Zlatan ha capito tutto

Zlatan ha capito tutto.
Zlatan… non il curatore; non il critico; non il photo editor; non il fotografo.
Zlatan, zingaro meraviglioso, in una lunga intervista alla BBC del novembre scorso, apre parlando di questa fotografia. Di questo ritratto.

Zlatan Ibrahimovic by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedZlatan Ibrahimovic, 2008 © Efrem Raimondi

Mia moglie dice che si parla già troppo di me, e quindi non vuole vedermi anche sulle pareti. C’è una foto sola, la foto dei miei piedi. Quella l’ho appesa per ricordare dove siamo e cosa abbiamo: è appesa per la famiglia, non per me. Sono quei piedi ad aver fatto tutto. […] Mi è sembrato fantastico avere quella foto alla parete, anche se le dita sono bruttissime. Ma chi se ne frega, li abbiamo appesi alla parete per ricordarci che è grazie a loro che mangiamo. E quindi questi piedi dovresti baciarli tutti i giorni (ride).

Cosa peraltro già espressa nell’autobiografia. Con toni diciamo più grunge…

Ne avevamo parlato prima che scattassi. Semplicemente dissi che a tutti gli effetti era un ritratto quello che mi accingevo a fare.
Da sdraiato, guardando in macchina, aggiunsi solo che mi ricordava un elefante – a proposito dell’importanza del ”messaggio”.
Scattavo e sul monitor comparivano le immagini. Che vedevo con la coda dell’occhio.
Lui non meglio di me ma tutto era chiarissimo: una come test luce e due similissime.
Totale tre scatti tre.
Questa fotografia apre la piccola galleria Le mie foto della sua autobiografia in tutte le edizioni internazionali.


Zlatan Ibrahimovic c’entra niente con questo mondo.

Ma legge perfettamente una fotografia.
Usando quel marchingegno chiamato vista.
La domanda è sempre la stessa: cosa si vede?
Al netto di qualsiasi declinazione emotiva, che le emozioni sono un fatto personale, cosa si vede?

Due piedi non è sufficiente.
Altrimenti si finisce come col commento di una fanciulla che alla vista di questa immagine consigliava al soggetto Zlatan di fare una pedicure.
Di più: come il responsabile della stampa – proprio in tipografia – del magazine per il quale l’ho realizzata che autonomamente, fregandosene del pdf della redazione, fregandosene di tutto e tutti, lui all’ultimo minuto decise di pulire il pavimento dallo sporco… cioè quel niente di fango e erba che avevamo deliberatamente aggiunto.
Il che su mia richiesta ha comportato la ripubblicazione dell’immagine nel numero seguente.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Io fotografo in italiano

V

Io fotografo in italiano.
E rivendico il mio idioma. Che è cifra espressiva.
L’immagine non nasce in un limbo etereo, in una volta celeste che in quanto tale non ha confini… nasce sotto, a terra, dove le cose hanno una dialettica subordinata. Si mischiano anche, ma i percorsi sono molto accidentati. E si fa i conti con i confini.
Che non sono tanto prodotto della geografia politica, disegnati e ridisegnati da una Yalta qualsiasi… sono culturali, religiosi, sociali.
E anche ideologici. Tutta farina del nostro cranio e della nostra bile.
Della nostra storia.
Della nostra idiozia e intolleranza, anche. Ma questo è.
E non è negandolo che si favorisce una dialettica, semmai si alimenta la confusione: la diversità è un patrimonio, e l’arte la sintesi massima attraverso la quale esprimerla.

È minato ‘sto post, cammino sulle uova…
Sto parlando del produrre fotografia. Che non coincide col leggerla, anche se la lingua sembra la stessa. Apparentemente…
Si dice che la fotografia in quanto immagine e non avendo bisogno quindi  della parola per esprimersi, sia scevra da incomprensione e da equivoci tipici della lingua. E chiunque, di conseguenza, è in grado di capire.
Ah sì? E allora anche di fare, senza inciampo se hai letto il libretto d’istruzioni.
La fotografia non sarà parola. Ma è fortemente linguaggio.
E il linguaggio non è scevro da niente.
Fotografare significa usarlo ‘sto linguaggio: e allora quale?
Com’è che si dice quando si ha proprietà di una lingua? Che si pensa in quella lingua.
E la fotografia perché mai dovrebbe fare eccezione?
Esiste un pensare avulso quando girovaghi con la fotocamera?
Esiste quando ritrai, con la fotocamera?
Esiste quando sbiotti a destra e a manca, con la fotocamera?
Esiste quando ti illumini di landscape, con la fotocamera?
Probabilmente avulso solo quando l’unico centro della tua attenzione sei tu medesimo… avulso sì, in un selfie narcotizzante.
Che se di biottitudine poi si vanta, narcotizza anche gli altri, noi che un’occhiata comunque la buttiamo. E voyeuristicamente ci attardiamo.

Una lingua povera, produce immagini povere.
Che se però sostenute da un apparato industriale adeguato, diventa egemone. Si legga pure Pop Art, più tutte le sue declinazioni contemporanee.
Una lingua impoverita produce immagini emule.
Non c’è alcuna fotografia internazionale, c’è uno pseudo linguaggio internazionale che produce immagini globalizzate, tendenzialmente uniformi.
Una trappola per chi possiede un patrimonio genetico.
Ogni tanto salta fuori la nuova fotografia… a turno: inglese, olandese, tedesca, cinese… e tutte hanno una forte componente espressiva di riferimento proprio. Che rivendicano.
Mai una italiana. Perché?
A me sembra di vedere molta timidezza.
A me sembra si sia smarrita drammaticità, quella che ha permeato tutta la storia dell’arte italiana. Sino ad arrivare a Sorrentino.
In fotografia boh… produciamo una prosa discreta ma senza un gesto, senza una rivendicazione chiara immediatamente leggibile.
Senza identità non siamo riconoscibili.
Io camminare come gambéro… come dire italiano? Gambero or gambéro?
Ma è lo stesso Joe…
No! Sorry… but it’s not the same: you must respect your language.
Questo non era Ovidio, ma Joe Strummer, con le idee molto chiare.

Ripartirei da I promessi sposi, e da un po’ tutto Pirandello… mi tufferei per ore in Caravaggio e in Mario Giacomelli.
E mica è tornare indietro, tutt’altro… si tratta di capire se abbiamo ancora una lingua in grado di esprimere un linguaggio alto condiviso.
E condivisibile.
Se no moriamo e vaffanculo. Che almeno è una decisione.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fotografia:
Valentina Vezzali, nel 2004 al parco della Villa Reale di Monza, per Sport Week magazine.
Pentax 645N con ottica 75 mm.
Film Kodak TRI-X PRO 320
Flash Hensel e luce ambiente.

Assistente Nicole Marnati.