Fotografia in vacanza

Efrem Raimondi photo

Io resetto tutto e me ne vado.
Anzi, prima me ne vado, poi all’imbocco di un viale qualunque di qualsiasi agosto il mio cranio passa in ora legale.
E questa è la mia vacanza. Un tempo sospeso nel quale mi disintossico alimentando relativismo e distacco.
E una sola certezza: finché anche qui, qualsiasi qui sospeso, trovo il motivo della fotografia che mi riguarda, sono vivo.
Lo trovo anche in altri sguardi, mentre girovago tra social e blog, con un Internet non sempre accondiscendente.
Lo trovo in alcune, rare, immagini… e poi lo trovo, spalancato nella sua compostezza, in un Facebook post di Francesca Stella, fotografa e blogger:

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Verrà mai un giorno in cui si dovrà ammettere di aver detto tutto?
Come una fucilata.
Infatti scarso consenso e nessun applauso. Un commento uno, quasi imbarazzato, il mio. Che è giovane la fanciulla, perché si pone questa domanda adesso?
Ma è una domanda che chiunque abbia a che fare col linguaggio non può non essersi posto, anche distrattamente. Anche poi risbattuta a calci e insulti nello sgabuzzino da dove è venuta.
Che prevede però due cose: che tu abbia davvero detto qualcosa, e che lo stesso tu non abbia più niente da dire.
E che a questo punto te ne renda conto, ti inchini e ti appendi da qualche parte.
Perché di finire su un piedistallo mobile, supposto che te lo diano, avanti e ‘ndre per palcoscenici a sparare cazzate e aneddoti, equivarrebbe a una veglia funebre itinerante.
Ci tieni?

Una questione intima quella di avere o no ancora qualcosa da dire.
Che non riguarda il consenso, per quello spesso basta il mestiere, forse più di comunicatore/trice che di fotografo.
Riguarda solo te stesso e la certezza che non stai bluffando.
Qualsiasi strada è buona e io uso la vacanza estiva… le fotografie delle vacanze, sissignore.
Che non so perché siano così snobbate… ma quando mai hai così tanto tempo a disposizione per fotografare in santa pace, senza dover rendere conto a nessuno? Potendo persino scegliere la pubblica incomprensione: è la cartina di tornasole del tuo sguardo, che ti frega del resto del mondo? È allo specchio che ti stai riflettendo, e non c’è nessuno, nemmeno nascosto dietro la tenda alle tue spalle.
É di questo che ti devi convincere: non c’è nessuno.
E nessuna fotografia è mai stata fatta.
O sono state fatte tutte… la condizione è la stessa.
Non pensare… dai retta allo stomaco che insiste e ti chiede DI COSA HAI FAME?
Chiudi gli occhi. E poi scatta.
Se quando li apri non ti rifletti, sei arrivato e non c’è altro che tu possa aggiungere.
Appenditi.

Una vacanza per venti immagini.
Venti come capitano.
Venti che mi servono.
Più una dell’anno scorso, visto che è sempre Pinzolo, Valle Rendena, Trentino.
Che non c’è come misurare lo sguardo negli stessi luoghi.
Cos’è che non ho visto ieri e che invece oggi mi è evidente come una decalcomania?
Quest’una è perché ho un dubbio. E i dubbi li manifesto.
Succede. A me succede.
Quando non accadrà più, quando mi rifletterò in sole certezze mi appenderò anch’io.
Che tanto non avendo alcun piedistallo è più facile.
Garantito.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Efrem Raimondi photo

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f/64 – il blog di Francesca Stella
stella_2iPhone 4s e Nikon D800 – per la prima volta in vacanza…

DOVE VAI


Otto opere 100×100 cm.
Realizzato in Franciacorta (Lombardia) nell’ottobre 2002
con una SX-70.
Con lo sguardo attonito, rivolto a terra poco oltre i miei piedi, attraverso un paesaggio mutato e continuamente mutante.
Dove tutto si mischia e coesiste… simile ormai
in tutta la vecchia Europa.

