Organizzata da New Old Camera.
Milano 12 maggio.

È diversa da quelle pubbliche che ho fatto. Per numero di persone, qui limitatissimo, una quindicina, e per svolgimento.
Innanzitutto è una giornata insieme, con un break a pranzo, e poi il piano della visione e della conversazione è decisamente più dialettico.
Volutamente più lento.
E sulle cose si torna. Se necessario, si torna. Ne abbiamo il tempo.

Però occorre iscriversi. Qui tutte le info, incluso il costo – 80,00 €.
eventi@newoldcamera.it tel. 02 3658 92 16.

Il soggetto è il linguaggio. E la fotografia bella al centro: sei slideshow per un percorso che va dal 1980 a oggi.
Trasversale. Che è la fotografia nella quale credo.

Mica solo la mia…
Discutibilissima, ma è ciò che ho e che mostro.
Al netto di tutto.

Dalle usa e getta al banco.
Dall’assenza della fotocamera e per luce un accendino Bic.
Dalla Polaroid allo smartphone.

Da un’andata a un ritorno arbitrario…

Non si tratta di una chiacchierata, è proprio un momento di serio confronto.
Partendo dalla fotografia prodotta, non quella parlata. O immaginata.
Un excursus dinamico che ha un obiettivo: trovare, o ritrovare, l’orientamento.
Oggi, soprattutto oggi, penso che la riflessione sia importante.
A una condizione: esporsi.
Smarcandosi anche senza alcuna cautela da tutto ciò che è tendenza.
E non per chissà quale allergia intellettuale e un po’ fighetta, ma proprio per un’esigenza vitale.
Cercando di trovare la matrice espressiva che davvero ci riguarda.
Rischiando la nicchia.
Quasi auspicandola…

La fotografia che produci è ciò che sei.
La faccia, la tua.

Questo l’auspicio.
Ha un riscontro? Bene!
Non ce l’ha? Pazienza.
Ma a tutti noi, chi ce lo fa fare di fotografare?
Quale l’urgenza?

Inseguiamo che cosa?
Dove diavolo stiamo andando?

Se produciamo esattamente ciò che siamo, se pensiamo che non esiste alcun soggetto deputato, se il nostro differenziale è l’invisibile e come lo traduciamo, allora la fotografia è luogo confortevole.
E l’arbitrio il modo.
Non sarà universale, ma chi se ne frega.

Tutto semplice.
Tutto qui.

Presente imperfetto – 12 maggio, New Old Camera, Milano.

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedSet per INTERNI magazine. Ottobre 2017.

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INTERNI magazine – Aprile 2018

Efrem Raimondi per INTERNI mag - Aprile 2018INTERNI magazine, aprile 2018. Cioè adesso.
House in motion è il tema di questo Fuorisalone 2018.
Il soggetto è sì l’abitare, ma anche la mobilità.
Quindi il movimento, il cambiamento, il divenire.
Pensandoci, la mobilità non è solo una relazione geografica, di luoghi insomma.
Ma anche di tempo… la nostra relazione col tempo.
Che ha una dinamica immediatamente percepibile e il suo andamento, il suo scorrere, ci viaggia addosso.
E cambiamo.
Come?
Questo è il percorso di questo redazionale.

Da ventisette a ottant’anni.
Ed è anche un po’ ironico, mica da prendere alla lettera cronometro in mano: una donna, una sola, Alessia di ventisette anni.
E poi Alessia di quaranta.
Di sessanta e di ottanta.
Al tempo ci ha pensato il makeup di Nancy Gallardo.

Come essere sempre sullo stesso palcoscenico. Il proprio.
Davanti a uno specchio che muta.
Così prendi la fotocamera e usi il suo tempo: un duecentocinquantesimo di secondo per fermare il tuo, e tutto il palcoscenico.

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Efrem Raimondi per INTERNI mag - Aprile 2018Efrem Raimondi per INTERNI mag - Aprile 2018Efrem Raimondi per INTERNI mag - Aprile 2018

Efrem Raimondi per INTERNI mag - Aprile 2018Okome sofa by Nendo per Alias,
Clizia Bttery by Adriano Rachele per Slamp.

AIKU soft by Jean Marie Massaud per MDF Italia,
Next23 by Deanna Comellini per G.T.Design.

