About one month ago I was in Reggio Emilia for Fotografia Europea 014, and bumped into the artist Maria Teresa Gavazzi and the photo set she had built on the road. A few minutes after, I was sitting on a stool with a nylon hose around my head.
I shot a selfie and Maria Teresa shot it.
My identity got lost into a sort of matrix.
The more you show yourself, the more you’ll find out that you are mute and blank. A clone.
This work by Maria Teresa Gavazzi is agile but extremely powerful.
I’m not an art critic, I am somebody under the nylon hose. There, I had the time to look at me and did not like what I saw.
That’s why usually I prefer not to look at me, but at the world. The invisible one. Looking for it and for people that can show it to me, as it was a deserted house that I need and occupy.
Flashback: 1999, my portrait of Maria Teresa Gavazzi for Arte magazine. I am very pleased to having met her again, and would thank her for Faces: the selfie of our age. I don’t need to do one any more.*
* See the links below the Italian article.
Cammino per Reggio Emilia. Un mese fa per Fotografia Europea 014.
E vedo Maria Teresa Gavazzi: pittrice, performer… un’artista insomma. Che però sapevo a Londra! dove vive e lavora.
Lì in un angolo di strada con una fotocamera, un cavalletto, uno schermo come sfondo. Uno sgabello.
E una calza in mano, di quelle da donna.
Mi dice quattro cose che non capisco e in un attimo mi trovo sullo sgabello con la calza in testa giù fino al collo.
Questo sarà il mio selfie! E prima che lei scatti, mi scatto io.
Anche lei scatta… mi dà delle indicazioni e io eseguo.
Sono in balìa di un altro sguardo, per cui eseguo.
È rarissimo che sia dall’altra parte. Non è più il tempo.
Però questa è tutta un’altra situazione: non mi specchio nella mia identità, che anzi va a ramengo.
Ma in una qualunque. Quasi una matrice.
Questo occidente è un luogo impaurito che ha perso la capacità di esprimere divergenza e alternativa espressiva. È muto.
Variopinto, ma inespressivo. Dove l’incipit è uno: mostratevi.
E nel mostrarsi, ci si accorge di essere copie. Malgrado gli sforzi.
Mi piace molto questo lavoro di Maria Teresa Gavazzi, perché ha un’apparenza leggera, ma una sostanza potente.
Io non sono un critico, io sono uno di quelli con la calza in testa.
E lì sotto ho avuto il tempo di vedermi. E come sempre non mi piaccio neanche un po’. Altrimenti non farei il fotografo.
Altrimenti non starei dalla parte opposta all’obiettivo.
Altrimenti non guarderei il mondo. L’altro mondo, quello che non si vede.
È ciò che non so vedere che vorrei trovare da qualche parte.
Ed è di persone in grado di mostrarmelo che ho bisogno.
Parafrasando Maria Teresa, anche ladri.
Perché è come avere a che fare con un bene comune che va in malora… una casa vuota da secoli abbandonata all’ingiuria: io ne ho bisogno e me la prendo.
E la restituisco alla vita.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
C’è però un’anteprima, non posso evitarla.
Maria Teresa Gavazzi l’ho ritratta per il magazine Arte nel 1999.
Questo il ritratto che le feci. Quindici anni fa. Già.
Era più o meno da allora che non ci si vedeva: è come essersi ritrovati. In più la ringrazio per questo suo Faces, che è il selfie di un’epoca. Così non c’è più bisogno di farne. Almeno io.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
Faces by Maria Teresa Gavazzi – PDF faces_ita
M.T.G. a Fotografia Europea 014
M.T.G. Performance
Le fotografie di backstage sono di mia moglie, Laura De Tomasi.