Questo la scheda di DOVE VAI, inserito in Tracce. Una mostra a invito voluta dalla Fondazione Terra Moretti e dalla rivista Photo.
Ospitata in due sale de L’Albereta Relais & Chateaux di Erbusco: Franciacorta piena.
Adelaide Corbetta e Wolf-Gregor Pazurek i curatori.
Oltre a questo mio lavoro, quelli di Hassan Badreddine e di Hugh Findletar.
Era il dicembre 2002… qualche anno fa.
 La Polaroid SX-70 alla portata di tutti. E perfetta per questo percorso: testa bassa e passo veloce.
Perché lo ripesco?  Non è mai stato sommerso… sedimentava.

Ci sono immagini che sedimentano.  Un privilegio che non riguarda tutte le fotografie che realizziamo. 
E che in genere non riguarda le “migliori apparenti”, quelle cioè che subito ti fanno gridare al miracolo e quanto sei bravo. Figo. Geniale. Con quel taglio che solo tu e quella luce che emana dall’io profondo…
Non dobbiamo avere fretta. A maggior ragione adesso coi mezzi a disposizione, coi quali rischi il cortocircuito tale è la mole di materiale e l’immediatezza dell’immagine.
Mi sono costruito una gabbia entro la quale stare. E non sono uscito di un millimetro.
In questo il quadrato aiuta. Perché in qualche misura asseconda la bidimensionalità di uno sguardo forzatamente privato dell’orizzonte.
Solo in una ho alzato le palpebre. Solo perché la stada era in salita.
E ciò che spuntava era poca roba… una macchia all’inizio del niente.
Aveva una sua misura decorosa, perciò non mi spaventava.
 Perché invece ciò che non ho registrato, ma che c’era in quella fascia di mezzo tra suolo e cielo, non aveva più niente di decoroso e mi lasciava statico e attonito.
Un po’ come la figura guida delle otto immagini.
Alla quale sono negati il mezzo busto e l’espressione.
Vorrei sapere che fine ha fatto l’orizzonte.
Vorrei sapere perché la misura del nostro sguardo non lo raggiunge più.
DOVE VAI è il lavoro col quale di fatto, mio malgrado, chiudo con la Polaroid. E con un paesaggio per certi versi assoluto e romantico. Che infatti non mi riguarda più.
Il paesaggio col quale ci confrontiamo oggi è un soggetto attivo e reattivo.
In tempi molto più rapidi rispetto a qualsiasi epoca precedente.
A me interessa intercettarne gli umori. E non solo i fenomeni.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Adelaide Corbetta e Wolf-Gregor Pazurek i curatori.
Fotocamera e film: Polaroid SX-70.
Scansioni da originale stampate 100 x 100 cm

TIRATURA 6 100/100 cm + 3 50/50 cm.

Garfagnana Fotografia report

Efrem Raimondi in Garfagnana

 

La prima cosa che mi viene in mente è di ringraziare.
Un tranquillo, movimentato weekend a Castelnuovo di Garfagnana.
Un weekend di piacevole duro lavoro… che fotografare al confronto è uno scherzo.
Ma a me piacciono le situazioni dense. E meno, anzi per niente, le liquide… che somigliano a quelle circostanze in cui stringi delle mani molli, che scivolano via.
Se ti fermassi un attimo…
Una nota di attenzione per chi va in Garfagnana: non fidatevi delle bottiglie di minerale gassata, che hanno tentazioni suicide e vi si scaraventano addosso.
A me è successo più o meno a metà percorso della lectio magistralis. Che ho proseguito bagnato.
Non era una performance.
Le bottiglie di naturale invece non fanno niente e stanno al loro posto.
Lectio magistralis a parte, dove sembra abbia sostenuto l’inesistenza della fotografia, la cosa davvero interessante è stata la lettura portfolio.
Che non faccio spesso. Perché credo che alla lettura dovrebbe conseguire “fare il portfolio”. Dico sul serio.
Che è un lavoro, un lavoro vero e tosto. Perché ti dà in mano uno strumento che prima non avevi.
E impegna gli attori ben oltre la mezz’ora preposta… deadline invece ragionevole, e a volte generosa, nelle circostanze pubbliche. Com’è appunto questa del Portfolio dell’Ariosto, inserita nel circuito di Portfolio Italia. Che quest’anno ha assegnato il primo premio assoluto al lavoro Res(p)e(c)t di Sergio Carlesso e Nazzareno Berton.