Era Settee by David Lopez Quincoces per Living Divani,
Klip by Michela e Paolo Baldessari per Modoluce.

Hangar by Gino Carollo per Calligaris,
Kiki by Alvar Aalto (1960) per Artek.

Astrum by Antonio Citterio per Maxalto,
Taiky by Chiara Andreatti per Lema.

Nesting by Roman & Erwan Bouroullec per Glas Italia,
èS ideato e prodotto da Design R&D Twils.

Brioni by LucidiPevere per Kristalia,
Ribot by Marc Sadler per Ethimo.

Toro by Michael Geldmacher per B-Line,
Emi by Arter&Citton per Scab Design,
Domino by Marco Acerbis per Talenti.

Modella: Alessia Falcini.
Prestatasi per la circostanza.
In realtà una giovane architetto.
Chi preferisce, architetta.

Stylist: Nadia Lionello.
MUA: Nancy Gallardo.
Assistente fotografia: Nicole Marnati.
Studio: M8STUDIOS.
Backstage Video: © Tommaso Gorani.

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IL FOTOGRAFO – IN CHIARO

IL FOTOGRAFO, novembre 2017.
Pubblico in chiaro l’editoriale che ho firmato. Adesso è possibile.
Per chi l’ha perso.
E per chi non ci ha pensato a suo tempo.

Ma magari…
Una breve riflessione il cui oggetto sono quei tre/quattro punti che penso siano al centro del produrre fotografia.
Comunque la si declini.

Denis Curti mi ha fatto notare che questo è l’editoriale che ha inaugurato la serie di quelli firmati da altri, cioè da chi ha un rapporto diretto con la fotografia, fotografi e non.
L’ultimo di Renata Ferri, molto piacevole.

E mi ha fatto anche notare che ho firmato la prima copertina della sua direzione, marzo 2015.

IL FOTOGRAFO - Cover: Efrem Raimondi Un caso.
Però mi piace pensare che non lo sia.

E adesso il testo, l’editoriale in chiaro.
IL FOTOGRAFO - Editoriale novembre 2017Non so perché son qui.
Ma non inseguo spiegazioni. Mai.

Esattamente come quando fotografo, che è un tempo contato, circoscritto al presente di una visione e alla sua trasformazione in qualcosa che è altro e che solo tu puoi rendere visibile.
Come avviene è il vero differenziale che ci riguarda.
Coincide o meno con ciò che avremmo voluto produrre?

Ex novo.
Due punti: uno, la fotografia non si preleva. Si fa. Prima di te quel perimetro non c’era.
Due, la fotografia si occupa dell’invisibile.
Di quello stato in cui qualsiasi cosa è realmente percepibile ma non ancora espressa nella forma che definisce noi, ognuno, agli altri che stanno a guardare.
Questo è ciò che fa la Fotografia: trasforma la percezione in forma.
Che per quello che mi riguarda coincide col contenuto.
E con me.
Con noi.

Questo l’auspicio.
Non serve sforzarsi… la percezione è una questione personale.
Intima.
E intercettiamo solo ciò che ci riguarda.
La fotografia la rende pubblica.
Fosse anche una figura umana, soprattutto un ritratto. Sul quale i cliché si sprecano.
Va be’, après.

Per rendere visibile ciò che non lo è, per rendere esportabile e finalmente leggibile ciò che davvero ti riguarda – qualsiasi cosa – occorre mirare bene.
Col massimo della precisione a disposizione. Nel caso incrementarla.
E la conoscenza tecnica è fondamentale.
Una questione grammaticale…
Chi sostiene il contrario, o ignora e se ne bea o è un demagogo.
Non so chi sia peggio.
Ma a noi che ci frega? Continuiamo per la nostra strada.
Un percorso dinamico, dialettico, che sia in grado di sostituirci.

