Mestiere Fotografo

Sandra Weber by Efrem Raimondi

 

 

View from room #858…
Sgommamenti, figa e limousine. Tutto vero.
Tutto inebriante all’inizio. Una vita accelerata.
Ma questo cosa c’entra?
Poi comunque, dopo un po’, chi se ne frega.
Poi c’è una cosa che ha peso specifico, poi c’è il mestiere…
Presente il binomio Arti & Mestieri?
Non sono separabili.
Proprio così: N O N   S O N O   S E P A R A B I L I !
E ci vuole talento per entrambi.
Indipendentemente dal fatto che sia artista – reportagista – ritrattista – fashionista – stillaifista e tutto quanto ista… cambia niente.
Le etichette non cambiano mai la sostanza della questione.
Se ne hanno la presunzione, sono solo patacche. Proprio uguali a quelle sulla canotta mentre armeggi al barbecue.
La cifra di un fotografo non risiede nella singola immagine, ma nella capacità di reiterare il gesto modulandolo alla circostanza.
Fino all’ultimo respiro.
Anche quando non si scatta. Soprattutto quando non si scatta…

Le voci del binomio sono chiare: l’Arte ha a che fare con l’idea di fotografia che hai, il Mestiere con le fotografie che fai, e che ti permettono di registrare con sempre maggiore precisione il senso del fotografare. Il tuo. Quella roba che t’appartiene e che intendi manifestare.
Per farlo, per continuare a farlo nel tempo, occorre conoscenza.
Senza la quale puoi passeggiare impunemente in un tumblr qualsiasi. E disquisire della tua meravigliosa Fotuscoss, costata una cifra, in un qualsiasi forum.
Ma basta.
E soprattutto non dispensare consigli su come avresti, tu, fatto quella fotografia lì. Che è di un altro. E saprà bene cosa intendeva fare: perché manipolargliela? Se proprio ci tieni, falla tu.
Anzi, rifalla senza proferire verbo.

Persino la capacità di improvvisare è subordinata alla conoscenza.
Perché quando è solo con l’improvvisazione che riesci a ricondurre il tutto a un parametro iconografico, e succede, è solo attraverso la conoscenza che lo ottieni.
La fotografia, in qualsiasi declinazione si presenti, è disciplina.
Ferrea.
Non ammette sconti. E nemmeno parole o titoloni al seguito cambiano qualcosa: ciò che si vede è.
Questo è il mestiere. Ed è una cosa che non si smette mai di apprendere.
Attraverso il one–to–one che faccio con alcuni fotografi e fotoamatori che hanno davvero voglia di mettersi in gioco, verifico anche il mio grado di conoscenza. E mi accorgo che non basta mai.
Senza diventare ossessivi modello Antonino Paraggi, il protagonista de L’avventura di un fotografo, in Gli amori difficili, Italo Calvino edito Oscar Mondadori, che va assolutamente letto – c’è tutto, più di un manuale – al netto appunto di fenomeni patologici, la conoscenza è l’unico elemento che consente all’intuizione di diventare espressione.
Dobbiamo immaginare il Mestiere come il passepartout per il linguaggio che ci riguarda.
È applicazione, lavoro vero e non un ripostiglio di trucchi assortiti pronti per l’occasione.
Non ci sono trucchi in fotografia. Non c’è la Fotuscoss.
Mettiamola così: il mestiere è il versante utile di una fotografia che può anche permettersi di essere inutile.

Ma il Mestiere è anche mestiere… lo sappiamo bene noi, fotografi italiani. Lo sappiamo più di ogni altro al mondo.
E adesso volo basso, sorry…
Perché non si tratta solo di preventivi, mediazioni, e tutto l’ambaradam connesso a qualsiasi professione: qualcuno ha idea del livello di burocratica confusione in cui versano lo stato di fotografo e la fotografia in Italia? Che quando lavoro all’estero, qualsiasi estero, mi sembra di essere su un altro pianeta. Mentre lì è la normalità.
Un solo esempio: quando ho iniziato, con la P.IVA e tutto il nécessaire, anno 1983, per professare legittimamente dovevo avere una licenza. Potevo scegliere tra ambulante o studio.
Ambulante mi dava la possibilità di avere anche uno studio.
Il contrario no. Per cui ho deambulato. Dentro e fuori lo studio.
La mia licenza, che non trovo se no l’avrei postata, prevedeva tutta una serie di divieti e restrizioni. Tipo no fotografia in Piazza Duomo, San Marco, Colosseo eccetera più ovviamente tutti gli obiettivi militari, stazioni ferroviarie incluse. Avevo inoltre l’obbligo, qualora avessi deambulato oltre la provincia di Milano, di recarmi al commissariato di polizia del posto dove mi trovavo e esibire la mia licenza. Solo previo nullaosta, certificato da timbro, avrei potuto fotografare. Ero un fanciullo… l’ho fatto, ingenuamente, solo la prima volta, a Urbino.
Poi viste le facce degli ignari poliziotti, me ne sono sempre fregato.

L’unico vero vantaggio che la mia licenza prevedeva era di allevare piccioni e fare fotocopie. Giuro. Quando lo raccontavo fuori da questi confini si sganasciavano dalle risate.
A proposito di mestiere…
Per non parlare della fiscalità. E che la nostra non ha ancora recepito completamente il concetto di diritto d’autore.
E noi fotografi italiani con le nostre associazioni, insistiamo col dire che un Albo non serve?
Non è la soluzione migliore. Ma a me sembra l’unica per cominciare a mettere dei punti fermi. Meglio se fermissimi.

Volato basso abbastanza.
Rifiondiamoci filosoficamente nel binomio Arti & Mestieri.
Ognuno alla fine come gli pare.
Liberi tutti.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

La fotografia pubblicata è un’iPhonata durante la conferenza tenuta da Sandra Weber e organizzata da INTERNI magazine e Audi. Adesso, durante il Fuorisalone 2015.

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