Efrem Raimondi, lectio magistralis

La verità? Mi ha fatto un grande piacere!
Perché ho visto il lavoro di persone che non conosco. E che nella circostanza mi affidavano le loro foto: ci vuole coraggio!
E già questo è apprezzabile, visto che dalla mia lettura non dipende concretamente nulla. Forse. Dipende.
Ho visto anche il lavoro di persone che invece conosco mediate dalla rete… dai social o dal mio blog. E qui il mio piacere raddoppia perché, che ci si creda o no, vedersi è un modo comunque più ricco di interloquire. Che il sorriso è una roba, gli emoticon boh.
Ho visto solo persone interessanti e intelligentemente interessate, forse ho culo.
E poi ho visto anche qualche lavoro decisamente bello.
E comunque nell’insieme e nell’eterogeneità, di un livello medio che riconcilia la vista dall’impunità democratica dei social: la fotografia non è democratica.
Può esserlo un premio, la sua assegnazione, ma non la fotografia, che si misura con altri parametri.
L’unica cosa che ho visto solo raramente, è il rigore.
E non si scappa… è un fatto di disciplina: se stai presentando un portfolio esistono regole alle quali attenersi.
Anche nel fotografare c’è disciplina, e si riscontra in ciò che si vede, fosse anche allucinazione, che per darsi, ha bisogno di argini.
Comprenderlo è un passo successivo all’entusiasmo del mezzo espressivo, ma prima si comprende e prima si è in grado di esprimersi compiutamente. E forse è questo il vero contributo che una lettura può dare. In questa circostanza per me è stata la regola.
Non so se ci sono riuscito, non so se ne ho la capacità, ma questo è il mio sforzo.
Poi ho visto delle mostre, tutte interessanti. Ne cito una sola, perché testimonia la possibilità di fare del reportage senza toni melodrammatici. E in più, essendo un lavoro a sedici mani, è evidente la presenza di un editing accurato. Mi riferisco a  Prete Nostro, un percorso sui preti della Garfagnana, un lavoro a cura del Circolo Fotocine Garfagnana, che  è l’organizzatore di tutta la manifestazione Garfagnana Fotografia.

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Un circolo tosto, di gente che ama la fotografia e si dà da fare senza menarla. Presieduto da Pietro Guidugli con un risultato davvero eccellente: i miei complimenti!
La mia presenza qui la devo però essenzialmente a una persona, membro del circolo: Stefania Adami, che ringrazio di cuore.

E poi ho rivisto Stefano De Luigi, al quale è stato assegnato il premio Rodolfo Pucci.
C’era una sua mostra esposta, e poi ha fatto una preziosa lecture sul suo lavoro e le trasformazioni in atto, anche tecnologiche, che inevitabilmente sono direttamente relazionabili anche a un mutamento del linguaggio. Presentato, come sempre magistralmente, da Giovanna Calvenzi.
Stefano è un fotografo che stimo molto, e nei confronti del quale nutro un sincero affetto: era un paio d’anni che non ci si vedeva… anche questo è un motivo di ringraziamento nei confronti dell’organizzazione.

Stefano De Luigi by Efrem Raimondi

Non ho altro da dire. Solo da aggiungere la foto sotto, di Simone Letari, che ben descrive l’atmosfera: ehi! si può anche ridere.

