Troppe tette: cambia paesaggio!

Amo il paesaggio, i belvedere e i tramonti.
Foto o non foto. Cos’è che non va?
Anche le tette. Ma troppe, in foto, sembra facciano male. Per cui non ne parlo. Al momento almeno.
La fotografia è linguaggio. Uno solo. Che moduli con ciò che vedi e che intendi restituire.
E che altri non vedono. O vedono diversamente.
Non esiste un genere che sfrutti il linguaggio in modo più nobile di altri. Esisti solo tu e come vuoi raccontarti.
Il termine genere altro non è che la versione intellettuale e critica del termine specializzazione, tamarra e merceologica, per cui caduta un po’ in disgrazia come espressione. Un po’ tirata, ma è come spazzino che diventa operatore ecologico… l’escamotage di un sistema di potere che attraverso la raffinazione della parola tende a svuotarla di contenuto.
Ma rappresentano la stessa cosa, lo stesso concetto. E cioè una fotografia che si deve riconoscere nell’immediatezza della fruizione. E della divulgazione.
Una semplificazione necessaria.
La fotografia alla quale penso non è necessaria.
Non nella misura attribuita dalla cultura massmediatica contemporanea. Che arranca ma non si arrende, perché utile al mantenimento di condizioni vergognosamente privilegiate.
Tutta roba vecchia e aggrappata, anche se con sembianze giovanili.
Le immagini che eludono i confini del genere sono quelle che in sé concentrano gli elementi  di universalità che sono propri del linguaggio puro e cioè non viziato dall’armamentario di genere.
E che paradossalmente hanno maggiore riscontro tra i non addetti ai lavori. Cioè chi le immagini non le manipola per campare o per assicurarsi una posizione mediatica.
Se vedo un’immagine che mi esalta, certamente non è un’immagine di moda, non è un ritratto, non è design, non è street photography: è una fotografia. Solo una fotografia. In sé compiuta.
E non mi frega niente di dove viene collocata dal dizionario.
A maggior ragione per il paesaggio. Landscape…
Che collocazione più derisa non c’è.
Ed è strano… perché c’è molta più dignità nel fotografare una collina nell’Alessandrino che con una mano scattare una snap, mentre con l’altra ti gratti il culo a New York.
E visto che ho fatto entrambe le cose, so di che parlo.
Perché il paesaggio prevede la sua incondizionata accettazione.
Che ha direttamente a che fare con la sua contemplazione, ancor prima che con la pratica fotografica.
Quindi, prima di poter restituire qualcosa, intanto scompari.
E solo se scompari, solo se accetti la misura più prossima allo zero, e della quale non hai abitudine, allora dimensioni e qualcosa di profondamente tuo trova forma e emerge.
Non è pratica da supermarket…
Il paesaggio non ha alcuna urgenza. E non è subordinato ad alcuna storia da raccontare. Lui sta lì, che tu ci sia o meno è indifferente.
E forse è questa sua indifferenza che ci urta, e che costringe alcuni, molti, a sforzi abbellenti. Una pretesa che si riduce in caricatura.
In una rappresentazione stucchevole, dove i singoli elementi che compongono l’insieme non hanno più relazione: ognuno, disinvoltamente sovraphotoshoppato, si specchia in un plastico natalizio. Uguale per tutti.
Che se non basta si può ricorrere al bianco e nero, ultimo salvagente.
Terribilmente all’inseguimento dello stupore.
Che poi, alla quinta che vedi vorresti tornare alle tette.
Ma è così difficile fermarsi di fronte al paesaggio?
È così difficile ascoltare ciò che ha da dire?
È così intellettualmente disonorevole affacciarsi da un belvedere?
È così cheap bearsi di un tramonto e volerlo condividere?
Il tema della beatitudine si confronta, oggi ma da un po’, con un paesaggio che non è immacolato. Non fosse altro che per la nostra presenza di per sé inquinante.
E a dispetto di ciò che vorremmo, e della nostra intransigenza ecologista, ne possiamo godere solo attraverso questa perdita.
Non è l’apologia della cementificazione, è una constatazione.
Qualsiasi paesaggio è raggiungibile.
Oltre la nostra inadeguatezza.
È con questo paesaggio che ci misuriamo.
E proprio per questo di fronte alla fotografia di un tramonto ho un moto di commozione nei confronti dell’autore, soprattutto se pressoché anonimo. Perché rappresenta il baluardo romantico attraverso il quale l’emozione, forse idiota, nega l’attualità, che idiota lo è certamente.
C’è una caparbietà spesso inconscia in questo. Non di meno rispettabile.
E allora, noi che abbiamo la presunzione di possedere il salvacondotto per le nostre immagini, che qualsiasi prurito sembra trovare dignità, se proprio non vogliamo misurarci con l’urlo figurativo proprio del paesaggio, il che è legittimo, almeno non accusiamo di eresia chi col paesaggio si cimenta fotografandolo.
Sempre la stessa menata in fondo: è il come che ci riguarda, non il cosa.
It’s only my opinion.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Le immagini pubblicate sono state realizzate tra il 2004 e oggi.

