Foto di gruppo – Una pura formalità, 5

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Foto di gruppo… un altro luogo. Un altro percorso.

Riprendo un articolo precedente e lo rimaneggio un po’ in vista del workshop che affronto in questo weekend.

Fotografia di gruppo quindi.
Che a differenza del singolo ritratto stabilisce delle relazioni diverse.
Solo apparentemente omogenee.
A partire dalla scuola elementare ci siamo passati più o meno tutti.
Solo che a me interessa un punto di vista: quello del fotografo.
Perché è davvero un altro luogo della fotografia. E le insidie sono altre.
Per esempio una staticità maldestra. Che va rotta.

Non ho mai capito se venga generalmente snobbata perché considerata di tono minore o invece più banalmente evitata perché se ne percepisce, netta, l’insidia.
Un equilibrio complesso, è con questo che ci si misura.
Ma semplice: il confronto è sempre con la Fotografia.
Se pensiamo a questo, una certa nebbia si dipana.
Mai come in questo percorso, evitando il genere.
E quella pesantezza incorniciata che non ferma il tempo, lo subisce.
Che dopo vent’anni sei lì che la riguardi e fai la conta… non vedi nient’altro.
Ma la foto di gruppo, per un fotografo, non è un appello!
Non una sommatoria.
Ma una corale.

Succede di tutto…
Un potpourri di umori, di presunzioni, di sfacciataggine, di paura. 
Di certezze e dubbi. Di convivialità e inadeguatezza.
Chi si nasconde e chi si porta la pila da casa. E se la spara in faccia.
Un bel test sui rapporti sociali, e su cosa diavolo è l’individuo, non più concetto ma con nome e cognome di fronte a te.
E in mezzo agli altri.
Ed è questo a cambiare la solfa: non la sommatoria di individui ma un tutt’uno che ha sostanza e prende forma per come tu la percepisci.
E siamo sempre qui, nel punto esatto in cui si trova l’autore.
Più che mai regista di un percorso.

Qual è il numero minimo di presenze per definire ”gruppo”?
Tre. Direi accettabile.
Tenendo ben presente che maggiore è il numero, maggiore la singola presenza si stempera. Oltre un certo limite quasi scompare.
E il peso specifico dell’insieme diventa immediatamente visibile a tutti.
Tranne ai protagonisti. Che tendono a dialogare esclusivamente con la propria immagine restituita.
Se di un gruppo, indipendentemente dal numero dei componenti, dovessimo fare una stampa piuttosto grande e appendarla a un muro, ognuno di noi guarderebbe d’emblée l’insieme solo perché non si può prescindere.
Ma immediatamente dopo andremmo a cinquanta centimetri per verificare quanto siamo o no fighi. Quanto mediaticamente siamo spendibili.
E se abbiamo una conferma gratificante, chi se ne frega del resto.
Niente di più sbagliato: puoi essere figo/figa quanto ti pare, ma se la fotografia nel suo insieme è debole, crolli anche tu.
Per questo, trovato un percorso espressivo, occorre che l’autore mantenga alta la soglia di attenzione e partecipazione di tutti.
Non è facile. Per nulla.
Quando le affronto mi capita persino di urlare.
Garbatamente ad alto volume direi…

E poi c’è sempre, ma proprio sempre, la persona speciale.
Quella con la pila portata da casa… quella che degna tutti della sua aurea presenza.
Si individua in una decina di secondi. 
E penso, sempre, tel chi
Col sorriso glielo comunico anche… eccoti qui.
Solo che fraintende e traduce sei di un’altra categoria, sei il più figo, la più figa, il sole e pure la luna del mondo, ma che dico? dell’universo!
Sono molto pericolosi. Tendono a strafare.

Quello che è importante è l’amalgama, impalpabile ma visibile.
Quel fil rouge che attraversa e cuce, che rende possibile la coesistenza e la trasforma in un unicum, cioè la fotografia medesima: la guardi e dici sì, è questa.
Va bene anche se quello lì sbadiglia.