E che ‘sta estate abbia una svolta.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Io fotografo in italiano

V

Io fotografo in italiano.
E rivendico il mio idioma. Che è cifra espressiva.
L’immagine non nasce in un limbo etereo, in una volta celeste che in quanto tale non ha confini… nasce sotto, a terra, dove le cose hanno una dialettica subordinata. Si mischiano anche, ma i percorsi sono molto accidentati. E si fa i conti con i confini.
Che non sono tanto prodotto della geografia politica, disegnati e ridisegnati da una Yalta qualsiasi… sono culturali, religiosi, sociali.
E anche ideologici. Tutta farina del nostro cranio e della nostra bile.
Della nostra storia.
Della nostra idiozia e intolleranza, anche. Ma questo è.
E non è negandolo che si favorisce una dialettica, semmai si alimenta la confusione: la diversità è un patrimonio, e l’arte la sintesi massima attraverso la quale esprimerla.

È minato ‘sto post, cammino sulle uova…
Sto parlando del produrre fotografia. Che non coincide col leggerla, anche se la lingua sembra la stessa. Apparentemente…
Si dice che la fotografia in quanto immagine e non avendo bisogno quindi  della parola per esprimersi, sia scevra da incomprensione e da equivoci tipici della lingua. E chiunque, di conseguenza, è in grado di capire.
Ah sì? E allora anche di fare, senza inciampo se hai letto il libretto d’istruzioni.
La fotografia non sarà parola. Ma è fortemente linguaggio.
E il linguaggio non è scevro da niente.
Fotografare significa usarlo ‘sto linguaggio: e allora quale?
Com’è che si dice quando si ha proprietà di una lingua? Che si pensa in quella lingua.
E la fotografia perché mai dovrebbe fare eccezione?
Esiste un pensare avulso quando girovaghi con la fotocamera?
Esiste quando ritrai, con la fotocamera?
Esiste quando sbiotti a destra e a manca, con la fotocamera?
Esiste quando ti illumini di landscape, con la fotocamera?
Probabilmente avulso solo quando l’unico centro della tua attenzione sei tu medesimo… avulso sì, in un selfie narcotizzante.
Che se di biottitudine poi si vanta, narcotizza anche gli altri, noi che un’occhiata comunque la buttiamo. E voyeuristicamente ci attardiamo.

Una lingua povera, produce immagini povere.
Che se però sostenute da un apparato industriale adeguato, diventa egemone. Si legga pure Pop Art, più tutte le sue declinazioni contemporanee.
Una lingua impoverita produce immagini emule.
Non c’è alcuna fotografia internazionale, c’è uno pseudo linguaggio internazionale che produce immagini globalizzate, tendenzialmente uniformi.
Una trappola per chi possiede un patrimonio genetico.
Ogni tanto salta fuori la nuova fotografia… a turno: inglese, olandese, tedesca, cinese… e tutte hanno una forte componente espressiva di riferimento proprio. Che rivendicano.
Mai una italiana. Perché?
A me sembra di vedere molta timidezza.
A me sembra si sia smarrita drammaticità, quella che ha permeato tutta la storia dell’arte italiana. Sino ad arrivare a Sorrentino.
In fotografia boh… produciamo una prosa discreta ma senza un gesto, senza una rivendicazione chiara immediatamente leggibile.
Senza identità non siamo riconoscibili.
Io camminare come gambéro… come dire italiano? Gambero or gambéro?
Ma è lo stesso Joe…
No! Sorry… but it’s not the same: you must respect your language.
Questo non era Ovidio, ma Joe Strummer, con le idee molto chiare.

Ripartirei da I promessi sposi, e da un po’ tutto Pirandello… mi tufferei per ore in Caravaggio e in Mario Giacomelli.
E mica è tornare indietro, tutt’altro… si tratta di capire se abbiamo ancora una lingua in grado di esprimere un linguaggio alto condiviso.
E condivisibile.
Se no moriamo e vaffanculo. Che almeno è una decisione.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fotografia:
Valentina Vezzali, nel 2004 al parco della Villa Reale di Monza, per Sport Week magazine.
Pentax 645N con ottica 75 mm.
Film Kodak TRI-X PRO 320
Flash Hensel e luce ambiente.

