English version

This blog is born written in Italian. It is thought in Italian.
Its words – and the way I use them – are Italian.
Simply, because Italian is the language I speak and write.
Words are important; they weigh.
And language deserve a deep knowledge, in order to be effective…
In occasion of the 2nd birthday of my blog I have decided to add an English ”version” for it.
A translation would be too hard – I often use imagery – so I have chosen the form of the ABSTRACT: a few lines to summarize the blog’s topics. Starting from next one.
Gradually I will do the same with older ones.
Nonetheless, some specific post may be translated in their entirety.
As for pictures, theirs is an universal code: look at them, that’s enough. Actually: see them. No need for any translation, everyone to their own.
I felt the need to provide people that follow this blog an even small tool to make use of it.
My pleasure.

 

Dimentico

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Così.
Io dimentico.
Dimentico di averti vista.
Dimentico di averti incontrata.
Dimentico di averti amata.
Dimentico.
Io ci provo.
Ma se dimentico la tua fotografia
solo così
io ti cancello.

Questa fotografia doveva essere nel post sulla neve, quella che ci tocca.
Io non so… l’ho dimenticata.
Ma la volevo. Non so dire perché, in fondo è solo una traccia.
Notturna per giunta.
Ma forse proprio per questo ne sentivo la mancanza.
Non cambia niente.
Ma per me cambia tutto.
Non mi sono dimenticato.
Non cancello niente.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fotocamera iPhone 4s

Tibetani Hollywoodiani

Il Tibet non c’entra. Neanche Hollywood.
Forse.
È un concetto, tipo… avere la testa in Tibet e il culo su una chaise longue a Hollywood. Due estremi insomma.
Di cui l’estremo nobile, il culo, è sempre comodo altrove.
Ma la testa, lo sappiamo, vaga alla ricerca di dignità.
E di consenso. Morale e mediatico.
E vaga talmente tanto da convincersi che in fondo non è poi così importante dove il culo risiede.
Invece è importante.
È importante sapere dove la tua parte protetta e più preziosa ha messo radici.
Perché di fatto è con quella che scorreggi. Ed equamente parli.
Ed equamente fotografi.
Fine della metafora stilnovista.
Una fotografia vale più di mille parole?
Le parole hanno un peso specifico. Le fotografie pure.
Quali parole? Quale fotografia?
Di recente ho visto sul web questa immagine, di parole anonime

E ho visto questa fotografia di Terry Richardson. O che lo ritrae. In fondo non c’è molta differenza.

Sembrano esprimere lo stesso concetto. Sembra patta insomma.
Non è così: nella prima riesco, giuro, a estrapolare una poetica.
Cruda e magari involontaria.
In Terry Richardson vedo buona parte della fuffa mediatica che avvelena la fotografia, la diretta emanazione della subcultura televisiva occidentale dell’ultimo ventennio.
Per nulla involontaria.
E mentre la prima, la poesia diciamo, è scritta s’un pezzo di carta straccia, quasi un pizzino, la fotografia di Richardson è ben stampata su carta patinata, e riconosciuta universalmente.
Universalmente un cazzo!
È riconosciuta e avvalorata da una borghesia finanziaria che ha occupato stabilmente il sistema dell’arte e della comunicazione.
Di matrice americana. Una borghesia post industriale, una borghesia composta da chi non produce e non offre nulla, la cui unica merce di scambio comprensibile è il denaro.
Finanza diretta, mega agenzie appaltatrici culturali, mega fauna variopinta e impasticcata, tutti dentro.
La grande bellezza…
Qui non c’è morale se non la loro. E come potrebbe essere diversamente?
L’economia finanziaria è loro, la lingua è la loro. I serial killer sono i loro.
Il resto del mondo ha gli emuli. Anche quelli con fotocamera in mano.
Loro sono il metronomo. Gli altri ballano.
Ma questa non è la cultura americana! Che è stata ed è capace di pagine immortali.
Il mio pensiero in questo esatto momento va a un insegnante di letteratura di una cittadina del New Jersey…
Che combatte esattamente come noi per la propria sopravvivenza.
Il problema è l’attuale modello culturale. Un modello commerciale nato per l’esportazione. Che non concepisce la diversità se non nel folklore.
La fotografia è linguaggio. E il linguaggio è per definizione molteplice. Nasce e evolve a partire da dove ti trovi. Anche se ti sposti.
Se vivi in una zona franca indefinita, culturalmente avvilita, non c’è contaminazione!
C’è solo emulazione.
E siccome non sei l’originale, al massimo produci delle brutte copie.
Nel nostro caso è come essere costretti ad aprire bocca solo con lo sguardo rivolto al Colosseo.
E a riempircela ripetendo come un mantra obnubilante RINASCIMENTO! NEOREALISMO! Stop.
Non è così. Io vedo produrre immagini dalla forza dirompente in questo paese allo sbando.
E il bello è che è transgenerazionale, altro che no. Altro che pigrizia e beatitudine borghese.
Una produzione costretta underground che usa il proprio linguaggio.
Zero emulativa. Zero borghese.
E che non si concentra sul proprio ombelico – cazzo – culo – figa.
Solo che non viene intercettata da chi potrebbe. E dovrebbe.
Distratti da chissà cosa. Spesso vittime inconsapevoli che si accontentano di qualche privilegio. Senza però avere il culo a Hollywood.
72 generazioni fa eravamo i padroni del mondo…
Adesso di 72 abbiamo solo i DPI degli altri.