Fotocamere: Ricoh GR1s, Leica CM, Leica M7, Ricoh GR D e GR DII, iPhone 4S.
Film: Fuji NPS 160.

AGGIORNAMENTO 21 settembre 2013
Vilma Torselli per ARTONWEB



 


  

 

PREVIEW Milano

Scordiamoci SHOT. Per vari motivi qualcosa non ha funzionato.
Assieme a Milano Makers e con Cesare Castelli, Giacomo Giannini, Miro Zagnoli e il sottoscritto, nasce PREVIEW Milano.
Sempre nell’ambito di MI Generation, è un’iniziativa che riguarda gli under 30. Solo che si apre anche a una sezione parallela over 30.
Il soggetto è un tuo progetto fotografico, anche abbozzato, da presentare direttamente nei giorni 21 e 22 settembre. Cioè adesso. A Milano presso il Castello Sforzesco.
I dettagli si trovano qui:

PRESENTAZIONE

Una due giorni di confronto sul tema del linguaggio in fotografia.
E come ognuno di noi lo intende.

Questo il primo step. Poi, nel 2014, una verifica, quindi nel 2015 nell’ambito dell’EXPO una mostra dei lavori selezionati.

Spero ci si veda.

Per chi frequenta FB, cliccare questo logo.

AGGIORNAMENTO
La presentazione di 60″ in video è necessaria. E parte integrante del percorso di questo primo incontro.
A discrezione si può portare anche un portfolio di max 10 immagini, nel formato che si desidera, o in cartaceo o in digitale.
Stiamo parlando di un percorso, non di una galleria di immagini che tra loro non hanno relazione.
L’intento è un po’ quello di censire lo stato del linguaggio fotografico.
In questo, liberi tutti! Basta che ci riguardi davvero.
Può essere anche un accenno, una bozza di progetto. Un intento.
Fino allo step del 2014 non è vincolante. Da quel momento assolutamente sì.
La partecipazione è gratuita.