Assistente Nicole Marnati.

Garfagnana Fotografia

Efrem Raimondi al Garfagnana Fotografia

Garfagnana Fotografia Festival…
Solo una news: l’1 agosto alle h. 21 sarò a Castelnuovo di Garfagnana.
Ospite del Circolo Fotocine Garfagnana, per quella che comunemente si dice una Lectio Magistralis
Che nel mio caso è un’esagerazione, ma tant’è e non posso che prenderne atto.
Al momento ho un’idea di massima sul come condurla, poi si vedrà.
É inserita nel programma, molto più ampio, del Festival di Fotografia che si svolge dal
26 luglio al 10 agosto.

Il 2 e 3 agosto, per quel che mi riguarda, mi dedico alla lettura portfolio, inserito nel circuito Portfolio Italia, assieme a Giovanna Calvenzi, Stefano De Luigi, Luigi Erba, Roberto Evangelisti, Fulvio Merlak.
Per eventuale iscrizione alla lettura, so che bisogna inviare una e mail, e comunque per le info basta rivolgersi qui: http://www.fotocinegarfagnana.it/

Questo il programma:  Brochure2014_fronte

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Website

Efrem Raimondi website


Sito versus Blog…
Non c’è alcun versus, proprio zero contrapposizione: due luoghi diversi.
Sì va be’… ma cos’è meglio?
Ma vuoi più bene alla mamma o al papà?
Approfitto di quest’ultimo aggiornamento del mio sito per dire due robe a riguardo. E che mi riguardano.
Il blog è un medium dinamico. Che ha una relazione abbastanza agile e certamente dialettica con la rete e con chi lo segue.
Nello specifico è luogo di riflessione sui temi della fotografia dove anche la parola scritta diventa espressione, almeno in alcuni casi.
Quindi fotografia a due livelli, quella iconica e quella parlata.
E per ciò che mi riguarda non c’è una prevalenza  generale dell’una nei confronti dell’altra: esiste solo in alcuni casi, ed è voluta.
Poi, come ho avuto modo di verificare, c’è chi finge di non vedere e usa pretestuosamente gli argomenti della parola per ignorare quelli dell’icona. Un atteggiamento speculativo tipico di alcuni fotografi, quelli che in genere non pesano mai la propria fotografia.
Pochi per fortuna…
Fare fotografia non è una gara… io non conosco competizione. Mi guardo attorno e basta.
E qui subentra il sito. Che è un medium statico. La cui relazione con la rete non è dialettica. Dove la fotografia è tutto e deliberatamente lasciata a se stessa. In balìa.
Ma è così che dev’essere… come quando mostri un portfolio: cosa c’è da aggiungere oltre la fotografia che mostra? Nulla! Il silenzio è un presupposto. E solo se richiesta si usa la parola. Al minimo. Ma meglio di no.
Ognuno lo imposta come gli pare il sito, e anche in questo caso credo sia comunque una diretta rappresentazione dell’autore.
Il mio è molto semplice, e riguarda solo gli assignments.
Salvo rarissime eccezioni, ma proprio rarissime immagini, che sono coerenti con la struttura.
Due sezioni: People e Design… più chiaro di così!
Ognuno di questi ha in primis una Top gallery: 60 immagini people e 50 design. Dove Top non indica il meglio, ma solo un editing temporaneo, una scelta destinata a mutare ogni tre mesi circa, a seconda di eventualità e esigenze anche momentanee.
Entrambe le sezioni hanno poi una zona di archivio immagini: all people e all design. Che è una selezione del mio archivio, della mia produzione degli ultimi trent’anni riferita ai due percorsi.
Alla quale attingo appunto per cambiare la top gallery.

