Selfie vs Faces – Maria Teresa Gavazzi

Efrem Raimondi by Maria Teresa Gavazzi

Cammino per Reggio Emilia. Un mese fa per Fotografia Europea 014.
E vedo Maria Teresa Gavazzi: pittrice, performer… un’artista insomma. Che però sapevo a Londra! dove vive e lavora.
Lì in un angolo di strada con una fotocamera, un cavalletto, uno schermo come sfondo. Uno sgabello.
E una calza in mano, di quelle da donna.
Mi dice quattro cose che non capisco e in un attimo mi trovo sullo sgabello con la calza in testa giù fino al collo.
Questo sarà il mio selfie! E prima che lei scatti, mi scatto io.
Anche lei scatta… mi dà delle indicazioni e io eseguo.
Sono in balìa di un altro sguardo, per cui eseguo.
È rarissimo che sia dall’altra parte. Non è più il tempo.
Però questa è tutta un’altra situazione: non mi specchio nella mia identità, che anzi va a ramengo.
Ma in una qualunque. Quasi una matrice.

Questo occidente è un luogo impaurito che ha perso la capacità di esprimere divergenza e alternativa espressiva. È muto.
Variopinto, ma inespressivo. Dove l’incipit è uno: mostratevi.
E nel mostrarsi, ci si accorge di essere copie. Malgrado gli sforzi.
Mi piace molto questo lavoro di Maria Teresa Gavazzi, perché ha un’apparenza leggera, ma una sostanza potente.
Io non sono un critico, io sono uno di quelli con la calza in testa.
E lì sotto ho avuto il tempo di vedermi. E come sempre non mi piaccio neanche un po’. Altrimenti non  farei il fotografo.
Altrimenti non starei dalla parte opposta all’obiettivo.
Altrimenti non guarderei il mondo. L’altro mondo, quello che non si vede.
È ciò che non so vedere che vorrei trovare da qualche parte.
Ed è di persone in grado di mostrarmelo che ho bisogno.
Parafrasando Maria Teresa, anche ladri.
Perché è come avere a che fare con un bene comune che va in malora… una casa vuota da secoli abbandonata all’ingiuria: io ne ho bisogno e me la prendo.
E la restituisco alla vita.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Efrem Raimondi, backstage M.T. Gavazzi by Laura De TomasiEfrem Raimondi, backstage M.T. Gavazzi by Laura De TomasiEfrem Raimondi, backstage M.T. Gavazzi by Laura De Tomasi

C’è però un’anteprima, non posso evitarla.
Maria Teresa Gavazzi l’ho ritratta per il magazine Arte nel 1999.
Questo il ritratto che le feci. Quindici anni fa. Già.
Era più o meno da allora che non ci si vedeva: è come essersi ritrovati. In più la ringrazio per questo suo Faces, che è il selfie di un’epoca. Così non c’è più bisogno di farne. Almeno io.

Maria Teresa Gavazzi by Efrem Raimondi

 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Faces by Maria Teresa Gavazzi  – PDF faces_ita

M.T.G. a Fotografia Europea 014 feuropa

M.T.G. Performance performance

 

 

 

Le fotografie di backstage sono di mia moglie, Laura De Tomasi.

13 thoughts on “Selfie vs Faces – Maria Teresa Gavazzi

  1. A me sembra tutta una gran cretinata: delle foto si salva il bckstage e il testo non lo capisco. Scusa la sincerità Efrem

    • più che una cretinata, direi una provocazione.
      il vantaggio della provocazione è che ognuno la può interpretare come vuole, anche come una cretinata.

      • Allora è una cretinata secondo me.
        Ho letto un articolo di Smargiassi che calza a pennello: Considerazioni di un idiota sulla foto d’arte.
        Leggetelo

