Avedon at work

Si fa in fretta a dire Avedon… cognome breve.
E poi ha un bel suono.
Segnalo un articolo di Vilma Torselli per Artonweb:

15 thoughts on “Avedon at work

  1. grande Vilma… grazie
    grande Avedon …grazie
    e grazie Efrem
    c’è sempre da imparare da te e nel tuo blog
    non ho il libro!
    lo cerco! assolutamente!

  2. Efrem, ti ringrazio davvero per la citazione nel tuo blog, non so fotografare ma so apprezzare la buona fotografia, per questo lo frequento spesso e volentieri!
    La mia pagina nasce dal mio amore equamente diviso tra Hopper e Avedon, è stato facile accostarli e scoprire in entrambi la stessa America, quella dei grandi spazi e dei grandi cieli vista attraverso gli occhi di due artisti colti, sofisticati, curiosi, in sintonia al di là del tempo e dello spazio, anche se uno trasferirà la sua pittura nell’ambito urbano popolato da mille solitudini incomunicabili, l’altro resterà per tutta la sua lunga carriera indiscusso protagonista della fotografia fashion.
    Conservando entrambi nel cuore quell’indimenticabile American West.

    E poi, era l’ennesima prova di ciò che spesso scrivo nelle mie pagine, che pittura e fotografia non sono diverse e separabili, si possono/devono guardare e godere nello stesso modo, la visione è un atto puro e semplice, perciò universale.

    • veramente il grazie va a te per il tuo articolo. che mi piace molto.
      e condivido il binomio che fai, avedon-hopper… perché non è questione di ciò che immediatamente si vede, ma di ciò che induce all’opera. e assolutamente è la stessa america.
      pittura e fotografia non sono separabili solo se si va all’essenza che dici… la visione. e solo a certi vertici. se no è meglio che non si sfiorino. né si emulino vicendevolmente.

      davvero arioso questo tuo articolo… mi fa venir voglia di riprendere in mano il banco ottico. che mi ha dato tanto. e non ne escludo il ritorno. chissà…

      • mi piace molto che tu definisca ‘arioso’ il mio articolo, perché la mia intenzione era proprio quella di trasmettere il ‘grande respiro’ di quelle immagini di backstage, un tema sottotraccia unificante, una presenza invisibile superiore, un grande contenitore entro il quale avedon colloca le sue caselle.
        determinando la percezione di un ‘tutto’ dove nascosti legami contribuiscono a consolidare un discorso unitario e fare di una serie di note una grande sinfonia.
        dentro la quale, come dice, “tutte le fotografie sono esatte. nessuna di esse è la verità.”

          • forse avedon intende come esatte le foto che corrispondono a ciò che aveva intenzione di produrre: scrive infatti “Mentre lavoro devo immaginare le fotografie che scatto perché, non guardando attraverso l’obiettivo, non vedo mai con ‘esattezza’ ciò che la pellicola registra fino alla realizzazione della stampa”.
            a posteriori, il controllo finale gli dà la misura dell’ ‘esattezza’.
            La ‘perfezione’ è un concetto più soggettivo, se escludiamo che si possa riferire alla semplice ‘correttezza’ dei parametri tecnici (il che mi sembrerebbe banale).
            perché, secondo me, solo chi scatta la foto può dire se è perfetta.

            • credo sia questo: ogni immagine è esatta nella misura in cui è prodotto di una relazione predefinita che non potrebbe dare altro risultato. tautologico e relativo.
              la perfezione invece è un’altra questione. che vorrebbe confrontarsi con la verità e l’assolutezza. questo non lo ritengo possibile. se è di linguaggio che parliamo

  3. In un tuo recente post lo indichi come un tuo maestro: in che misura?
    L’articolo di Vilma Torselli è super!

  4. Si fa davvero presto a dire Avedon…sul serio.

    Ho entrambi i libri citati nell’articolo (In the American West, quello con la foto stampata ed incollata a mo’ di copertina!).

    Leggiamo e…impariamo tutti!

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