Leggo solo ora la tua risposta e non ho modo di ascoltare nulla, ma domani lo farò ben volentieri.
Si, il fondo “no bianco, ma nero” era il sottointeso nel mio “escluse le differenze formali”, inutile dirti quanto l’omaggio ad Avedon – che amo molto anche io – sia perfettamente riuscito! In realtà mi ricorda anche altro, ma non riesco a fare ordine nella memoria..Andy Warhol(?), la cicatrice.. ma forse sono richiami della mia mente.
Condivido assolutamente quanto dici. (Sperando di non aver frainteso qualcosa…il mezzo non semplifica la comunicazione – almeno per me.)
Il fotografo non può assolutamente prescindere dall’essere il soggetto della sua fotografia. È un dialogo, in cui il fotografo è il medium necessario perchè il dialogo stesso cominci. E la fotografia – immagine – è la meta, la conclusione del discorso. Quando si ricerca in partenza l’appartenenza stretta ad un “genere”, il dialogo non esiste – o almeno è debole – e l’immagine diventa la risposta meccanica e tecnica alla richiesta. Un po’ come il vecchio dibattito sui Dream Theater: esattamente ciò che ti aspetti, anche fatto al meglio del virtuosismo, ma che esclude a priori tutto un universo.
Mi riservo di annoiarti ancora un po’ dopo aver visto le registrazioni :)
Grazie infinite per questa possibilità di scambio e condivisione.
elena – quel ritratto a warhol era appunto di avedon ;)
il genere risponde a una necessità. che non necessariamente è commerciale. a volte è un rifugio per l’autore.
e non ho nulla contro l’onestà del genere… è che preferisco la disonestà delle fotografie che sanno oltrepassare. e che mi riconducono a un’idea più ampia.
non sempre è così… non sempre si riesce… non sempre è possibile. tutto qui
A parte che, escluse le differenze formali, la foto mi richiama alla mente Avedon.
Forse nel concetto di ritratto – in senso stretto – è inclusa una certa intenzione di oggettività nella resa del soggetto, chiamandola fotografia ci ricordiamo che l’immagine è il punto di incontro a metà strada fra l’interiorità del fotografo e il mondo. Forse, quindi, intendi dire che questo è il tuo personale sguardo sulla persona e non la mera registrazione della persona stessa? Che è poi ciò che in realtà andrebbe ricordato sempre.
Elena – mica a parte: questa è volutamente una citazione avedoniana. diciamo un omaggio a un fotografo che amo. e che ho conosciuto. cambia il fondo: no bianco ma nero.
la questione della soggettvità e dell’appropriazione dell’autore è qualcosa che mi è chiaro fin da bambino. giuro. opinabile, vero, però mi riguarda davvero. insomma il soggetto è l’autore.
anche e a maggior ragione nel ritratto.
quindi è in realtà oltre che miro… e cioè al fatto, soprattutto nel ritratto, che non è al genere che si deve guardare ma al concetto che si ha di Fotografia. perché alla fin fine è questo che dà o meno la forza espressiva per evitare il ristagno appunto di genere. e i cliché in senso lato.
se hai tempo e voglia fai un tour in questo spazio… spesso ho modulato quest’unico concetto che in fondo mi riguarda.
c’è anche una registrazione della cosiddetta lectio magistralis che ho tenuto in tiennale – milano – lo scorso maggio.
è più propriamente la seconda che trovi qui. la prima è un gentile e intelligente omaggio che raul cremona ha voluto farmi: http://blog.efremraimondi.it/la-fotografia-non-esiste-report/
se non mi sono ben spiegato mi scuso. comunque io son qui
Barthes chiama ‘ontologico’ il desiderio di sapere cosa sia l’immagine fotografica ‘in sé’ in quanto fotografia, rendendo superflua ogni definizione ‘di genere’.
E qui si apre un mondo………
vilma – e certo che si apre un mondo…
che se possibile tenderei, sempre, a scavalcare. ma non è così. la questione del ritratto è poi fortemente vittima della gabbia di genere. se invece pensassimo in primis al fare fotografia…
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Leggo solo ora la tua risposta e non ho modo di ascoltare nulla, ma domani lo farò ben volentieri.
