Vivian Maier – Milano

Vivan Maier - Efrem Raimondi blogVivian Maier. Non ci volevo neanche andare.
E sbagliavo.
È che c’è questa incredibile straordinaria storia che la riguarda.
Troppa per essere vera.
Quindi verissima.
Ma in qualche modo ha dopato la questione vera, cioè la fotografia che la riguarda.
Di fronte a certi exploit mediatici sono sempre un po’ scettico.
E riluttante ad assecondarli in un sol impeto.
Come un sospetto…
Mi viene in mente la Dama con l’ermellino e i chilometri di coda per vederla esposta a Milano.
Anno 1998… un delirio: gente sicura di trovarsi di fronte alla rivelazione del ritratto.
La sua essenza.
Chilometri sprecati.

Qui la storia è diversa. Vero.
Ma restava quel battage che mi allontanava…
Due carissimi amici mi hanno cooptato.
Ed eccomi qui.
Però ho fatto una cura prima: mi son detto e ripetuto che sarei entrato solo per vedere.
E sia quel che sia.

Vivan Maier - Efrem Raimondi blogUna solitudine troppo rumorosa, parafrasando Hrabal.
Un silenzio assordante lungo tutto il BN dei ’50 e ’60 e poi ancora col colore dei 70’.
Una consapevolezza assoluta.
Un’attenzione ossessiva, lucidamente reiterata e magistralmente modulata intorno alla fauna umana. E ai suoi dettagli.
Una patologia struggente…
Che però trova forma.
A differenza di altri – soprattutto altre, soprattutto oggi – che a furia di osservare SOLO il proprio ombelico ci precipitano.
Semplicemente perché esauriscono le pagine del racconto, breve e di intensità prossima allo zero, che alla quarta mi vien da dire sì va be’ e allora?
Così dalla Sherman, almeno un po’ ironica, alla Woodman zero ironia, più tutte le epigone… che noia!
Là sul loro terrazzino a guardarsi allo specchio.
E la fotografia come strumento di autoanalisi.
E perché mai ce ne dovrebbe fregare qualcosa?

Ho bisogno di vedere cos’hai da dire sul mondo.
Di te e della tua patologia non me ne frega un cazzo.
Attrezzati e dalle forma.
Che la masturbazione ha anche un suo grado di piacevolezza… poi però basta, si va al sodo.

I fotografi partono da sé. Tutti.
La differenza la fa il ritorno. Che per essere autenticamente espressione è un circuito aperto.
Che neanche sai bene dove va a parare.
Forse non t’importa neanche.
Un po’ come Vivian Maier.
Ed è qui che mi sono ricreduto.
Perché ho guardato la sua Fotografia.
Autenticamente potente.
Disperatamente commovente.
Zero autocelebrativa – che son mica quella decina di autoritratti…
Finalmente ritrovata.
Forse suo malgrado.
Ben oltre la sua storia più o meno romanzata.
Che passa in secondo piano.

E non m’interessano neanche un po’ le illazioni che non la vorrebberro realmente autrice in quanto lei non ha sviluppato.
Lei non ha stampato.
Lei non ha diretto la sua visione solida.

Questo forse riguarda solo le sue paure.
Non le nostre.
Guardiamo queste fotografie.
Punto.

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Vivan Maier - Efrem Raimondi blogVivan Maier - Efrem Raimondi blog

Vivan Maier - Efrem Raimondi blogE sono davvero contento che ci sia di nuovo Fondazione Forma.
Uno spazio in più. E non in meno.
A cura di Anne Morin e Alessandra Mauro, sino al 31 gennaio

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Nota: tutte le immagini in iPhone 6.

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Auguri. Con Urlo

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In questi giorni di addobbi ho sentito l’urlo.
L’ho visto.
Qui sulle mie montagne su in Trentino.
Mie.
Perché parte integrante della mia memoria.
Che è nitida. E di questi tempi innevata.
Coi ghiacci al loro posto davanti al balcone.

Ma qui non c’è più niente.

L’urlo…
Zero landscape. Non ne ho mai fatte.
Fotografia tout court.
Se però per comodità, se è di un casellario che hai bisogno, definiscile pure.
Relegami dove ti pare.