Un colpo al cerchio e nessuno alla botte.
Siamo ciò che iconograficamente esprimiamo. Senza se e senza ma.
Con qualche dubbio a corredo. Che è utile.
Quindi la precisione è importante.
Le regole, vituperate/esaltate…
Quattro in tutto quelle che servono.
E una manciata di tempo per capirne la logica.
Poi sta a te usarle. Manipolarle. Asservirle.
Imparare a dimenticartene.
E tra queste non c’è quella dei terzi. Della quale francamente ignoravo l’esistenza fino al 2010, quando ho aperto il mio account Facebook.
Scoprendo che c’era chi ammazzava per lei.
E ignorava tutto il resto.
Una, fondamentale: l’esposizione.
Bella al centro.
La sua modulazione crea l’immagine.
Quindi non serve scannarsi in periferia, ma puntare al centro con consapevolezza e umiltà.
Dichiarare la propria visione del mondo, fotografia dopo fotografia.
Coerentemente.
Trasversalmente, aggiungo.
Se possiedi un linguaggio, è questo che fai.
Ed è semplice.

Pinzolo, agosto 2017.

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SPAZIOFF, la mostra – Backstage

SPAZIOFF - PSPF 2018 - Efrem Raimondi BlogElisa Biagi al lavoro fotografata da Tiziana Nanni.

SPAZIOFF: l’allestimento, l’opening, la mostra…
E io zeppo di cortisone e antibiotico. Che giustamente chi se ne frega, però ero uno straccio.
Per fortuna c’è stata una grande condivisione, anche operativa, tra tutti i protagonisti, le autrici in primis.
Così me la sono cavata anch’io.

Lo dico senza alcuna presunzione… però lo dico: una gran bella mostra.
E sino all’8 aprile resta lì dov’è: Perugia, circuito espositivo PSPF, Officine Fratti.

Una mostra che va da un’altra parte. Almeno questo il mio intento curatoriale.
E non essendo un curatore forse mi entusiasmo oltre il lecito.
Del resto, fossi stato nel lecito non sarei mai stato fotografo, ergo…

Lo spazio è splendido. Una ex mensa in pieno centro storico.
Adesso un progetto operativo voluto dal Comune di Perugia: […] promozione di percorsi di rigenerazione urbana del centro storico, attraverso l’imprenditorialità giovanile e le professioni culturali e creative.
Solo due robe: è luogo di lavoro e sotto la tutela della soprintendenza alle belle arti.

Quindi allestire non è stato facilissimo: sì chiodi no trapano; mattoni e pietra non si toccano se non SOLO in quel punto lì; intonaco ok, ma sotto c’è pietra medievale, e sotto sotto un po’ di Etruria che non guasta – non ne ho idea ma il passato a volte emerge con una pernacchia che inchioda te e le tue velleità espositive…
Se non ci fosse stato Luigi Petruzzellis, materialmente risolutivo col suo super trolley pieno di tutto e soprattutto adeguato ai muri, ciao! saremmo ancora lì a deambulare attoniti.
Se non ci fosse stata la disponibilità delle persone che lì ci lavorano, in primis Elisa Pietrelli, altro ciao!

E noi ancora lì alla ricerca di un metro quadro.
Non è stato proprio così drammatico, ma a fronte di tanta vera collaborazione mi piace romanzare un po’.

SPAZIOFF - PSPF 2018 - Efrem Raimondi BlogQuesta la sintesi fotografica realizzata da un po’ tutte e tutti strada facendo.

Più una che è un momento moooolto particolare non spiegabile qui. Diciamo il mio souvenir per questo gruppo compatto che altrimenti non saprei come ringraziare diversamente.

SPAZIOFF - PSPF 2018 - Efrem Raimondi BlogLe autrici: Cinzia Aze, Elisa Biagi, Lisa Ci, Dana de Luca, Iara Di Stefano, Benedetta Falugi, Sophie-Anne Herin, Laura Lomuscio, Irene Maiellaro, Tiziana Nanni, Paola Rossi.
Diverse ma con un comune senso di liberazione che straccia trend e cliché.

Chi vuole può leggere la presentazione in un articolo precedente.
Quello che aggiungo, è che una mostra così non è la sommatoria dei singoli percorsi autoriali.
Ma ha un suo respiro e uno sguardo che la identifica.
Che mi fa dire che non è proprio una collettiva.

Ma un’altra cosa.
E non so darle una collocazione… non trovo l’aggettivo.