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© Efrem Raimondi - All Rights ReservedGQ Italia mag, 2000

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedGQ Italia mag, 2001

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GQ Italia mag, 2000

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Versace group, 2006

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GIOA mag, 2010 – Baustelle

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Lo Specchio mag, 2005 – Subsonica

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedFondazione Fotografia Modena, WS, 2015

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wedding, 2011

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GRAZIA mag, Take That back, 2006

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedIBM Annual Report, 1986

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ADV campagna IMA – Ogilvy & Mother Italia, 2010

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Alessandro Mendini group, 1996

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedARTE mag, 1997

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A parte

Succede molto raramente perché se è di un personaggio che si tratta, in genere fotografo prima o dopo. Ma sempre un altro giorno.
In studio o in location è lo stesso, è comunque di ritratto che parlo.
Le pochissime volte che è capitata una contemporanea fotografia-intervista, mi sono sempre divertito molto.
E siccome in questo caso lo shooting viene prima, essenzialmente per una questione di… tempo? freschezza del soggetto? comunque sia dopo assisto all’intervista. Sempre che la/il giornalista sia d’accordo, perché potrebbe benissimo non esserlo e allora nisba.
Del resto capisco: sul mio set il soggetto è mio, e non gradisco presenze estranee al percorso fotografico. Quindi uguale.
Sta di fatto che né io sono mai stato messo alla porta né ho mai messo alla porta qualcuno.
Sarà che nella circostanza data diventiamo come un sol uomo…
Basta che fotografo e giornalista avvertano con chiarezza che stanno lavorando per un magazine, e che quindi immagini e testo hanno lo stesso peso. E che la riuscita di un redazionale così composto dipende dalla qualità di entrambi i contributi.
Perché a me non piace fare un buon lavoro e trovarmi un testo fiacco. Suppongo valga anche per chi scrive: avere un buon testo e fotografie insipide indebolisce.
Ma ce l’avranno? Lo stesso peso dico…
Il ritratto nei magazine ha avuto fortune alterne.
Oggi non mi sembra essere nel punto più alto della curva.

GIULIO ANDREOTTI by Efrem Raimondi

Giulio Andreotti, 2006. Grazia mag. Intervista di Alessia Ercolini

Quindi assisto all’intervista. E con me tengo una macchinetta.
Prima una compatta analogica, adesso digitale.
Me ne sto seduto in assoluto silenzio, il mio lavoro l’ho già fatto.
Ed è molto interessante ascoltare, anche perché è un ascolto provvisto di gestualità, espressioni, toni vocali.
Come un video. Ma meglio. Perché non c’è nessuno a riprendere e in qualche modo il soggetto è più rilassato… non ha nessuna fotogenia da difendere. Che il video è una brutta bestia.
Sto lì e ogni tanto inquadro.
A volte scatto, a volte no.
A volte one shot. E mi basta. Come per Giulio Andreotti.
A volte faccio una sequenza. In genere della gestualità… quindi le mani diventano il soggetto. Come per Giorgio Rocca.

GIORGIO ROCCA by Efrem Raimondi

Giorgio Rocca, 2007. Sport Week mag. Intervista di Raffaele Panizza

Non è grande fotografia, lo so… diciamo un souvenir per me.
Però è un ottimo esercizio: ci sei ma è come se non ci fossi.
Quasi non si deve neanche sentire il suono dell’otturatore… per cui è d’obbligo evitare le pause, quello spazio totalmente muto, dove il click diventa un gong. E si rischia il tilt.
Ecco… sei come carta da parati.
Poi succede, il novembre scorso, che Interni magazine mi chiede se ho voglia di fotografare un’intervista.

Francesca Molteni, Ron Gilad - by Efrem Raimondi

Francesca Molteni e Ron Gilad, 2014. INTERNI mag. Intervista di Valentina Croci

Il soggetto è proprio l’intervista… a Ron Gilad, designer, e Francesca Molteni, creatrice di progetti multimediali. Una roba che non avevo mai ponderato.
Ma se le ho fatte per mio diletto, anche se come souvenir, perché mai non dovrei farla per davvero?
E infatti l’ho fatta.
Pensando solo a una sequenza. Leggera.
Credo ci voglia sempre una grande umiltà.
Si impara molto.
Vale per tutti.

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