I fotografi, per essere tali, hanno una visione del mondo.
La esprimono costantemente.
E si vede.
Questo è il differenziale.
Se invece ti sembra tutto accettabile, cazzi tuoi.
Se invece ti bastano dei gridolini eccitati, cazzi tuoi.

Nessuno è innocente. Ma esistono diversi gradi di colpevolezza.
Cazzi tuoi.
Che però, a causa tua, diventano anche miei.
E questo non lo accetto più.
Non so cosa fare…
Ma so cosa dirti: pur appartenendo alla stessa specie idiota, non siamo uguali.
Non lo siamo mai stati.
Neanche ci somigliamo.

E gli auguri che ogni inizio anno faccio da questo blog, non ti riguardano.

A tutti coloro ai quali somiglio, dedico queste immagini.
E auguro un sereno 2016.

Il pianeta non è antropocentrico.
Non distingue e non è democratico.
Odia l’uso arrogante dell’intelligenza.
E per questo s’incazza.
Anche con me.

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Polittico dell’Urlo.
Prodotto tra il 25 dicembre 2015 e il 5 gennaio 2016.
Così come era meglio al momento.
O peggio.
Proprio in quel momento.

E questa la mia cartolina direttamente dalle Dolomiti di Brenta.

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Joe Strummer

JOE STRUMMER by Efrem Raimondi

Ci ha lasciato tredici anni fa…
Integralmente il pezzo che pubblicai per la ”rivistina snob” Uovo, nel numero 5/2003. Senza togliere e senza aggiungere. 
Eterno Strummer! Ti amo.

Non so… JOHN GRAHAM MELLOR… Così per l’anagrafe.
Per i parenti, più o meno stretti. 
Per qualche altro… forse.
Per tutto il resto del mondo è di Joe Strummer che sto parlando, frontman dei Clash. “L’unica band che ha contato qualcosa”.
Non so… E’ dura.
www.strummersite.com: 23 December 2002… Joe Strummer died yesterday.

Non ne sapevo niente… Sono andato a letto tranquillo la notte del 22.
Non che ne sia certo. Presumo e basta: una domenica… così vicina a Natale… con tutte le luci che martellano gli occhi e lo stomaco già predisposto al banchetto.
Almeno qui, in Occidente.
Non sapevo di svegliarmi orfano. Per la seconda volta.
Orfano.
Perché il vuoto non si misura con il grado di parentela. Né so dire se esista una qualche unità di misura: si sente o no.
Il vuoto è un’assenza piena e palpabile.
Mica un dispiacere (quel leggero prurito che ogni tanto ti coglie, in genere proprio dietro un orecchio ma che, tranquillo, in 18/24 ore è tutto passato).
Il vuoto è uno spazio permanente.
Refrattario a ogni terapia, rimbalza forsennatamente tra cranio&cuore.
Così all’inizio. 
Il tempo poi regola, modula preciso per la sopravvivenza.
Ma l’altro t’accompagna dovunque e per sempre, pronto a straziarti e a lasciarti muto quando gli pare.
Parlo per me: non ho la patente per farlo per altri.
Parlo per me, che sono cresciuto a pane e Clash.
Che me ne cibo dal ’77.
Mai mi sarei aspettato di trovarmi davanti Joe Strummer, sbucato da una traversa di via Vittor Pisani, mentre trascinava una valigia tipo trolley, imprecante, con lo sguardo levato alla ricerca di un qualche indizio che confermasse che sì, che era proprio quello il posto, la strada giusta di Milano dove avevamo appuntamento.
Non abbiamo mai chiarito perché il tassista li avesse lasciati, lui e quel buffo figuro che arrancava dietro (rivelatosi poi un qualcuno della casa discografica inglese), due-trecento metri dalla destinazione finale, cioè io (!!!).
Per la precisione Michele Lupi, già suo amico, e io, lì per ritrarlo per GQ Italia.
Del resto l’italiano di Joe era una scommessa, col suo improbabile bigino fatto di frasi idiomatiche, che mai ci azzeccavano una volta.