Al fine, la curatela ha comportato delle scelte nette in termini espositivi: non mi interessava entrare nel dettaglio di ogni singola opera esposta. Per qualche autrice mi interessava che se ne cogliesse lo sguardo in un lampo.
Quindi anomala lungo qualche parete… come una linea leggera.
Ma indietro tre metri, ne colgo il respiro. Che qui vale più del dettaglio.
Tutto opinabile.
Ma questa è una scelta.
E due cose due le dico in questa brevissima intervista fattami da Gilles Dubroca.
Che sapeva esattamente cosa chiedere:
https://vimeo.com/260244096

SPAZIOFF - PSPF 2018 - Efrem Raimondi Blogby Benedetta Falugi

Ringrazio Antonello Turchetti per la fiducia.
Giulia Ferranti per la collaborazione.
E anche le tantissime persone che sono venute all’inaugurazione.
Ma soprattutto le autrici e ogni millimetro delle loro opere.
Sono davvero molto contento di averla curata questa mostra.
Di amarla.

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Achille Castiglioni

Achille Castiglioni by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved

NOTA – Questo articolo è stato pubblicato la prima volta il 30 maggio 2014.

Achille Castiglioni… mi era impossibile dargli del tu.
16 febbraio 1992, Milano piazza Castello civico 27, primo pomeriggio tarda mattinata.
Non ricordo.
Comunque nel suo studio per andare insieme in Cassina e fare il punto sull’Hilly, ultimo progetto giusto in tempo per il Salone Internazionale del Mobile.
E mentre son lì scopro due cose: che è il suo 74° compleanno e che non si va a Meda io che guido la mia macchina, bensì lui che guida il suo Espace.
E proprio non c’è discussione.
Quindi la mia condizione è la seguente: il giorno del compleanno di Achille Castiglioni sono seduto al suo fianco mentre guida direzione Cassina.
E mi dice: Raimondi… però dammi del tu eh! Stiamo lavorando insieme.
Ecco… dopo due tu faticosi ho ripreso col lei e non ho mai cambiato pronome.
Mai.

Una misura esiste. E tutto il mondo riconosceva la sua.
Io ero un pischello. Mi ero affacciato nove anni prima.
Che poi, ma perché ero lì?
Ci penso adesso…
Cioè, perché Achille Castiglioni voleva che ci fossi anch’io a quel summit?
Non sammit, proprio un summit…
Vero che dovevo fotografare da lì a qualche giorno, però boh…
Azzardo ora un’ipotesi: apparteneva a una generazione di gente speciale, abituata al confronto con chiunque componesse l’équipe di lavoro.
E se eri lì dentro non c’erano gradi da far valere. C’era ciò che mettevi sul piatto.
E in che modo.
Perché anche il modo conta.
Questo lui… Io invece gradi e pesi li avevo ben presenti e sapevo perfettamente su cosa e con chi mi confrontavo.
Quindi calma, misura, ascolto. E una dose di azzardo sostenuta da una ingenuità consapevole: in fondo se ero lì una ragione c’era e non era importante che perdessi tempo a cercarla.

Io non posso dire nulla, proprio niente del genio di Achille Castiglioni.
Posso solo raccontare del privilegio che ho avuto.
C’è qualcuno ancora in grado di capire?
Apparentemente una faccenda solo personale. Non è vero.
Chi capisce, bene.
Chi no amen. Da un incontro così si impara molto. Anche se stai fermo a guardare.
Per circa tre mesi ci siamo visti e rivisti.
Nel suo studio, nel mio e al Superstudio, dove ho scattato.
A lavoro ultimato gli ho chiesto di ritrarlo. E si è prestato.
Nel suo studio, spalle al gigantesco specchio a 45°… che la prima volta momenti cerco di oltrepassarlo – secondo me era usato anche come test per gli ospiti.
Luce ambiente e banco ottico.
Luce scarsa per un formato 10/12. Allora monto comunque un flash che mi serve da supporto del bank 90/120 per spalmare la sola luce pilota; rifletto uleriormente su un pannello sospeso e accendo un paio di lampade presenti in studio: volevo una luce continua.
Più lunga, più morbida, più calda – anche nel b/n c’è differenza – pronto anche a un micromosso. Che ci poteva benissimo stare.
E infatti c’è.

