L’equivoco ghirriano

 

L’equivoco non risiede in Luigi Ghirri, che era totalmente padrone del proprio linguaggio.
E che nell’imperfezione, nella scia analogica lievemente sporca, trovava l’equilibrio espressivo del proprio silenzio.
Un silenzio per nulla muto, anzi un frastuono a volte.
Leggero e potente.

L’equivoco ghirriano è degli epigoni.
Che non se ne può più di perfezione morta… di tutto ‘sto dettaglio iperdigitale che va da qui all’infinito… di staticità incollata, millimetro dopo millimetro lungo il perimetro del formato, dal quale non esce e non entra nulla.
È tutto concluso… nell’equivoco ghirriano non c’è uno spiraglio. Mai un dubbio. Solo un ammontare di punti esclamativi, e ogni elemento si specchia in sé, evitando accuratamente la benché minima dialettica col resto e con gli altri… ognuno con la propria dichiarazione di guerra stampata in fronte.
Ognuno col suo colorito perfetto.
Fotografie ordinate per una fotografia ordinaria.
Non è una sentenza solo perché non ne ho il titolo.

In Ghirri la fotografia è tutto, le fotografie un pretesto.
Coi suoi tre formati, sempre quelli mi sembra (24/36 – 4,5/6 – 6/7), decodifica il mondo che vede. Che lui sa vedere ben oltre il confine del genere e della circostanza… mi sembrava assurdo che un fotografo potesse fare solo fotoreportage e non riuscisse a fotografare una cattedrale o l’interno di una casa, o elaborare un rapporto minimamente più approfondito con il visibile (visibile vuol dire quello che io sto guardando), con la rappresentazione in generale.
Direttamente da Lezioni di fotografia, edito Quodlibet, 2010.
Un piccolo volume che raccoglie le sue lezioni, quelle tenute all’Università del Progetto di Reggio Emilia, tra il gennaio 1989 e il giugno 1990. Un volume fondamentale nella sua essenza. Anche se alcuni dettagli sono stati spazzati via dallo tsunami digitale.
In alcuni casi neanche dettagli da poco. Insomma va letto.

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L’intero lavoro di Ghirri è il prodotto di una riflessione che ha pervaso l’ambiente amatoriale italiano a cavallo tra gli anni ’50 e i ’70. E che non esiste più. Né quell’ambiente, né quella riflessione.
E se è vero, come mi sembra di ricordare scrivesse proprio Ghirri, che la fotografia amatoriale era capace di grandi gesti espressivi – e lo era davvero – mentre buona parte del professionismo si limitava sostanzialmente al compitino, è altrettanto vero che oggi non è più così. E che anzi proprio l’equivoco ghirriano ne è manifesto.
La riflessione e l’espressione autentica oggi la riconosco quasi esclusivamente in chi la fotografia la produce in modo trasversalmente professionale. Forse proprio perché costretto a confrontarsi col cortocircuito digitale.
E solo raramente vedo autenticità e intuizione, basterebbe anche acerba, in chi non rischia mai nulla.
Una visione del mondo… questo lo sguardo di Ghirri e di tutto un ambiente amatoriale, fotograficamente molto colto e poco epigono, poco specialistico, che ha saputo produrre grandi immagini e grandi fotografi. Non importa se di successo o meno, per dirla alla contemporanea.
Oggi, che tutto è mischiato e una bozza di sguardo lo recuperi anche dal vicino di Instagram, non basta più.
Oggi devi avere una visione della vita.
E riprenderti le rughe.

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Ghirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiQueste immagini appartengono al libro Luigi Ghirri. Vista con camera.
Federico Motta Editore, 1992.
Quelle che seguono sono parte di un redazionale per INTERNI mag – settembre 1984, con testo di Giovanna Calvenzi.

Ghirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem Raimondi
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