In questo sito non c’è tutto ciò che produco o che mi riguarda: solo in SHOW c’è qualche pillola ulteriore. Ma proprio un accenno.
Per esempio manca certo reportage, al quale tengo e che troverò il modo di condividere.
Mancano altri assignment, tipo certe monografie o redazionali un po’ obliqui. Amen.
E soprattutto manca il paesaggio, nella forma che ha da pochissimo assunto in termini di prints rivolte al collezionismo, attraverso una galleria che si rivolge al mercato internazionale. E di cui parlerò.
Perché il paesaggio è per me luogo di esplorazione. Un fatto intimo che finora ho mostrato con timidezza.

Ci tenevo a questo post… perchè è vero, sono un outsider e sono trasversale come certa fotografia inattuale.
Ma intendo rivendicare la mia inattualità… io con certa attualità non ho niente a che fare. Non mi riguarda né mi interessa.
Ma soprattutto, sono un fotografo. Non un blogger, non un critico, non uno scrittore se non per il fatto che occasionalmente scrivo.
Come altri che di mestiere scrivono e occasionalmente fotografano. Male in entrambi i casi a guardare certi resoconti recenti.
Tutto discutibile ovviamente, ma a me alcuni saputelli, parvenu dell’ultima ora, sono proprio indigesti. Ci facciano vedere un po’ delle loro foto… con coraggio, petto in fuori e sia quel che sia.
Ma stai zitto e zitta un attimo.
Chi segue il mio blog mi scuserà.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Questo il mio sito:

Efrem Raimondi website© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Nota: non è ancora ottimizzato per gli smartphone. Sorry.

Football l’alter side

Football by Efrem Raimondi

Football… o futbal, come dicevano i miei nonni e tutta quella generazione lì.
Solo che qui è femminile… cosa cambia?
Nulla. Se non alcune sfumature nello spogliatoio, dove la complicità e il senso di reciproca appartenenza sono più evidenti.
Qui nello spogliatoio, qui in campo, e occasionalmente altrove in streaming, tipo l’ultimo mondiale giocato nel 2011.
Dove ho registrato un altro calcio. Che nell’atteggiamento generale è davvero molto distante da certa parodia gladiatoria, espressione di un’iconografia maschile tutta concentrata sulla rappresentazione del potere.
Questa iconografia a me fa schifo, mentre amo il calcio.
E non c’è come vedere un maschio in mutande che rincorre una palla per capire di che pasta è fatto.
Perché è vero, il calcio è una metafora della vita.
Lo è indipendentemente dal tuo grado di affezione o dall’abitudine a parlarne: chi ha giocato e bazzicato lo spogliatoio sa di che parlo.
Quindi… altro che nulla! Cambia tutto: il gioco è lo stesso, ma le sfumature di cui sopra sono un discrimine.
La minore esposizione delle atlete fa sì che ci si concentri sul merito sportivo e il fair play.
E di palloni mediatici alla Balotelli, al momento, non ce n’è.
Mi sembra un po’ come in fotografia versante Instagram: vi piace tanto Chiara Ferragni?  Godetevela! Poi spiegate a tutti quelli che hanno deluso lei e Mondadori non comprando la sua fatica letteraria The Blond Salade che devono ricredersi e correre in libreria – luogo improprio. Spiegateglielo…

Fiamma Monza, che in questo anno calcistico duemila.zero, militava in serie A.
Allenata da Giancarlo Padovan, allora prima firma sportiva del Corriere della Sera… e da Raffaele Solimeno, ex calciatore… questo lavoro è un reporatge. Lo è a tutti gli effetti. Anche se privo di disperazione e volti scavati dalla sofferenza.
Che per essere lirica e emozionale dev’essere altrui. Mica tua… tu guardi, piangi, fai la coda per la mostra, raccatti il libro e un souvenir e torni a casa contento. Con tua figlia per mano.
Forse è il caso che la pianti di dire che il reportage mi è estraneo, perché poi qualcuno vagamente distratto ci crede, e non appena accenno a parlarne vengo zittito da uno sguardo che dice ma tu che ne sai?
E infatti è una vita che non ne faccio, con una struttura così intendo, che nasce destinata ai magazine. E che poi magari, in qualche singola immagine, trova asilo anche altrove.
Per GQ Italia, quindi un maschile. Quindi si può pensare a una qualche morbosità nascosta nelle pieghe. Ma nascosta bene, perché io non ne vedo. Però fosse stato fatto per un femminile il dubbio non ci sarebbe stato.
Mi chiedo però come mai un femminile non ci pensi oggi a produrre un lavoro così.
Che sia una femminilità non condivisibile? Forse non condivisa da chi i femminili li fa… va be’, che c’entra… non è che quella che viene generalmente prodotta, come idea di femminilità dico, sia poi così condivisa dal pubblico femminile a giudicare dai resi in edicola.
E allora? Ma non è che i femminili si siano invaghiti di un concetto virtuale di donna? Una figura piallata che s’aggira confusa tra le pagine del giornale… un fumetto. Un fumetto magro.