Ma cosa volete che ci freghi del Richardson di turno!
Di ‘sto linguaggio infantile e vecchio.
Dei pompini abbiamo memoria iconografica dai tempi di Pompei.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

mariEnzo Mari, sulla creatività: http://www.youtube.com/watch?v=X49crKOX9Js

UPDATE: 24 OTTOBRE 2017.
Magno cum gaudio nuntio vobis: GODO!!!
È di oggi la notizia che Condé Nast non lavorerà più con Terry Richardson.
E i servizi realizzati ma non ancora pubblicati, soppressi.
Letteralmente: should be killed.
Qui l’articolo del Telegraph
– Ripreso da D di Repubblica

Ma c’è un punto: la fotografia, saperla leggere, è trasparente.
Quindi, o tutti coloro che nel corso del tempo si sono sbrodolati sono degli analfabeti, o ammiccavano compiaciuti. E paganti.
Poi… che il Terry a stelle e strisce abbia scaldato i cuori – e le menti – di alcuni ambienti nostrani, lo trovo imbarazzante.
Ma di che appeal parlano le riviste che lo hanno ospitato?
E a più riprese celebrato.
Per quello che mi riguarda, è uno spartiacque.

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Gabriele Basilico, Quaderni vol 3

Questo il terzo volume de I quaderni dello Studio Gabriele Basilico: In pieno sole. Del 1977. Che Basilico chiamava ”l’abbronzatura”.
Se era inaspettato il tema del Volume 2, quello su Glasgow e i suoi bambini, questo lo è ancora di più: people… inequivocabilmente people.
Carne alla griglia, direi.
C’è davvero molta ironia in questo Basilico. Tutta quella che non c’è nel suo stranoto lavoro… quello del rigore, quello dello sguardo all’infinito. Quello della sottrazione e del silenzio.
Qui di sottrazione non ne vedo, non può essercene.
Magari non c’è neanche silenzio, però certamente non c’è rumore.
Mi fermo a quello che vedo. Mi fermo a questo. Sono un fotografo, non un critico.
Aggiungo solo una considerazione: se hai uno sguardo puoi andare dove ti pare.

Il Quaderno ha un testo introduttivo di Antonio Bozzo, nel quale con ironia e calore si presenta come un ”Raggio di Sole”. E in questa veste racconta anche del suo incontro con Basilico nello specifico di questo lavoro.
C’è poi un breve testo di Claudio Guenzani che racconta del suo rapporto di gallerista e di persona amica.
Infine la postfazione di Giovanna Calvenzi, leggibile interamente dalla riproduzione della pagina.
Le immagini qui riprodotte sono solo alcune delle ventuno pubblicate.

Mentre il primo volume, Abitare la metropoli
https://blog.efremraimondi.it/gabriele-basilico-quaderni/
è stato da poco pubblicato da Contrasto Editore, sia il volume 2 Glasgow. Processo di trasformazione della città. 1969
https://blog.efremraimondi.it/gabriele-basilico-quaderni-vol-2/
che questo, non sono ancora disponibili. Purtroppo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

In pieno sole. 1977, 48 pagine.
Brossura cucita, formato 14,5 x 19,8 cm.
Testi: Antonio Bozzo, Claudio Guenzani.
Postfazione Giovanna Calvenzi.
Progetto grafico e impaginazione di Maurizio Zanuso.
Realizzazione editoriale, Studio Guenzani.
Finito di stampare il 20 gennaio 2014 presso Arti Grafiche Meroni.