E davanti ho proprio la faccia di un meraviglioso milanese.
Che diversa non può essere.
Milano, quella istituzionale, dovrebbe sempre ricordarsi di avere un debito nei confronti di queste facce qui.
Io volevo solo un souvenir per me.
Ed è l’unica cosa che ho chiesto a Achille Castiglioni.
Perché invece rotolino me l’ha regalato lui, direttamente con dedica durante un incontro, così, per suo piacere.
Ero decisamente commosso…

Achille Castiglioni, dedicated to Efrem RaimondiNel corso degli anni mi bastava girare la testa, a sinistra della mia postazione computer, per vederlo quel rotolo.  E ogni tanto pensavo che il giorno dopo avrei telefonato in studio e sarei andato a trovarlo.
Non l’ho mai fatto.
Le urgenze, soprattutto quelle emotive, non andrebbero mai rimandate.
Ci sono passato invece fugacemente l’anno scorso durante il Salone, perché sede di un evento. Ripromettendomi di tornare con calma.
E sono tornato. Adesso.
E mi sono immerso.

Studio Museo Achille Castiglioni, ma l’atmosfera è la stessa, e da un momento all’altro sarebbe sbucato l’architetto.
Come l’ha lasciato lui… come se fosse andato a prendere un caffè e a minuti torna.
Così mi dice Giovanna Castiglioni, sua figlia.
Che cura  e gestisce insieme a Antonella Gornati – che ricordavo bene perché collaboratrice dell’architetto.
E mentre Giovanna mi guida nel tour di questo meraviglioso luogo, sacro per me, certi ricordi mi tornano nitidi.
Su tutti la faccia, il sorriso, il suo intercalare.
La sua ironia accentata di paradosso: Chi sbaglia fa giusto.
A un certo punto chiedo a Giovanna se le va di posare con rotolino steso, il mio rotolo… acconsente a patto che non si veda il viso.
Non so perché.
Ma nello specifico iconografico la sua è stata un’intuizione che ho immediatamente condiviso.

Giovanna Castiglioni by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedE il tour è sorprendente in ogni angolo: qui c’è storia, qui sono state scritte tra le più importanti pagine di design.
Rivedo i quattro parallelepipedi di vetro con dentro di tutto… che quando li vidi la prima volta rimasi sconvolto: c’era la Ferrania che mi regalò mio padre quand’ero bambino, formato 120… mica sapevo che l’avesse disegnata lui. Come anche il Rocket, proiettore per diapositive. Così come un sacco di altra roba.
Tutta lì dentro.
E poi scaffali e zone d’archivio Senza saperlo è stato un grande archivista.

Secondo me non buttava via niente. Col retropensiero di trovare sempre il riciclo.
E vai e giri… e appunti, disegni, modelli, stampi… il suo tecnigrafo, il suo design e le sue cose.

FONDAZIONE ACHILLE CASTIGLIONI by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedC’è anche la brochure dell’Hilly, coi modelli. La sua sagoma, chino che guarda.
Non me l’aspettavo.
Rimbalzo indietro di 22 anni. Come vi sentireste?
La vedo ancora la sua faccia…
Perché è così, si incontrano certe rare persone e talvolta si ha una fortuna dialettica, quella che ti consente di interagire con loro. Ed è un tempo da tesaurizzare.

Visitare questo spazio è formativo. Ascoltarlo, respirarlo è formativo.
Ed è possibile, basta prendere un appuntamento per una visita guidata, questo il link, qui c’è tutto:
http://fondazioneachillecastiglioni.it/visite/

Un luogo dinamico, un luogo dove si fa progettazione al fine di restituire tutto il percorso progettuale di mio padre. Le esatte parole di Giovanna.
Più che guidata, per alcuni dovrebbe essere una visita obbligata.
Per tutti un vero, grande piacere.

Raimondi
Mi avesse chiamato una volta per nome, forse nella singola circostanza sarei riuscito a dare del tu a Achille Castiglioni.

FONDAZIONE ACHILLE CASTIGLIONI by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Il lavoro per l’Hilly, marzo 1992, l’ho realizzato con la Toyo 45G e con un film Ektachrome EPY 10/12… una pellicola tarata per luce al tungsteno. Kodachrome a parte, credo sia stata la più bella slidecolor mai prodotta. Che esponevo a 50 iso.
Pubblico solo due immagini.
Mentre non trovo l’originale esposta in Triennale nel 2008 per la mostra Made in Cassina.
Ma so che c’è. E la troverò.

