Non c’è alcun tempo.
Se non quello presente.
Ogni altra declinazione è un valore matematico lineare. E non ci riguarda.
Fotograficamente è solo un parametro tecnico relativo, la cui comprensione permette il relativismo che ci riguarda in quel tempo presente.
E contribuisce alla nostra definizione espressiva.
Al linguaggio. Che non è un valore né matematico né lineare.
Né logico.
Non c’è alcun luogo.
Solo la misura, millimetrica, dello spazio che intendiamo occupare permanentemente.
E che arrediamo a seconda di un intento.
Fosse anche un fondale bianco.
La permanenza, la nostra, è il prodotto di questa dialettica spazio-temporale e ha un valore oggettivo: ciò che mostriamo. Proprio quella fotografia lì e non altre.
Questa sequenza ruota intorno alla relazione tra questo portone rosso e me.
La reciproca indifferenza di un paio d’anni.
Poi ad agosto 2015 qulcosa è scattato: ci siamo riconosciuti in un luogo, uno spazio condiviso.
Nella precarietà di entrambi: lui era stato una pianta, adesso un portone.
Adesso adesso nulla, non c’è più.
Io un umano temporaneo: anch’io non ci sarò più.
Ciò che resta di noi è questa fotografia.
Che ha una relazione precisa col tempo: lo fa proprio e lo restituisce immutato.
E in culo a Chronos.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
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