THE VOICES – IO RUBO LA LUCE

v i d e o

Il suono dell’otturatore conforta: sai che è fatta.
Sai che è lì.
Hai rubato un po’ di luce.
L’hai sottratta al mondo e nessuno può dirti niente.
Almeno fino a quando non la restituisci.
Non sempre con gli interessi.
E allora, nel dubbio, decidi di buttarla preventivamente.
Tu butti la luce!
Tu non mi credi…
Con la pellicola è raro che accada… difficile buttare un negativo.
Poco importa che luce ci sia dentro.
Quella matrice solida, tangibile, visibilmente inerme e incolpevole occupa uno spazio credibile allo sguardo.
Difficile buttare quella luce. Magari la ficchi da qualche parte chissà dove, ma l’idea di prenderla a forbiciate ti devasta l’anima.
Anche se persa nel tempo e nello spazio, quella porzione di luce si conserva.
Tu non mi credi…
Col file no. Col file chi se ne frega.
Il file senza immagine è il nulla. Il virtuale ipotetico.
Senza alcuna parvenza di niente. Che forma ha il file?
Quale il suo peso? Come diavolo gli girano gli atomi?
Così butti niente. Tu pensi… e ti rincuori.
Fai tutto tu insomma: sottrai, non restituisci e ti assolvi.
Tu butti la luce!
Tu sei un criminale…
La luce è un bene comune. Primario per tutti.
E per tutto… anche una sedia lo sa.
Qualsiasi colore lo sa.
Che si veda o meno, la luce c’è. È generosa e non fa distinzioni.
Chi sei tu, per fregartene?
Chi sei tu, per esercitare un simile arbitrio?
Chi cazzo sei?!
Pensaci… è più la luce che restituisci, o quella che butti?
Ribaltare l’andazzo è una priorità… potrebbe non essercene più a furia di buttarla.
Potrebbe, la luce, incupirsi e decidere di azzerare gli iso che hai.
Potrebbe fare una combine col tempo, estrema, e non avresti più neanche quello.
Non sentiresti più la voce della luce.
L’urlo. A volte il sibilo.
Perché la nostra luce ha voce.
E io l’ho registrata.
Modulata attraverso le diverse fotocamere che ho usato.
Che ho sempre amato. Una per volta.
Io tutto. Io niente. Io non distinguo… una per volta.
Con la loro luce. Che coincide con la mia.
La luce buttata è persa. Non tornerà mai più.

v i d e o

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Ringrazio Simone Manuli per il montaggio video.

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Upgrade – Subscribe

La novità, quella visibile al momento, è che chiunque voglia essere aggiornato in tempo reale – quasi reale… le linee sono italiane – su ciò che pubblico in questo blog, può usare la funzione SUBSCRIBE –  vedi foto.
Vi arriverà una e mail, cliccare sul link contenuto ed è fatta!
Senza quindi passare da parti terze e social vari.

Io proprio non sono né uno né l’altro: no geek e no nerd.
Quando avranno finalmente stabilito quale delle due categorie detiene lo scettro tecnologico con annessa aura asociale, io sarò esattamente come adesso: indifferente.
Non perché la tecnologia informatica mi sia estranea, ma perché io mi limito a usarla.
Cioè: tu mi dici cosa devo fare, e io eseguo. Dopo che mi hai spiegato per l’ennesima volta la trafila e i suoi indubbi vantaggi, e io ho preso appunti, io eseguo. E me la cavo.
Poi ho l’insana passione per i libretti d’istruzione, mi eccitano più dei romanzi… solo che quelli informatici usano un vocabolario che mi è proprio estraneo… quindi non so come fare. Non so cosa leggo.
Insomma, questo blog aveva bisogno di una bella manutenzione, di quella che non si vede, più un intervento strutturale, di cui qualcosa si vede e altro si vedrà.
Per questo ringrazio il webmaster Marcello Tridapali:
http://www.projethica.com/cosa-facciamo/
Al quale, proprio alla prima chiacchierata ho detto: pensa di parlare a un bambino. È così che capisco le cose.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

