Violenza e Fotografia

Aggiornamento dell’articolo che precede: Vivian Maier – Milano.
Che non mi va di infilarlo lì. Almeno al momento.
Perché la Maier non è in questione.
Ciò che è in questione è questo passaggio:

Ho bisogno di vedere cos’hai da dire sul mondo.
Di te e della tua patologia non me ne frega un cazzo.
Attrezzati e dalle forma.

Diretto, vero.
Di più: violento.
Vero.
E da alcuni per niente digerito. Chi pubblicamente, con toni comunque garbati, chi privatamente e meno garbatamente.
L’avevo messo in conto.
Ma andava detto.
Esattamente così.
Esattamente come stessi fotografando.
Che talvolta emetto un urlo.
Non uno schiamazzo. Un urlo muto.

  © Efrem Raimondi, All Rights ReservedAltalena, 2007 © E.R.

Chi lo intercetta e chi pensa che si tratti di un gioco degli angioletti nel cielo blu dipinto di blu.
Per me è uguale.
Anzi no. Per niente.
Che per quanto si dica, siamo ancora ben lontani dal saper cogliere il linguaggio quando è semplice.
Soprattutto quello che la fotografia usa.
Se è di linguaggio che parliamo.
Cioè qualcosa che ti riguarda intimamente.
E non una comparsata glamour.
Se invece è qualcosa che deve restare in superficie, che non ha alcun intento espressivo, allora parliamo di altro.
Anche di figa, che non tramonta mai.
Con buona pace di chi i tramonti li odia.
I gattini, per una volta, lasciamoli fuori per favore.

Però però…
Però ciò che ho urlato, non è estrapolabile da quel contesto.
C’è un prima e c’è un dopo: mica è un aforisma!
Quindi, adesso, nessuna excusatio non petita.
Solo prendo la mira…

Il soggetto non è la Woodman in quanto individuo; non le patologie più o meno gravi, di chiunque; non il suicidio.
Ma il prodotto fotografico. Di chiunque.
Che naturalmente è sempre artistico in questi casi. Per definizione.
Mica che si possa anche solo distrattamente pensare che è una parodia.
E se il soggetto è ciò che si mostra, nessuno sconto è possibile.
Nulla, e neanche una condizione di disagio o una patologia cambiano il peso specifico del prodotto.
Il mercato, chi lo gestisce e influenza, faccia tutte le operazioni che ritiene.
Anche di marketing.
Ma è sempre di un prodotto che si parla.
Che non ha un passaporto clinico.

Si potrebbe emigrare… in altri luoghi che usano il linguaggio, resto invece attaccato alla questione fotografica.
Che può benissimo essere anche terapeutica.
Anzi lo è. Anche per me.
Solo che il punto è cosa restituisce.
E se il cosa è solo il tuo ombelico, devi avere una tale padronanza del come, alias una cifra espressiva, che il tuo ombelico mi risulta distintamente un pretesto.
Non è così.
E al terzo ombelico ti abbandono.
Lasciandoti alla tua personale terapia.

Vale anche per gli epigoni… ribadisco, soprattutto epigone – e questo davvero mi addolora – più o meno smutandate, che passano il tempo allo specchio.
Restituendoci un’immagine speculare. E non riflessa.
Di te e di ciò che vedi non arriva nulla.
Se insisti nel mostrarlo, da condizione legittimamente terapeutica che ti riguarda, diventa palese dimostrazione di arrogante analfabetismo.
Non opera.
Per questo non me ne frega un cazzo.

Non sono un critico. Sono un fotografo.
Dico semplicemente la mia.
Esattamente come quando fotografo.
Non ho pretese universali.
Il linguaggio però resta uno.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

Condividi/Share

29 thoughts on “Violenza e Fotografia

  1. il mio pensiero riguarda in generale tutto ciò che a buon diritto merita di essere classificato come “Fotografia” ( il maiuscolo è d’obbligo) e le emozioni che in quanto tale può generare in chi guarda il risultato del lavoro di altri. Non mi interessa il ..perché… il percome… o il perquando!!!!… Il mio personale problema è maturare una capacità di valutazione che sia oltre quello che “ignorantemente” mi può dire la “pancia” nel momento in cui “guardo” una Foto …… sulla “traumaticità” di Efrem ….. potremmo scrivere a lungo…. ovviamente con infinita ammirazione e gratitudine!!

  2. ormai abbiamo gli occhi patinati… le foto che vediamo hanno una incredibile omogeneità … vedere una Foto che emerge da tale massificazione risulta essere un’esperienza quasi traumatica… le emozioni sono diverse .. più forti quasi tangibili…

  3. La “Fotografia” è sempre un “trauma”… guai se non lo fosse!! Siamo quotidianamente subissati di immagini dal forte potere anestetico.. ogni tanto uno schiaffo alle nostre menti non fa male..!!

  4. Tutto ciò che ho letto, lo interpreto e sintetizzo in una parola, LIBERTA’, in questo caso fotografica certo, che sia anticonformista o istintiva? Non lo so ma sempre più spesso ci vuole più carattere e forza per mandare al quel paese la conformità che si trova in ogni angolo…..non scrivo parolacce in genere, ma cazzo se è dura essere liberi…
    Efrem… sto sedimentando anche io….

