Cosa cambia una fotografia

Cosa cambia realmente una fotografia?
Il mondo? No.
Alcune fotografie certamente hanno scosso, orientato e disorientato.
Ma siamo in un ambito strettamente legato all’informazione.
Quella che ha a che fare col fotogiornalismo e col mito del reportage.
Che in alcune circostanze, per alcuni autori, la mitologia ha un suo motivo.
E malgrado ciò, anche limitatamente all’Italia, cosa cambia?

Qualcosa che cambi tutto. Definitivamente.
E nulla è più come prima. È di questo che parlo.

Quello che realmente può cambiare una fotografia, è l’autore.
Ma dev’essere proprio quella fotografia lì.
Che non è mai casuale. Mai.

E infatti è accompagnata da altre fotografie. Che hanno una relazione ma anche una vita autonoma.
Per incidere sulla propria consapevolezza non ci si trova mai davanti a un caso isolato: serve un corpus, cioè una serie di immagini con lo stesso peso specifico.
Sottolineato: lo stesso peso espressivo.

E chi se ne frega, giusto?
Sbagliato.
Sfogliare un archivio, qualsiasi archivio…
Quello che scaturisce sul piano emotivo non è così prevedibile.
E infatti eccomi ancora qua.
Ma al centro c’è ciò che vedi. Tutto il resto viene dopo. Anche la riflessione viene dopo.
L’elemento fondante è l’opera. Quella fotografia lì che mostri o che nascondi al netto della volontà mediatica e/o del riconoscimento che cerchi. O eviti.
Non ha alcuna importanza: se non hai in mano niente che ti scuota, il riconoscimento e il successo, sono l’ultimo dei tuoi problemi.

Quindi occupiamoci del prodotto.

Cosa cambia una fotografia?
Quale fotografia?
Quando te ne accorgi?
Ma il bello di tutto ciò è che non può essere una riflessione allo specchio: con ciò che ci circonda una relazione dev’esserci.
Capiterà di guardarsi attorno?
È fondamentale. Perché questo è il parametro.
Poi decidi come ti pare.

A me è successo proprio così.
Altrimenti non sarei stato un fotografo.

Tre le fotografie che mi hanno cambiato la vita.
Nella loro unità e nel corpus iconografico al quale appartengono.

Quindi è tutto il malloppo che conta.
Però queste tre come una matrice.

Novembre 1980, Irpinia terremotata.

© Efrem Raimondi, 1980 - All Rights ReservedPerché ha chiarito defininitivamente il mio rapporto con l’esposizione e la sua manipolazione.
E perché mi ha insegnato a guardare al soggetto come a un tutt’uno: il soggetto è tutto ciò che si vede entro il perimetro.
Non c’è frazione.
Non ho più fatto reportage. Se non di altro tipo – disimpegnato, direi con un sorriso…

Settembre 1985, Fuorisalone, quello del Salone del Mobile, che allora si svolgeva appunto a settembre.

© Efrem Raimondi, 1985 - All Rights ReservedQuel lavoro era – ed è – composto da un centinaio di immagini.
Senza alcuna presunzione: ha cambiato INTERNI magazine nel documentare il Fuorisalone.
Ero un incosciente, e se non ci fosse stata Dorothea Balluff alla guida di quella rivista, quel lavoro sarebbe rimasto nel mio cassetto. O nel suo.
Il mio inizio con INTERNI si deve materialmente a questo lavoro. Che non c’entra niente. Ma c’entra tutto. Esattamente come questa baby sitter col suo bambino.

E questa. Che mi ha segnato profondamente. Per questo non è in evidenza.
Febbraio 1981, centro ANFFAS di Legnano.

© Efrem Raimondi 1981 - All Rights ReservedLei, proprio lei, mi ha fatto capire un sacco di cose sul rapporto spaziotemporale, sulla manipolazione del tempo fotografico e della relazione con quello reale.

Poi sì, è ora che esca dal tunnel di questo archivio.
Sinceramente? Non  pensavo mi avrebbe così coinvolto.
E non se ne parla più.

Ciao!

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Sei mai stato ingenuo?

©Efrem Raimondi. All Rights Reseved

AVVERTENZA!
Questo articolo è già stato pubblicato nel dicembre 2013.
Lo ripubblico integralmente con qualche piccola modifica.
Aggiunte anche un paio di immagini.
Che non so perché non le avevo pubblicate allora.
L’originale lo nascondo, commenti inclusi.
Ma resta tutto a disposizione.
Una traccia per le prossimissime cosiddette lectio magistralis.

Uno spunto.
Uno sputo.

 

Ingenui, eccessivi, sfrontati.

In che altro modo si può essere se privi di esperienza?
Ingenuo, latino… nel diritto romano coincide con lo stato di Libero.
L’ingenuità non la apprendi né la coltivi e, anzi, ne perdi un pezzo man mano che campi.
A favore di conoscenza e esperienza, che sono importanti… ma dopo!
Prima c’è la condizione ingenua. E faresti bene a sfruttarla se hai vent’anni e vuoi fotografare.
Perché è questo il momento in cui misuri il tuo talento.
Che è una dote gratuita, e proprio per questo non va gettata.
Si getta ciò che si compra, non i regali.
E va mostrata il prima possibile: al bando tutto! Incertezze, paure, ritrosie e bon ton.
Conta solo la dote.
Il cui valore non dipende dagli altri. Gli altri se ne fregano, quindi non sono un alibi da sventolare.
Non può neanche essere un alibi il fatto di non essere figlio della/del grande: fotografo, pittore, musicista, regista, imprenditore, architetto, giornalista, direttore – di qualsiasi genere – avvocato, critico,  premio Nobel, attore eccetera.

I FIGLI DI hanno un indubbio vantaggio… ottimo per la carriera professionale.
È così, facciamocene una ragione.
Ma che importanza ha? Il talento è altra roba. E può riguardare chiunque.
Col vantaggio che se lo mostri, si vede!
Non dico che le condizioni famigliari non abbiano un peso, dico che non c’è altro modo che fottersene. Perché se pensi che tutto sia precluso per via del natale, non solo ti sbagli ma, cosa ancora più grave, sei un soldato dello status quo, di quel conservatorismo che non ha bandiera e che vorrebbe tutto davvero ridotto alla misura del potere costituito.
Mentre è solo con l’insurrezione e la rivolta che le condizioni cambiano.
Sempre.
L’arma che hai a disposizione è il tuo talento.
Quindi non cincischiare, mostralo!

Sappi che più è evidente e cristallino, più sarà offeso: da chi non lo riconosce e da chi lo riconosce bene ma non lo ritiene utile.
Sai che me ne faccio dell’utilità? Come regalare un minipimer alla fidanzata…

C’è sempre però qualcuno da qualche parte, che a sue spese potrebbe ammiccare.
Dagli retta.

In genere è riconoscibile, non pirla in giro e è onesto: ti dice con assoluta precisione cosa fare. Come muoverti.
Lo riconosci anche dal fatto che non ti rimbalza a qualcun altro, ma si assume personalmente l’onere di offrire un argine al tuo talento.
Perché senza un argine, rischi di disperdere un patrimonio.
Gli argini sono il luogo dove l’ingenuità trova forma e diventa volume, peso specifico. Espressione.
Essenzialmente a questo dovrebbero servire i portfolio reading: a riconoscere il talento.
Se c’è.
Qualcuno mi dica se è così che funziona.
Ho fatto entrambe le cose: mostrato il mio portfolio a suo tempo, e letto diversi portfoli negli ultimi anni.

Potrei dilungarmi sulla variopinta fauna, abbigliata d’aura fotografica, di entrambi gli schieramenti.
Da una parte  presunzione e cliché random, poi ogni tanto un talento.
Idem dall’altra. Quindi è patta.
E comunque se proprio devo scegliere, io sto con me. 
E con pochi altri.
Io mi fido di più dei poco allineati. Se sei lì col tuo portfolio e sei un vero talento, faresti bene a fare altrettanto.
Perché l’allineamento è solo un grado della conservazione. 
Mentre tu devi spingere. Rompere gli equilibri.
È spesso l’unica chance che hai. Oggi più che mai.
Se poi devi anche per forza urlare Largo ai giovani! per spirito di appartenenza generazionale, fallo pure. Con la consapevolezza che è un’enorme cazzata demagogica.
E che a breve lo sentirai dalla bocca di chi di anni ne ha cinque meno di te.
Faresti meglio a urlare a squarciagola Largo al talento! Che è la vera discriminante.

Già… ma come si fa a riconoscere il talento?
È facile: guarda da un’altra parte. E lo fa con una semplicità e una caparbietà che non lasciano dubbi.
Lo fa con una leggerezza incosciente, mostrando bene il fianco e fregandosene dei risvolti.
Quasi ignaro del trend, va per la sua strada. Che è ben visibile.
Il tempo poi dirà se si è smarrito per i troppi tornanti o se qualche curva non gli ha impedito di maturare, di puntualizzare il senso della propria rivolta.
Perché, ribadisco, il talento è rivolta. Non emulazione, non scimmiottamento.
Convengo che oggi è tutto molto più difficile. Ma quando tocca a te, indipendentemente dall’epoca in cui vivi, è sempre tutto più difficile.
Certo, il surplus di fuffa disorienta. Mai come in quest’epoca le sembianze mediatiche dirigono la danza.
Ma tant’è.
Se il tuo talento è vero, saprai disciplinarlo.
E supplire allo sgomento.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

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Questo lavoro è del 1981.
Proclamato dall’ONU ”Anno Internazionale dell’Handicappato”.
Diversamente abili se fosse adesso. Per me non cambia niente.
Realizzato presso il centro ANFFAS di Legnano. Allora un’avanguardia.

Segue di pochi mesi quello sul terremoto irpino, che ho qui pubblicato un po’ di tempo fa.
 Lo spirito è lo stesso.
Stesso anche tutto l’armamentario fotografico e il suo uso un po’ così, disinvolto…

Stesso piglio reportagistico, intimista e completamente avulso dallo spirito di allora.
Ma anche di adesso.
Questo e quello sono la mia vera matrice espressiva: tutto da qui!
Che poi ho fatto altro. E il reportage, chissà…

Stesso tutto…
Stessa ingenuità.
Che è ciò che mi ha permesso di fare il fotografo. 
Altre possibilità non ne avevo.
Ma avevo ventidue anni.

Questo è il primo lavoro che ho pubblicato.

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