Specchio a margine, 2015 © E.R.
Nothing happens by chance. And making photography involves not only your sight, but your whole being. And all your senses.
You have to listen as well…
During one of my workshops about portrait, Nicola Petrara, who was attending it, told me about his work about a maximum-security prison. Where even mirrors are forbidden.
For years on end without seeing your own face… can you imagine?
Nicola’s digital camera monitor had been used by the detainees to look at themselves. And to update their memories.
Besides Nicola’s, I am showing here the big work that Giovanni Mereghetti and his son, Hermes, made in a prison near Milano.
I do not express any moral judgment. I would simply say that denying identity is unacceptable for whoever.
Nulla succede per caso.
Ma per accorgersi che qualcosa sta succedendo, occorre essere curiosi e sapere ascoltare. Con tutti i sensi.
La fotografia, farla davvero, non impegna la sola vista.
E questo vale per tutti. Perché appunto, nulla è casuale.
Semmai causale.
Durante il mio workshop alla Fondazione Fotografia Modena, chiacchierando con Nicola Petrara, lì partecipe, viene fuori che ha fatto un lungo lavoro in un carcere di massima sicurezza.
Massima sicurezza… dove molti oggetti di uso quotidiano vengono negati.
Come lo specchio.
Non ci si pensa… ma se d’emblée ci venisse precluso, lo specchio intendo, che sarebbe della nostra faccia?
Quale la nostra identità?
Lavoreremmo sulla memoria?
Stai in carcere due, cinque, vent’anni… poi ne riparliamo.
Non c’entra con nessuna valutazione morale né con la pena che stai scontando: è l’idea insopportabile della propria immagine negata.
E di un riscontro impossibile: come avere la faccia da un’altra parte.
Per cui quando Nicola entrava in carcere era altro che ben accetto, di più!
Perché il monitor della sua digitale diventava il luogo di restituzione dell’identità. E il tempo finalmente tornava a coincidere.
Questa la molla che ha scaturito questo articolo – mi son rotto le balle di dire post… quelli, oggi, li fanno i newsmagazine.
E così ho coinvolto prima Giovanni Mereghetti, collega che conosco e stimo, e poi suo figlio Hermes.
Perché entrambi hanno fatto un lavoro sul carcere.
Questo è quanto. Buona visione.
© Efrem Raimondi. All rights reserved
Giovanni Mereghetti
Casa di reclusione di Milano-Bollate. Ottobre 2012 – Febbraio 2015.
Da sempre mi occupo di problematiche sociali e soprattutto della gente di “serie B”. Fotografare in un carcere significa andare oltre i margini del vivere comune. Entrare in contatto con persone che siamo abituati a vedere in modo diverso. Conoscere le loro storie, cercare di capire le loro vite. E poi fotografarle senza “rubare nulla”. Alla fine una stretta di mano. E un sorriso.
© Giovanni Mereghetti. All Rights Reserved
N O T E
Hermes Mereghetti
Casa di reclusione di Milano-Bollate. Marzo – Luglio 2015.
Sulla scorta del mio precedente lavoro fatto in studio su persone amiche e conoscenti, ho voluto approfondire la mia ricerca interiore dell’individuo attraverso la particolarità dei detenuti di un carcere. E’ stato importante lavorare in simbiosi con i soggetti, i quali, oltre che posare, hanno suggerito loro stessi un aggettivo che in qualche modo li rappresentasse.
v e n d i c a t i v o
s c h i e t t o
o n e s t o
t i m i d o
© Hermes Mereghetti. All Rights Reserved
N O T E
Nicola Petrara
Casa Circondariale di Trani (Bari). Reparto Massima Sicurezza.
Istituto Penitenziario Spinazzola (Bari). Detenuti Sex Offenders – chiuso nel 2011.
Le immagini sono state realizzate durante due progetti distinti, nel 2008 e poi nel 2009.
La spinta iniziale è arrivata dalla curiosità di entrare in contatto con un mondo a me sconosciuto. La fotografia spesso ha questa funzione di “chiave”.
Ho accettato volentieri l’invito di due miei amici a documentare il loro progetto su base teatrale.
© Nicola Petrara. All rights reserved
N O T E
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