SHOT 13

Shot, in primis.
Poi 13, perché nasce adesso.
Ma sarà anche 14. E anche 15 per arrivare giusti all’EXPO.
Quindi Shot ci sarà. Magari in forma diversa, perché avremo modo di mettere a punto la macchina… di essere più circostanziati… di mirare meglio.
Abuso del plurale, in realtà qui ne parlo a titolo personale.
Ma sono uno dei promotori e la faccenda mi sta a cuore.
Mi si perdoni quindi la licenza temporanea.
Che poi, tra Comitato Promotore, Comitato Esecutivo e Autori che sovrintendono alla selezione del materiale in arrivo, c’è gente ben più qualificata di me.
Io faccio solo il fotografo.
Comunque, è da qui che si parte. Ed è più semplice di ciò che sembra: si chiede di partecipare a una sorta di censimento iconografico a chiunque l’immagine la mastica in età compresa tra i diciotto e i trenta.
E poi la sputa, senza necessariamente sapere dove.
Disperdendo a volte una cifra espressiva.
Se ne è parlato un paio di mesi fa, è così che è iniziata.
Interrogandosi su questa mole che il digitale ha prodotto.
Fregandosene di archetipi e memoria storica, spesso alibi per fare zero, che statici è bello, in Italia soprattutto.
A ben vedere, è anche vero che abbiamo una memoria iconografica ficcata nel DNA, solo che sono in pochi a usarla.
Anche perché è una rendita selettiva e benedice dove le pare, quasi random su soggetti predisposti. Mica sull’intera popolazione italiana, così, di default. E la predisposizione si attiva se sollecitata dal dubbio, mica dalle certezze dei nostri predecessori.
E davvero molto è cambiato col digitale. Ma non si tratta di disquisire sul processo. Non adesso.
Ho l’abitudine di riflettere su ciò che vedo. Talvolta di riflettermi.
Penso al prodotto, all’immagine. Non al produttore e al titolo che vanta; non al contenitore, non al luogo, non all’allure eventuale di entrambi.
E me ne frego del mezzo, dello strumento. Questo da sempre, dal mio primo vagito analogico.
Per tutto questo son qui. Perché ho voglia di interrogarmi in un ambito ordinato e su un tema: what’s my name.
Perché guardare è una delle misure del vedere.
Grazie a Milano Makers, che è tra i promotori, SHOT 13 si è inserito nel contesto di
MI Generation. Cioè patrocinio del Comune di Milano.
Mica per una questione di agganci ma per vivo interesse nei confronti di questo percorso. Che sappiamo come nasce ma non precisamente dove porta.
È un work in progress. Che per questo primo anno avrà come sede finale il Castello Sforzesco, con una mostra dal 21 al 23 settembre.
Più conferenze, reading e altro annesso.
Non sono vago, è che è davvero un tourbillon e alcune cose sono in fase di definizione.
L’invito è quindi a inviare immagini e video a questo indirizzo e-mail: shot@shot13.it
Quanto alle specifiche copio/incollo quanto indicato sulla pagina FB di SHOT13, precisamente qui: https://www.facebook.com/shot13.it/info

Come partecipare.
Inviando all’indirizzo shot@shot13.it max 5 immagini, in formato jpg.
Il peso complessivo dell’e mail non deve superare i 10 MB.
Ogni immagine dovrà essere denominata come segue:
NOME_COGNOME_1.jpg
NOME_COGNOME_2.jpg
E così via.
Per i video va inviato ESCLUSIVAMENTE il LINK di pubblicazione, sia esso su you tube, vimeo o qualsiasi altra piattaforma. Esclusi corti e lungometraggi. 


Il titolo è, appunto, l’identità. Modulata come pare.
Cinque immagini massimo… cioè anche una. Ma io sfrutterei la cinquina.
Perché definisce un percorso, una chiara intenzione di arbitrio.
Che è il vero elemento distintivo del linguaggio. Ciò che ne permette l’evoluzione.
Ci sarà a breve anche un sito, http://www.shot13.it/  al momento in costruzione.
Adesso però bisogna correre. Priorità alle immagini. Inviare, please.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Questo il documento di presentazione:

PDF SHOT13

Interni mag. Aprile 2012 – n.620

© Efrem Raimondi. All rights reserved. Milano, marzo 2012.

Credit: foto ass. Giulia Diegoli.
Redattrice Maddalena Padovani.

Fotocamera: Hasselblad H3D II-39, con 50 mm.
 Flash: Profoto

 

Hasselblad Master Jury

http://www.hasselblad.com/hasselblad-masters-jury.aspx

Non è semplice essere un giurato… temporaneamente giurato per quel che mi riguarda. Poi vedo qui e là che c’è chi ne fa una professione. Peggio: uno stile di vita.
L’importante è non pensare che da te dipenda qualcosa di fondamentale per qualcuno altro. Perché non è vero. Diffidare di chi sostiene il contrario. Nel dubbio diffidare comunque.
E la tua parola conta semplicemente per ciò che è, cioè una unità.
Essere onesti e fedeli a se stessi ma non prendersi troppo sul serio è una regola generale. Anche quando fai la tua biografia: io non mi ci riconosco mai!
Fatto salvo per i gatti, che confermo essere i miei soggetti preferiti.
Se poi li fotografo o meno non è poi così importante.

A margine… ma a cosa servono i concorsi?

© Efrem Raimondi. All rights reserved.