Primissimo pomeriggio del 21 settembre 1999: la voce con la quale interloquivo era la stessa che ascoltavo da anni provenire da una qualche cassa acustica, a casa piuttosto che in auto, in genere alternata a quella di un altro grande che in qualche misura me lo ricorda (intendo Vasco Rossi ma questa è un’altra storia).
L’effetto era straniante.
Il set era già pronto. I miei assistenti e io avevamo provato e riprovato, montato smontato e rimontato nelle due ore precedenti: Joe Strummer cazzo!
Tutto doveva funzionare alla perfezione.
Non erano ammessi inciampi, tentennamenti, sbavature: gestire l’emozione sarebbe stato affar mio durante lo shooting.
Il rischio è sempre lo stesso: ti trovi davanti alla leggenda, una figura idealizzata, e poi scopri di avere a che fare con uno che fa le bizze, montato dal proprio successo: bello tronfio a mezzo metro dal suolo e cento chilometri da te.
Un vero pezzo di merda che rimbalza da una suite all’altra con davanti qualcuno sempre pronto a stendergli il tappeto.
Joe Strummer non era così. Uno con la faccia pulita e il sorriso schietto.
Uno che non ti manda a dire niente, lo dice e basta.
Dell’artista sapevo già tutto, il mio cuore ne godeva da anni. Adesso era l’uomo.
Mi limitavo a registrare ciò che vedevo.
E la registrazione che conservo corrisponde in pieno a ciò che mi auguravo di vedere.

Non aveva l’aria della star annoiata, che una tantum si concede: curioso e rispettoso di ciò che stavo facendo mi seguiva tranquilllo su un terreno che non gli apparteneva, contento di farlo.
La sua scorza da duro mi sembrava più un manifesto, un’icona mutuata da un altro periodo e da esibire all’occorrenza, giusto per chiarire le cose… non una vera e propria pelle.
Lo sguardo era il riflesso di una sensibilità rara, molto esposta alle intemperie di un mondo che può convincere solo gli idioti e i manager.
Cazzo, un uomo!
Con un cranio, un cuore e una sola faccia da esibire!
Uno con una forte stretta di mano, non una roba che scivola via.

Cominciamo… 
Di norma, in questi casi, è presente un truccatore.
Non come per le modelle, serve solo per ripulire la pelle, evitare strani riflessi e dare una guardatina ai capelli. Rivista o chi altro, qualcuno ci pensa.
Chissà come, di fatto non c’era. Eppure nessuno sembrava sgomento.
Apre il trolley e scegliamo due cose, una camicia e una t-shirt.
Lui cerca anche del gel. Che non c’è, né nel trolley né altrove.
Non c’è neanche un lavabo né un cesso vicino, pare.
Strummer si sputa sulle mani e si passa i capelli: stupore!
Ma non c’è niente di volgare nel gesto, nessuna gratuità: fosse stato un artista slavo sarebbe stata una performance, nell’occasione è solo qualcosa di meramente funzionale e rapido.
Cominciamo. 
C’è una bella atmosfera, tra gente tranquilla.
Non è giornata per il colore.
Oggi uso un b/n rigoroso.
Sono lì con il mio 6×7 a mano libera che pesa una cifra.
Sono lì che punto Joe Stummer come fosse un abbraccio.
Sono lì e non vorrei essere da nessun’altra parte.
Adesso che sono qui, con la sua voce, quella che proviene da From here to eternity e quella registrata nella mia memoria, adesso è dura. Proprio dura.

Milano, febbraio 2003.

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Joe Strummer by Efrem Raimondi

Joe Strummer by Efrem Raimondi

Joe Strummer by Efrem Raimondi

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Nota. questo articolo lo pubblicai qui nel dicembre 2012. riporto i commenti di allora contrassegnati all’inizo con *

 

Joe Strummer and me, Efrem Raimondi

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Gabriele Basilico – Ascolto il tuo cuore, città

Gabriele Basilico Exhibition - Efrem Raimondi Blog

Gabriele Basilico, Ascolto il tuo cuore, città.
Una sola roba: monumentale.
Soggetto unico, la città. Modulata tra il 1978 con le fabbriche milanesi, e il 2012 coi cantieri di Porta Nuova, ancora Milano.
In mezzo c’è tutto il resto, a partire da Beirut.
E poi dovunque Gabriele Basilico ha calpestato terra.

150 opere, video, filmati… c’è talmente tanta densità che c’è da prendersi una mezza giornata.
Vietato correre… tre ore. Due abbondanti sicuro.
E magari tornare.

