L’elemento identificativo per eccelenza è la faccia. Viso – Volto, in italiano gentile.
Se dovessimo pensare il ritratto come codice identificativo potremmo fermarci qui. Riabilitando magari anche la fototessera.
L’identità invece è altro, cioè un sistema identitario consapevole, e tutto concorre a comporlo.
È roba tua, ma anche il passepartout sociale che permette l’accesso a un gruppo piuttosto che a un altro.
Cosa succede se a Vasco Rossi nego il viso?
E se la negazione la sottolineo?
Cosa succede? Niente.
La misura resta invariata: faccio fotografia. Che è un altro luogo, per nulla oggettivo.
Senza alcuna ansia si procede in una realtà mutata.
E mutante.
Vasco Rossi mi perdonerà se lo uso in questo contesto, ma è perfetto.
L’ho ritratto per quattordici anni: sai che importanza ha avuto il piano identificativo?
Zero.
Quello identitario? Molta.
La relazione iconografica che riconosco è solo questa: cosa intercetto dell’identità di quest’uomo? Cosa mi riguarda? Cosa vedo?
Fosse anche un lembo, è tutto. E da qui si procede.
Ma vale per tutti e per tutto. Anche davanti a un laghetto dolomitico, con la paperetta e la bambina che annega perché l’acqua è gelida e ha appena ingoiato una teglia di lasagne di mamma sua, anche qui, cosa vedi?
Nulla che ti riguarda? Lascia stare.
Passa oltre senza rimpianti.
E soprattutto smettila di ossessionarti con ‘sta menata del ritratto…
È tutto molto semplice.
Dedicato a chi guardandosi allo specchio non si riconosce. E si cerca altrove.
Entrambe le immagini sono state realizzate nel maggio 2013: stesso shooting a Pieve di Cento, dove Vasco Rossi e i musicisti provavano.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
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