Ricordo la lectio magistralis che mi fece una grande fashion editor molti anni fa guardando le mie donne ben ordinate in un portfolio: le donne amano vedere la proiezione di sé in una figura che le affascini e le faccia sognare: se tu odi le donne non fotografarle.
Ma come? Ma se io le amo! Ci ho messo anni a riprendermi.
Nel frattempo ho continuato a fotografarle.
L’ho rivista recentemente… ingrassata. Le sue donne, quelle che deambulano tra le pagine, sempre più magre.
Le mie stanno bene. E altrove.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Questa è una sintesi del lavoro, realizzato in due step: il dittico in notturna esterna durante l’allenamento. Che in realtà è un posato con tutto ciò che comporta, generatori, flash e corredo assortito. E una Pentax 67 col 105 mm.
Stessa sera, spogliatoio con una Pentax 645N.
Entrambe le situazioni con una AGFA APX 100.
Il secondo step la partita, Pentax 645N col 75 mm e una TRI-X PAN 320 PROF.

Assistenti: Fabio Zaccaro e Nicole Marnati.
L’articolo di GQ, firmato da Emanuele Farneti.

Pitti in smartphone

Milano by Efrem RaimondiMilano P.G. h. 7,45 AM…

 

L’ultima volta che sono stato al Pitti è stato nel giugno 2008.
Perché avevo una mostra.
Poi non c’è stata né ho cercato occasione.
Questa volta invece la circostanza s’è creata grazie alla fondamentale complicità di Antonio Orlando, vice direttore di Class magazine. E di Mariateresa Cerretelli, photo editor.

Tutto molto semplice: liberare la produzione smartphone dalla prerogativa social, quella che prevede un solo fatto iconografico, IO SONO QUI.
E rimettere al centro il motivo della nostra presenza: ho uno sguardo e lo rivendico… IO FOTOGRAFO. E intendo farlo usando le coordinate proprie della fotografia che mi appartiene.
È lo smartphone che scappa e uno strumento che torna.
Se sono un magazine, rimodellando la mia presenza social alla misura e alla cifra iconografica che sottolinei la mia identità.
Che la rivendichi con una chiarezza e una distinzione che non sempre è riscontrabile sul cartaceo, dove anzi l’omologazione e un linguaggio balbettante sembrano essere piuttosto diffusi. E in buona sostanza origine del proprio male.
È una grande opportunità. E la si gioca adesso.
Un percorso che ho iniziato con INTERNI magazine* l’anno scorso in occasione del Salone Internazionale del Mobile, tutto iPhone e che ho ripetuto quest’anno, non solo iPhone, perché gli strumenti si adeguano alle circostanze. E non il contrario.
Così ho fatto il mese scorso col gruppo Class Editori, soggetto Pitti, dove l’iPhone è stato molto sostituito dal Samsung Galaxy K zoom… bell’arnese che si presta molto e che voglio ulteriormente verificare.
Con più calma, quella che non c’è stata nella circostanza.
Anche perché condensare in un solo giorno un lavoro del genere ha comportato qualche errore di valutazione da parte mia. Che si è tradotto essenzialmente in una mediazione di troppo sul piano espressivo: e non va bene. Ma è un work in progress, e sia Class che io ne teniamo conto.
C’è un interesse vero sul percorso smartphone, e il suo rimbalzo diretto sui social network. Alcune riviste lo stanno intercettando. Certe per necessità, e ammiccano  un po’ così… altre ci investono davvero.
Allora è semplice: che ci sei lo sappiamo, adesso dicci chi sei.
E proprio il rigore e la cifra espressiva, ciò che latita sul cartaceo, dev’essere il credo. Come un’ossessione.
Puoi cambiare strumento, e usare ciò che ti conviene, ma non puoi cambiare sguardo.
É un postulato. Almeno per me, che un altro non ce l’ho.