  5. Per questa tua capacità di analisi (quasi, perché la totalità la vedo impossibile) priva di pregiudizi, adoro questo blog!
    Per cui si passa dalla street alla patata guardando davvero…

    • Vamessa – ma sai che non mi pongo il problema del genere: fotografia. punto. linguaggio, punto. poi la street non ho ancora capito bene cosa sia. giuro.
      mi fa davvero piacere il fatto che ti piaccia. e che tu lo dica

  6. Ho bisogno di vedere cos’hai da dire sul mondo…

    e se Vivian non aveva nulla da dire, ma semplicemente si riempiva del mondo?
    Quel mondo cosi lontano e distante da Lei ma comunque cosi vicino e presente tanto che ancora adesso noi ne percepiamo i battiti.
    Vivian era malata? Ma chi se ne frega… Le fotografie di Vivian sono opere d’arte? Ma chi se ne frega… Io so solo che quando le guardo il petto mi batte forte, e questo mi basta per sentirmi vivo per il resto chi se ne frega, forse…

    • alfredo – le due cose coincidono nel caso maier: vediamo ciò che aveva da dire sul mondo. con precisione chirurgica.

      non ho capito: ma è una tua affermazione vivian era malata eccetera, o lo attribuisci a qualcuno?
      in qualsiasi caso, appunto, ciò che si vede è. e lo è davvero.
      guarda però che qui la maier non c’entra…
      così, giusto come informazione utile :)

  7. La cosa che mi piace e mi piaceva era il
    “Non me ne frega un cazzo”, perché, l’ho scritto in giro, non so se già qui, credo che manchi proprio questo: una precisa posizione, in qualsiasi settore. Il coraggio di prenderla quella posizione e di manifestarla. Basta con il POLITICALLY CORRECT, che ci appiattisce e ci rende tutti maledettamente uguali e non pensanti. Ma non ci siamo più abituati, fa male, e infatti non si cresce più. Siamo dentro sempre all’autocompiacimento e alla piaggeria, per cui serve, serve, serve! Anche un urlo un po pesante. Dispiace certo se nell’impeto si va a toccare qualche sensibilità ma senza l’incontro o scontro provocato non ci sarebbe dialogo…
    Ogni pretesto in questa società serve a perdere tempo a polemizzare, a cercare il più buono, il più bravo…

    Poi su tutto il resto penso anche altre cose, diverse (e per fortuna) dalle tue, ho altre interpretazioni, credo che l’epigona a forza di somigliare possa trovare un suo modo, un suo linguaggio. Che abbia un ruolo, solo però se dall’altra parte c’è qualcuno che sa leggere… Per cui ok. Che non significa però che me ne freghi sempre, a volte si.
    In fondo io do sempre troppo peso alla ricerca, all’atto artistico, sono affascinata dallo sconvolgimento dei linguaggi, per cui credo che dentro certi ombelichi ci siano stati grandi fenomeni in embrione… Mi vengono in mente i primi lavori di Vanessa Beecroft, o della mia amata Nan Goldin che dal suo ombelico (che per me era un suo iniziale vomitare immagini a caso, brutte, tecnicamente folli) passó ai grandi reportage sociali, vedi l’AIDS o l’identità sessuale. Credo che il viaggio dell’espressione artistica, sia lungo, e non credo troppo in un’unica grammatica…
    Poi si vendono anche le patate, nel mercato dell’arte… Ma tant’è…

    Comunque è sempre molto interessante…

    • Vanessa – difficile ragionare su ciò che sarà. lo facciamo su ciò che vediamo. il viaggio dell’espressione è lungo, vero. e l’espressione, come sai, m’interessa eccome!

      quella patata però l’adoro. perché non è un tubero qualsiasi. ma davvero il suo ritratto. c’è pathos autentico. amore. gesto. potenza.
      nulla è più deputato di altro. per me è il come. e questo come mi piace proprio. giuro.
      la questione del valore è altra faccenda.
      ti ricordi il mio pezzettino sulle uova?

  8. Un post che trovo straordinario, lucido e appassionato.
    Se un fotografo non resta anche un po’ bambino, non è.
    E sta al bambino dire: “Il re è nudo!”.

    Ciao Efrem

  9. “E se il cosa è solo il tuo ombelico, devi avere una tale padronanza del come, alias una cifra espressiva, che il tuo ombelico mi risulta distintamente un pretesto.” Appunto. E qui subentra la soggettività Efrem… per te la Woodman non rientra in questo ambito, per altri si. Opinioni. Che non sono reati. Nè la tua, nè quelle degli altri (per cui fatico a capire le polemiche aggressive che ti hanno indirizzato). Per il resto, la riflessione sulla necessità del linguaggio, che riproponi, giustamente, appena puoi, a me è servita assai…come direbbe Kit Carson “puro buon senso”!

    • Roberto – certo sì, è sempre una soggettiva. però esiste un linguaggio che ha una capacità espressiva superiore. e altro no. a volte, spesso anzi, si rivela nelle pieghe. se ci sono pieghe…

  10. la fotografia E’ terapeutica
    lo E’ quando proietto la migliore immagine di me.
    non lo E’ quando non mi riconosco.
    grazie Efrem
    sto cominciando a “sedimentare”

  11. Questa “Altalena” è terribilmente bella! Anche se l’avevo già vista ogni volta è un brivido. Ciao Efrem!

  12. Considerazioni su cui, Efrem, sto elaborando da un po’ tempo rispetto a tutto quello che vedo e che mi trovano in molta parte d’accordo… e a mio modo, aggiungerò il mio personale “urlo” rispetto alla questione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *