Group photography: another place.
Differently from the individual portrait, it establishes very different relationships.
Only apparently homogeneous.
I am interested in the photographer’s point of view.
The photographer as director, more than in any case.
And the confrontation is with other tricks: for example, a clumsy stillness. That has to be broken.
How many people make a ”group”?
Three already are.
More are the people, more the single’s presence is attenuated, until to almost vanish.
Immediately, the specific weight of the whole thing becomes visible to everybody.
Except the protagonists: they tend to relate only to their own image as shown in the photograph.
They are wrong: if you look great, but the whole picture is weak, you collapse with it.
As always we have to go beyond any categorization.
We are making Photography, as always.
Nothing must be underestimated.
Foto di gruppo… un altro luogo. Un altro percorso.
Riprendo un articolo precedente e lo rimaneggio un po’ in vista del workshop che affronto in questo weekend.
Fotografia di gruppo quindi.
Che a differenza del singolo ritratto stabilisce delle relazioni diverse.
Solo apparentemente omogenee.
A partire dalla scuola elementare ci siamo passati più o meno tutti.
Solo che a me interessa un punto di vista: quello del fotografo.
Perché è davvero un altro luogo della fotografia. E le insidie sono altre.
Per esempio una staticità maldestra. Che va rotta.
Non ho mai capito se venga generalmente snobbata perché considerata di tono minore o invece più banalmente evitata perché se ne percepisce, netta, l’insidia.
Un equilibrio complesso, è con questo che ci si misura.
Ma semplice: il confronto è sempre con la Fotografia.
Se pensiamo a questo, una certa nebbia si dipana.
Mai come in questo percorso, evitando il genere.
E quella pesantezza incorniciata che non ferma il tempo, lo subisce.
Che dopo vent’anni sei lì che la riguardi e fai la conta… non vedi nient’altro.
Ma la foto di gruppo, per un fotografo, non è un appello!
Non una sommatoria.
Ma una corale.
Succede di tutto…
Un potpourri di umori, di presunzioni, di sfacciataggine, di paura.
Di certezze e dubbi. Di convivialità e inadeguatezza.
Chi si nasconde e chi si porta la pila da casa. E se la spara in faccia.
Un bel test sui rapporti sociali, e su cosa diavolo è l’individuo, non più concetto ma con nome e cognome di fronte a te.
E in mezzo agli altri.
Ed è questo a cambiare la solfa: non la sommatoria di individui ma un tutt’uno che ha sostanza e prende forma per come tu la percepisci.
E siamo sempre qui, nel punto esatto in cui si trova l’autore.
Più che mai regista di un percorso.
Qual è il numero minimo di presenze per definire ”gruppo”?
Tre. Direi accettabile.
Tenendo ben presente che maggiore è il numero, maggiore la singola presenza si stempera. Oltre un certo limite quasi scompare.
E il peso specifico dell’insieme diventa immediatamente visibile a tutti.
Tranne ai protagonisti. Che tendono a dialogare esclusivamente con la propria immagine restituita.
Se di un gruppo, indipendentemente dal numero dei componenti, dovessimo fare una stampa piuttosto grande e appendarla a un muro, ognuno di noi guarderebbe d’emblée l’insieme solo perché non si può prescindere.
Ma immediatamente dopo andremmo a cinquanta centimetri per verificare quanto siamo o no fighi. Quanto mediaticamente siamo spendibili.
E se abbiamo una conferma gratificante, chi se ne frega del resto.
Niente di più sbagliato: puoi essere figo/figa quanto ti pare, ma se la fotografia nel suo insieme è debole, crolli anche tu.
Per questo, trovato un percorso espressivo, occorre che l’autore mantenga alta la soglia di attenzione e partecipazione di tutti.
Non è facile. Per nulla.
Quando le affronto mi capita persino di urlare.
Garbatamente ad alto volume direi…
E poi c’è sempre, ma proprio sempre, la persona speciale.
Quella con la pila portata da casa… quella che degna tutti della sua aurea presenza.
Si individua in una decina di secondi.
E penso, sempre, tel chi…
Col sorriso glielo comunico anche… eccoti qui.
Solo che fraintende e traduce sei di un’altra categoria, sei il più figo, la più figa, il sole e pure la luna del mondo, ma che dico? dell’universo!
Sono molto pericolosi. Tendono a strafare.
Quello che è importante è l’amalgama, impalpabile ma visibile.
Quel fil rouge che attraversa e cuce, che rende possibile la coesistenza e la trasforma in un unicum, cioè la fotografia medesima: la guardi e dici sì, è questa.
Va bene anche se quello lì sbadiglia.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
GQ Italia mag, 2000
GQ Italia mag, 2001
GQ Italia mag, 2000
Versace group, 2006
INTERNI mag, 2001
GIOA mag, 2010 – Baustelle
Lo Specchio mag, 2005 – Subsonica
Fondazione Fotografia Modena, WS, 2015
wedding, 2011
Spazio Fotografico Coriano, WS, 2016
GQ Italia mag, 2000
GRAZIA mag, Take That back, 2006
IBM Annual Report, 1986
ADV campagna IMA – Ogilvy & Mother Italia, 2010
Alessandro Mendini group, 1996
ARTE mag, 1997
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
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