Pitti… con a Alida Priori, fashion blogger** dallo sguardo bello trasversale. Senza la quale questo lavoro non ci sarebbe. Che com’è noto l’ambiente fashion lo guardo da una certa distanza… in parte perché è un ricordo di gioventù, e in parte perché, salvo eccezioni, non lo conosco.
Insieme abbiamo attraversato in lungo e in largo, chiacchierando e guardando.
Scattando e postando quasi in diretta – lo stato della connessione è migliorabile – sulla neonata pagina FB*** di Class. Un reportage leggero nell’occasione. Che verrà in parte ripreso nel cartaceo.
Per me è come passare da un mezzo a un altro.
Come necessita.
Come è sempre stato.
Questo è solo l’inizio iniziato da un po’.

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Pitti by Efrem RaimondiRoy Rogers by Efrem RaimondiPino Luciano by Efrem RaimondiPaoloni by Efrem RaimondiDiadora by Efrem RaimondiAllegri by Efrem RaimondiItalo Treno by Efrem RaimondiFirenze S.M.N. h. 7,18 PM
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https://blog.efremraimondi.it/milan-design-week-giu-la-cler/
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Credit:
Roy Rogers, Alida Priori da Proraso, Pino Luciano – La vera Sartoria Napoletana, Paoloni, Diadora, Allegri, Italo Treno.

Una giornata intensa, resa proficua grazie alla collaborazione di:
Carla Manzoni, responsabile coordinamento editoriale Class Editori,
Carlo Parpinelli, responsabile gestione editoriale,
Paola Bressani, senior product manager,
Stefania Bianchi, segreteria di redazione.

Invettiva

Efrem Raimondi Photography

Tu chevieni tu chevai tu chesbatti primaopoi… ma vaffanculo mavacci davvero funambolica mediatica sprizzagioia OGNImattina dallatua fottuta paginafeisbukkkk… apperò! chedonnasei che cazzuta donnachesei e ci baci cistrabaci cispalanchi quegliocchietti ripassati in frettaefuria con il nero dirimmèl… keepcalm monamour ostinata paracula chetuàmi la natura lunapiena e la verdura facontorno di patate alla coscia del grigliato tuttaselfie sul bidé… senzaruga senzapelo senzapori senzasegno senzasguardo ciattraversi benpiallata mancofossi unautostrada e tivedo scomparire dietromari e dietromonti dietrodune indifferente con laluce da sunset… che donnasei che donnachesei conquella faccia dacazzo chehai chetusia s’unacover chetufaccia biografia chetuscendi dalle scale o chescatti tuttefoto tanto piene di glamùr etu… caromaschio variopinto cacciatore a tuttapreda con lo sguardo chissàdove che contento palestrato con mutande cazzosono tu… non ti fai schifo? tu chemeni apiùnonposso tu cheumilii e tuttesotto tutteappese a penzolare tu… tuzerbino del potere guerrasesso e rock’n’roll sopra unpalco a centoanni che sgambetti come unpirla… tumaschio d’autore tu capolavoro divino tusei patetico… e… epoiadesso anchetè… che t’aggiri reflex alcollo che t’inebri di miseria sangue e figa tutto infaccia… ficcatela in culo la tua fotocamera. E vedere l’effetto che fa.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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