Si, il fondo “no bianco, ma nero” era il sottointeso nel mio “escluse le differenze formali”, inutile dirti quanto l’omaggio ad Avedon – che amo molto anche io – sia perfettamente riuscito! In realtà mi ricorda anche altro, ma non riesco a fare ordine nella memoria..Andy Warhol(?), la cicatrice.. ma forse sono richiami della mia mente.
Condivido assolutamente quanto dici. (Sperando di non aver frainteso qualcosa…il mezzo non semplifica la comunicazione – almeno per me.)
Il fotografo non può assolutamente prescindere dall’essere il soggetto della sua fotografia. È un dialogo, in cui il fotografo è il medium necessario perchè il dialogo stesso cominci. E la fotografia – immagine – è la meta, la conclusione del discorso. Quando si ricerca in partenza l’appartenenza stretta ad un “genere”, il dialogo non esiste – o almeno è debole – e l’immagine diventa la risposta meccanica e tecnica alla richiesta. Un po’ come il vecchio dibattito sui Dream Theater: esattamente ciò che ti aspetti, anche fatto al meglio del virtuosismo, ma che esclude a priori tutto un universo.
Mi riservo di annoiarti ancora un po’ dopo aver visto le registrazioni :)
Grazie infinite per questa possibilità di scambio e condivisione.
elena – quel ritratto a warhol era appunto di avedon ;)
il genere risponde a una necessità. che non necessariamente è commerciale. a volte è un rifugio per l’autore.
e non ho nulla contro l’onestà del genere… è che preferisco la disonestà delle fotografie che sanno oltrepassare. e che mi riconducono a un’idea più ampia.
non sempre è così… non sempre si riesce… non sempre è possibile. tutto qui
A parte che, escluse le differenze formali, la foto mi richiama alla mente Avedon.
Forse nel concetto di ritratto – in senso stretto – è inclusa una certa intenzione di oggettività nella resa del soggetto, chiamandola fotografia ci ricordiamo che l’immagine è il punto di incontro a metà strada fra l’interiorità del fotografo e il mondo. Forse, quindi, intendi dire che questo è il tuo personale sguardo sulla persona e non la mera registrazione della persona stessa? Che è poi ciò che in realtà andrebbe ricordato sempre.
Elena – mica a parte: questa è volutamente una citazione avedoniana. diciamo un omaggio a un fotografo che amo. e che ho conosciuto. cambia il fondo: no bianco ma nero.
la questione della soggettvità e dell’appropriazione dell’autore è qualcosa che mi è chiaro fin da bambino. giuro. opinabile, vero, però mi riguarda davvero. insomma il soggetto è l’autore.
anche e a maggior ragione nel ritratto.
quindi è in realtà oltre che miro… e cioè al fatto, soprattutto nel ritratto, che non è al genere che si deve guardare ma al concetto che si ha di Fotografia. perché alla fin fine è questo che dà o meno la forza espressiva per evitare il ristagno appunto di genere. e i cliché in senso lato.
se hai tempo e voglia fai un tour in questo spazio… spesso ho modulato quest’unico concetto che in fondo mi riguarda.
c’è anche una registrazione della cosiddetta lectio magistralis che ho tenuto in tiennale – milano – lo scorso maggio.
è più propriamente la seconda che trovi qui. la prima è un gentile e intelligente omaggio che raul cremona ha voluto farmi:
http://blog.efremraimondi.it/la-fotografia-non-esiste-report/
se non mi sono ben spiegato mi scuso. comunque io son qui
Il ritratto è sempre del fotografo, mai del soggetto.
Diventa fotografia nello sguardo dell’osservatore?
Giovanni – forse è il caso che sia fotografia anche nell’intenzione dell’autore. poi si vede cos’è accaduto. ma intanto…
Barthes chiama ‘ontologico’ il desiderio di sapere cosa sia l’immagine fotografica ‘in sé’ in quanto fotografia, rendendo superflua ogni definizione ‘di genere’.
E qui si apre un mondo………
vilma – e certo che si apre un mondo…
che se possibile tenderei, sempre, a scavalcare. ma non è così. la questione del ritratto è poi fortemente vittima della gabbia di genere. se invece pensassimo in primis al fare fotografia…
Cosa segna il confine?
Giovanni – la capacità o meno di trascendere il genere. e vale per tutto, almeno per me