z_insta

Giovanna Calvenzi – Intervista

La prima volta che ho incontrato Giovanna Calvenzi era il 1981.
Lei si occupava dell’iconografia de Il Fotografo, il magazine di Mondadori dedicato alla fotografia, e io fresco di militare, ancora universitario, mi guardavo attorno cercando di capire come fare il fotografo. Non c’era ancora la figura del photo editor.
Ero un outsider e non avevo fatto nessun percorso tipico: no scuola, no corsi, no workshop, no assistente. E qualcosa di tutto questo mi è mancato.
Se non altro perché avrei risparmiato del tempo.
No niente, avevo solo delle fotografie da mostrare.
Resto ancora un outsider con delle fotografie da mostrare.
È stata, Giovanna Calvenzi, in assoluto la prima persona che si è occupata del mio lavoro.
Non a chiacchiere… pubblicandolo.
La sua disponibilità di allora è invariata adesso. E questo è un elemento molto importante per chi fa il suo stesso lavoro.
Ha una grandissima dote: guarda.
Era da tempo che pensavo di intervistarla per il mio blog, perché non è semplicemente interessante il suo patrimonio professionale e, se mi è consentito, personale… ma è anche utile. A tutti.
A tutti quelli che a diverso titolo con la fotografia si relazionano.
Figura di spicco del panorama fotografico internazionale… farle un’intervista obliqua, di quelle che attraversano le sue diverse competenze, non solo è complesso, ma si rischia di produrre un saggio – intervista.
Il che sarebbe auspicabile, solo che questo è un blog. Con uno spazio in proporzione.
Ho quindi pensato di concentrarmi sui giornali, sui periodici, sul mestiere di photo editor. Che è roba attuale vista la situazione editoriale.
Più in là, chissà…
Intanto, domenica 5 gennaio sono andato a trovarla.
Verso la fine ci ha raggiunto la regista Marina Spada.

A margine:
il ritratto sopra è del 1997, quando Giovanna Calvenzi collaborava con il magazine Lo Specchio diretto da Paolo Pietroni. E io pure.

Questa l’intervista, in forma integrale:  Calvenzi-Raimondi.Interview

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

L’Autobiografia grafica di Italo Lupi – Presentazione

Italo Lupi, un grande art director, un grande grafico. E un grande direttore col quale ho avuto l’onore di collaborare su vari fronti.
Domani, presso La Triennale di Milano presenta il suo libro Autobiografia grafica, Corraini edizioni. Da non perdere!
Adesso è solo una news veloce ma ci tornerò, perché Italo Lupi è persona che stimo davvero tanto. E che mi ha aiutato a cresce fotograficamente.


L’Uno – Ohè sun chì

L’Uno – Ué son qui

Milano che giro in tram…
Mi metto in fondo, proprio all’altezza della salita posteriore e resto lì a guardare.
In piedi, spalle a tutti, faccia al finestrino centrale e mi riempio gli occhi di dettagli di vita che diversamente non coglierei.
È un po’ come spiare…
Tu guardi ma nessuno ti presta attenzione, nessuno si accorge di te.
Il tram passa e mi protegge.
Sferraglia, accelera e curva, frena e scuote la statica.
Sa che sono lì. Sa tutto e mi culla.
Un solo pensiero, leggero. Che rimane sul tram.
E che ritrovo quando risalgo.
Se non sei mai salito sull’1, non sai nulla di Milano.
Se non hai mai ascoltato Jannacci, non puoi capire Milano.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Ph. Paolo Jannacci

http://www.youtube.com/watch?v=Fd9-VfAecxU

 

 

 

 

L’Uno – Marzo 2013.
iPhonephotography.
Stampa inkjet su carta Fuji Satin 270 g/mq.
40×40 cm, libera e firmata sul retro.

Prima Visione, collettiva – Galleria Bel Vedere, Milano.
Questa la nona edizione.
La prima alla quale partecipo… invitato da Chiara Spat, photo editor della rivista Grazia e membro del GRIN.
COMUNICATO STAMPA.pdf

Aggiornamento 15 gennaio
É qui che mi metto…

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

 

La neve che ci tocca

 

La neve nasce ben sopra le nostre teste.
Nell’alta atmosfera, dove noi non saremmo in grado di vivere.
Nasce pulita, bianca di un bianco che non sapremmo vedere.
Il suo destino è precipitare. Ogni fiocco non oppone alcuna resistenza.
Giù, sempre più giù fino a toccare le nostre teste e caderci ai piedi aggrappandosi alla terra che trova.
E questa è la nostra neve. Non più immacolata, non più bianca cristallina trasparente.
Non più libera. Non più avulsa.
Ma nostra.
Un limbo in cui noi finalmente respirare sospesi.
Librati nel bianco che riconosciamo.
E che ci appartiene.
Quello che io amo fotografare. Quello che tutto cambia.
Tutti giù per terra.

Buon anno! Che sia sereno e chiaro.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.