Fino al 31 gennaio – info –  presso UniCredit Pavilion, piazza Gae Aulenti 10, Milano.
Curata da Walter Guadagnini con la collaborazione di Giovanna Calvenzi.
Catalogo edito da Skira.

Quello che non mi aspettavo era il luogo, l’UniCredit Pavilion.
Non ci ero ancora entrato…
Decisamente affascinante.
Così sfondato nel suo corpo centrale rivela delle sorprese.

Disegnato da Michele De Lucchi…
Perfetto per questa mostra.
Che quasi quasi ci torno.
Anzi, devo tornarci: mi manca una parte dei filmati.
L’ho detto: prendetevi un tempo abbondante.
E godetevi il tutto.

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Nota: tutte le immagini in iPhone 6.

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INTERNI magazine – confronti generazionali

Efrem Raimondi for INTERNI MAGAZINE

 

INTERNI magazine, dicembre 2015: confronti generazionali.
Alias tre ritratti per ciò che mi riguarda: Aldo e Matteo Cibic, Paolo e Carmine Deganello, Alberto e Francesco Meda.
Ogni ritratto è composto da due singole immagini… una roba che faccio da una ventina d’anni.
Che non è semplicemente utile, ma proprio spinge la prospettiva restituendo spazio – e persone – in forma leggermente alterata.
A volte fortemente alterata.
La continuità viene interrotta, e lo stato delle cose non è più quello originario.
Mi piace creare un po’ di disordine in certe circostanze.
Una minima inquietudine visiva in questo lavoro… in altri per nulla minima.
Un fastidio, un prurito a un mondo sempre più ortogonale che esercita sempre meno la vista. Altro che balle.
E questo sì che è utile.

Efrem Raimondi for INTERNI MAGAZINE

Efrem Raimondi for INTERNI MAGAZINE

Efrem Raimondi for INTERNI MAGAZINE

Efrem Raimondi for INTERNI MAGAZINE

INTERNI non a caso: è uno dei pochi luoghi dove si fa fotografia. Almeno mi sembra.
Per me è una questione di legame affettivo anche… ci collaboro dal 1985.

Le interviste sono di Cristina Morozzi e Maddalena Padovani.

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Fotografo donne. Non modelle.

Francesca Matisse by Efrem Raimondi

 

Uno sguardo.
Quello di Francesca Matisse. Una donna.
Che sia anche modella per me è del tutto marginale.

Alla Ca’ Brutta. Che m’è sempre piaciuta.
Insieme dovevamo realizzare un’immagine.
E qui sì, il fatto che sia modella è stato funzionale.
Una sola immagine.
Finalizzata a una mostra che si terrà ad aprile. Una collettiva.
A Milano. Dove la Ca’ Brutta è sorta nei primi venti del ’900.
Che m’è sempre piaciuta forse anche un po’ grazie ai ritratti di Gabriele Basilico.
Perché è di veri e propri ritratti che si tratta.
Ne riparleremo…

C’erano anche la mia assistente Giulia Gibilaro e Monica Cordiviola, fotografa.
A me piace la presenza dei colleghi.
Non amo i fotografi solo a distanza…
Anzi, se li ho vicino sto meglio.
Non sempre.
Questa volta sì.

Fatta la fotografia c’era ancora un po’ di luce.
E c’era una grande finestra che ho amato subito.
Anzi… che ho amato già al primo sopralluogo a luglio.

© Efrem Raimondi iPhonephotography.

Dammi lo sguardo Francesca. Per favore.
Di più.
Ancora di più.
Così.
Esattamente così.

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Photo Lux – 2015

Photo Lux - Efrem Raimondi

P R O G R A M M A

Photo Lux 2015…
Lucca. Tanto tempo fa…
Ci torno.
E non è una minaccia.

Domenica 13 dicembre alle 11,30 – LEICA TALK – Auditorium della Fondazione Banca del Monte di Lucca: La fotografia non esiste.
Per questo ringrazio dell’invito Enrico Stefanelli, direttore artistico della biennale.
E  Chiara Lencioni, con la quale sono entrato nel merito del percorso.

Sarà una chiacchierata sull’idea che si ha della Fotografia.
Sì lo so… insisto su questa faccenda.
E lo faccio perché ritengo sia LA questione da porre al centro di una riflessione molto più ampia che ci investe tutti: chi la Fotografia la produce e chi la discute.
Io la produco, e questo è il mio ruolo. Perciò proietterò anche qualche slideshow che mi riguarda.
Perché i fotografi hanno il dovere di mostrarsi.
Tutto il resto è subordinato.

#SACROePROFANO il leitmotiv di questa edizione.
Direi perfetto per entrare a gamba tesa.
Proprio appena sotto le ginocchia.
Chi ha giocato a pallone, a qualsiasi livello, sa di cosa sto parlando.

Ci vediamo.
Spero.
Ciao!

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Donne sulla Donna – 2

Donne e Donna - Efrem Raimondi blog

 

Donne sulla donna, seconda…
Visto che c’è il precedente della prima, e la questione è esattamente la stessa, e cioè che credo esista una specificità dello sguardo femminile quando il soggetto è donna, e che diverge dalla rappresentazione maschile media, risparmio spazio e tempo e per il preambolo rimbalzo al link in calce.

Dodici autrici la prima, questa volta la metà… perché è un lavoro tosto cari miei!
Credetemi sulla parola.

Sophie Anne Herin – Manuela Marchetti – Claudia Margaroli – Sara Munari – Tiziana Nanni – Patrizia Savarese.
Ognuna con cinque immagini. E a ognuna le stesse domande:

Donne e Donna - Efrem Raimondi blog

Non c’è alcuna logica nella scelta che faccio.
Nel proporre questa minuscola finestra invece sì.
C’è solo che si tratta di donne che fotografano la donna.
Non solo la donna… ma in questo caso è la discriminante.

C’è poi il fatto che fotografano in modo diverso. Anche distante.
Ma io vedo un filo rosso che le accomuna: e lo si coglie o no.
Ho un’idea di Fotografia.
Che non è solo la mia, cioè quella che faccio.
Ma tutta quella che mi riguarda.
E la perseguo fino all’ultimo respiro.
Tutto qui.

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SOPHIE ANNE HERIN
Digital camera – B&W negative film

© Sophie Anne Herin - E.R. blog

From the series Attorno ad un manque, 2010

© Sophie Anne Herin - E.R. blog

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From the series Periferico, 2009

© Sophie Anne Herin - E.R. blog

From the series Nothing, 2013

© Sophie Anne Herin - E.R. blog

untitle, 2014

© Sophie Anne Herin. All Rights Reserved         R I S P O S T E

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MANUELA MARCHETTI
From the series Baby Dull, 2015
Digital camera

© Manuela Marchetti - E.R. blog

© Manuela Marchetti - E.R. blog

© Manuela Marchetti - E.R. blog© Manuela Marchetti - E.R. blog

© Manuela Marchetti - E.R. blog
© Manuela Marchetti. All Rights Reserved          R I S P O S T E

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CLAUDIA MARGAROLI
From the series   s h i f t , 2013 -2015
Digital camera

è quel momento in cui impercettibilmente qualcosa cambia.
in cui l’immobilità diventa riconoscibile.
e pezzi e frammenti recuperano vita

© Claudia Margaroli - E.R. blog

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SARA MUNARI
From the series Sonia. Una parrucca bellissima, 2013 – 2015
Digital camera

© Sara Munari - E.R. blog

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© Sara Munari. All Rights Reserved          R I S P O S T E

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TIZIANA NANNI
From the series La Bellezza, 2010 – 2015
Digital camera

©Tiziana Nanni - E.R. blog

©Tiziana Nanni - E.R. blog

©Tiziana Nanni - E.R. blog

©Tiziana Nanni - E.R. blog

©Tiziana Nanni - E.R. blog
© Tiziana Nanni. All Rights Reserved          R I S P O S T E

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PATRIZIA SAVARESE
Color negative film

©Patrizia Savarese - E.R. blog

©Patrizia Savarese - E.R. blog

From the series Acquarelli, 2002

©Patrizia Savarese - E.R. blog

©Patrizia Savarese - E.R. blog

©Patrizia Savarese - E.R. blog

From the series Acquatica, 2003
© Patrizia Savarese. All Rights Reserved          R I S P O S T E
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Precedente e preambolo:   Donne sulla Donna – 1

Continua…

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Nikon Live 2015. Ciò che mi riguarda…

Efrem Raimondi iPhonephotography

 

Questa riflessione sui generis l’ho pubblicata nel marzo dello scorso anno.
Per un’altra occasione.
Solo che va bene anche per il Nikon Live di Ancona.
Benissimo anzi.
L’ho necessariamente rimaneggiata. Di poco.
Sabato 21 novembre alle h. 16,00 – sarà un duetto con Denis Curti.

Una Lectio Magistralis è sempre in maiuscolo.
Il più delle volte a ragione, nel mio caso no.
Non è una posa, so ciò che dico: ai posteri l’ardua sentenza… solo che a me dei posteri non me ne frega niente.
Perché se mi fregasse davvero qualcosa non farei il fotografo.
Oggi farei cose ben più utili.
E non me ne starei a rimirare il mondo e la sua fauna umana proiettata all’inferno.
Con l’aggravante della pretesa interpretativa invece cerco di rappresentarlo questo mondo… che è poi quello che ai posteri verrà consegnato.
Per questo ci malediranno.
Perché invece di stare con l’iPhone in mano o qualsiasi altro aggeggio ottico, e scaricare tonnellate di spazzatura iconografica, potremmo fermarci.
Mica tanto… giusto il tempo per capire dove virare.
Tecnicamente non è facile, ma almeno un impegno emotivo e uno sforzo intellettuale, li vogliamo fare?

Io non voglio scendere da questo mondo, e anzi mi fa incazzare l’ineluttabilità della morte.
Forse è questo che si fotografa: la resistenza alla perversione della logica, all’ineluttabile inaccetabile.
Alla supremazia della clava. In qualsiasi forma si presenti.

E tanto più metti a fuoco il senso del tuo resistere, tanto più trovi il linguaggio per esprimere la tua ribellione.

C’è chi ci sguazza… se mi fregasse davvero dei posteri mirerei il mondo non dal mirino di una fotocamera.
Sono giusto trentadue anni che sono fotografo. Più i due che hanno preceduto formalmente il mio ingresso in società, fanno trentaquattro che faccio Fotografia.
E non sono ancora in grado di tirare una somma che è una.
Qualcosa però ho imparato… la più importante: fotografare senza guardare.
La vista è un esercizio molto più complesso che implica un’abitudine all’invisibile.
A ciò che non si palesa con la fanfara.
Io credo nell’utopia. E in ciò che non si vede.
I newsmagazine e l’attualità… bah.
Ora pro nobis
Noi siamo ciò che saremo, sai che ci frega dell’attualità!
Di ciò che si vede, della realtà sottolineata e zeppa di strass non me ne frega niente.

Non so chi avrò davanti al Nikon Live… spero molti ragazzi.
Nei quali mi rifletterò: trent’anni fa ero così.
E in fondo non sono cambiato: faccio sempre la stessa Fotografia.
Modulata, ma è quella.
Dimenticavo! Giusto come unica nota biografica che mi riguarda davvero… ho avuto dieci maestri, e siccome nessuno di questi è più tra noi, non faccio torto a nessuno: Luigi Raimondi – mio padre, Richard Avedon, Caravaggio, Charles Bukowski, Louis-Ferdinand Céline, Francis Bacon, Michail Bulgakov, Bohumil Hrabal, Enzo Jannacci, Felipe – il mio gatto bianco.
Poi ho girovagato. E ogni tanto qualcuno ho incontrato.
Non so quanto possa far piacere, ma la Fotografia è rivoluzionaria.
In quanto discute e scompone l’ordine costituito.
È violenta. In quanto restituisce arbitrariamente.
Qualsiasi forma assuma, non è un vezzeggiativo.
Stop.
Quasi stop…

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Questo il promo

Nikon Live - Efrem Raimondi

Ancona, 21 novembre – h.16,00.
Ingresso libero previa registrazione.

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L’attimo – interview

ME VS. PHOTOGRAPHY - interview

 

 

L’attimo. Tutto qui.
Quando Elisa Contessotto – alias ME VS. PHOTOGRAPHY – mi ha chiesto un’intervista, mica lo sapevo.
Credevo si risolvesse in una morbida chiacchierata…
Invece no. Una chiacchierata per pochi…
Un solo concetto. Tosto.
Questo:
http://mevsphotography.com/interviste/chat-efrem-raimondi-attimo-in-fotografia.php

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