        • anche l’articolo di smargiassi è una provocazione, un polemico elenco dettagliato (anche troppo) di tutti i peggiori stereotipi sul ‘giovane artista’ e una personale, e anche un po’ ovvia, conclusione sulla discronia tra l’abbondanza dei mezzi e la limitatezza delle idee.
          d’altra parte, dal ‘900 in poi, il rapporto tra uomo e macchina è radicalmente cambiato ed ancora non sappiamo fin dove arriveranno le potenzialità della tecnologia, “la competenza tecnica di tanti giovani foto-artisti è notevolmente superiore alla loro immaginazione” perché i mezzi di comunicazione di cui disponiamo, ad alto contenuto tecnologico (e la fotografia è uno di questi) stanno modificando e travolgendo il corrente concetto di percezione, sia visiva che concettuale, con una velocità superiore alla capacità di adattamento dei nostri sistemi cerebrali (cibernetica in senso lato) mettendo in crisi l’impostazione sostanzialmente meccanicistica della nostra capacità cognitiva.
          Argomento affascinante, vasto ed inadeguato in questa sede, in sintesi vorrei dire che, a parte la coinvolgente dialettica, il senso di quello che smargiassi ci dice è trito e ritrito, anche se lui può non essere d’accordo, empatia, destrutturazione, decontestualizzazione, minimalismo….. il lessico della contemporaneità è questo, non solo in campo fotografico, e corrisponde alla visione del mondo di una società ‘liquida’ che, proprio per la sua provvisorietà, è alla perenne ricerca di sé e del linguaggio più appropriato per esprimerlo.
          provando, riprovando e sbagliando.
          e credo che in passato chi “si esercitava su stili collaudati, su canoni formali tradizionali, sicuri, da imparare ed applicare”, in realtà avesse le stesse difficoltà nel fare quello che oggi ci pare scontato e rassicurante, oggi vediamo l’opera di “quelli che ci riuscivano. quelli che avevano i numeri” quelli che, magari per puro caso, ci sono stati tramandati, e non conosciamo i tentativi falliti, gli errori, i pentimenti, le critiche. le insicurezze…. anche questa è una lettura stereotipata della storia.

          • gli strumenti e le tecnologie influenzano il linguaggio riflesso. posso usare tutto e il contrario per dire esattamente la stessa cosa. a patto che abbia qualcosa da dire. la forma, anche lei, va indossata. fare fotografia non è come fare fotografie. questa la mia umilissima, forte, certezza. l’unica che ho.

            • credo che tu abbia ragione e torto nello stesso tempo.
              é vero che se non ho nulla da dire non c’è mezzo che possa farlo per me, ma è anche vero che se non ho il mezzo per dire ciò che voglio non posso dirlo.
              non è più possibile prendere le distanze dal mezzo, separare l’opera dalle pratiche attraverso le quali viene realizzata, se tu avessi avuto a disposizione un dagherrotipo anziché “Fotocamere Nikon FE e FE2, Obiettivi Nikkor: 20/3,5 – 50/1,8 – 105/2,5 Film: Agfapan 100 e 400 ISO” non avresti mai potuto fare proprio così come l’avevi in mente, per esempio, “Trussardi – Monografia mossa” credo, pur avendo in testa ben chiaro quello che volevi. mi dirai che avresti potuto usare “il contrario per dire esattamente la stessa cosa”, io credo invece che ci sia un solo modo e che la perfezione si raggiunga con la consapevolezza che non poteva essere diversamente.
              c’è una certa resistenza non solo nei fotografi nell’accettare questa dipendenza, questa sorta di oggettiva rappresentatività autonoma dei mezzi tecnologici, il fatto che il medium abbia una sua estetica, per voler “considerare l’opera a sé stante, dimenticando la matrice di origine” – sono parole di mario costa – “perché ogni “opera” è, innanzitutto, il prodotto del dispositivo che la ha posta in essere e che custodisce nella sua essenza.”
              altrimenti, forse, avresti fatto il pittore.

            • in parte è vero. e vale anche per i pittori. se non avessero i colori pronti se li dovrebbero fare loro. se non avessero l’acquaragia sarebbero ancora con l’olio di lino. e il colore è diverso. perché posssano dipingere, le macchine le usano altri.
              i musicisti con lo strumento, se no niente musica. solo matematica.
              in generale è chiaro che il rapporto col mezzo c’è. ed è condizionante. dico solo che me ne frego. lo uso e basta.
              trussardi potevi farla anche col banco ottico. più scomodo, molto più scomodo. ma la facevi.
              in termini assoluti i mezzi sono uguali per tutti. c’è chi li usa e chi si fa usare. tutto qui.

  2. Molto bello il lavoro Faces della Gavazzi e impressionante l’analogia col tuo ritratto Efrem: del ’99! C’è qualcosa di inquietante ma davvero forte in entrambi i lavori e la coincidenza è sorprendente per me. Complimenti anche a tua moglie!

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