HILLY, Achille Castiglioni - Cassina by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedHILLY, Achille Castiglioni - Cassina by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedAchille Castiglioni, questa faccia qui…

Achille Castiglioni by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Portfolio – Lettura – PSPF

Portfolio. E lettura.
Chi pensa che il portfolio non serva, si sbaglia.
Un errore indotto dalla confusione, dall’ignoranza, dalla malafede e dal fatto che in genere chi lo sostiene non ne ha bisogno, quindi spaccia convenienze relative per verità assolute.

Il portfolio non è altro che uno strumento di lavoro.
E ha caratteristiche proprie.

Costruito per la presentazione di un singolo percorso, che diffusamente viene denominato progetto – mi viene sempre il prurito tanto è inflazionato il termine – è una cosa.
Se invece il percorso sei tu, quindi si presume una realtà più complessa che col circostante e la sua rappresentazione si relaziona trasversalmente, la questione è altra.

Entrambi i portfolii devono essere in grado di esprimersi in tua vece.

Lettura: serve eccome! Solo dipende dal lettore e dal suo grado di alfabetizzazione.
Nonché la mira che ti riguarda, cioè dove vuoi andare a parare: a cosa ti serve far leggere il tuo portfolio? Quale lo scopo?
Che destinazione ti prefiggi?

Personalmente mi fiderei solo di alcuni e non di altri…
Il distinguo, piaccia o no, lo fa il curriculum.
E qui si apre un capitolo ampio che evito.

Comunque per chi ha voglia, sfogliando il blog, di roba ne trova.

Quando Antonello Turchetti e io ne abbiamo parlato, si è convenuto che un tempo idoneo fosse di quaranta minuti.
C’è chi legge meravigliosamente in venti, io no.

In linea di massima potrebbero bastarne cinque di minuti, che è lo standard quando non c’è alcuna necessità dialettica.
Cioè quando si tratta di decidere se dare un assignment o no.

Quindi un altro spazio, che è quello al quale bisognerebbe aspirare.
Ma non è questo il luogo: qui al PSPF, la dialettica è propedeutica.
A cosa, lo scopriremo insieme.

Tre lettrici: Sara Emma Cervo, Teodora Malavenda, Emanuela Mirabelli. E il sottoscritto.
10 e 11 marzo, durante il Perugia Social Photo Fest.

Qui tutte le informazioni.

Vi aspettiamo.

Nel mio caso, lo dico subito, è possibile assistere.

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Che donna cerchi?

Maria Cabrera by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedMaria Cabrera, 1988 – Dolce&Gabbana © Efrem Raimondi

Che donna cerchi?
Non solo una questione fotografica, o artistica in genere…

Che donna cerchi?
Certo poi, quando la mostri, quando assume una forma soprattutto fotografica,
so perfettamente che idea ne hai – della donna dico, che tu chiami musa.

Non ho nulla contro l’idealizzazione.
Anzi, essendo la rappresentazione di una condizione intima mi interessa molto la traduzione iconica.
E siccome per essere davvero espressione non c’è casualità né può singhiozzare,
ci si aspetta un percorso, una coerenza dell’autore chiunque sia.
Questo, e non altro, diventa l’indice.
A volte il dramma…

Che donna cerchi?
Perché la fotografi?
Quanti anni ha la tua donna ideale?

La mia non ha età. E si misura con sé stessa.
Entrambi i fattori credo siano l’origine della divergenza tra il concetto di idealizzazione, cioè rappresentazione, e
standardizzazione, cioè creazione di un prodotto prêt-à-porter.
Che è l’origine dei guai di alcuni – molti – magazine femminili, ostinati in quello che mi sembra uno stato confusionale.
E anche di molta comunicazione.
Entrambi i media confortano la deriva misogina.
Che però chiamano seduzione.

Il risultato è spalmato ovunque.
Trasversalmente da lassù fino al cosiddetto photographer modalità social.
Complimenti.

Ma che razza di donna avete in testa?
Avete mai pensato seriamente che una fotografia racconta una relazione?
E posto che il soggetto è l’autore – almeno per quel che mi riguarda – traete le conseguenze da ciò che vedete.
Questo sempre.

Io cerco te è un articolo che ho qui pubblicato nel 2016.

L’ho aggiornato con altre immagini.
Donne che ho ritratto come le vedevo.
Senza idealizzare un bel niente.
Ma, credo, con una chiara idea, la stessa sempre: tu che mi stai davanti.
Chiunque tu sia per la vita che vedo.
E la vedo.

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