La Triennale – Blog e Fotografia

Efrem Raimondi - La Triennale

AFIP (Associazione Fotografi Italiani Professionisti) e GRIN (Gruppo Redattori Iconografici Nazionale) hanno organizzato questo talk, presentato da Mariateresa Cerretelli e condotto da Giovanni Gastel: Blog e Fotografia.
In Triennale, Milano, sabato 28 giugno alle h. 10,00.
C’è Settimio Benedusi, c’è Renata Ferri, c’è Toni Thorimbert. E ci sono anch’io.
Sinceramente non so cosa aspettarmi… non ho idea di come sia partecipare a un Talk. Chissà se anche show
Lo scoprirò lì.

Nel frattempo dico la mia sulla questione blog. E fotografia annessa.
Un po’ come mi viene senza pensarci troppo.
La progressiva espulsione della fotografia, cioè di un linguaggio, da parte dell’editoria periodica, a vantaggio di fotografie passepartout raccattate gratuitamente ma anche esplicitamente prodotte a prezzo stracciato, ha creato un vuoto.
Che non riguarda solo i fotografi, ma anche e soprattutto i lettori.
Che stanno emigrando in massa, come le continue dichiarazioni di crisi da parte degli editori confermano.
Ci sarebbe una soluzione, io la conosco. Ma non la dico.
Il rapido espandersi del Web, con dinamiche prima decisamente BLOB e via via sempre più selettive, del tipo trova ciò che cerchi se sai cosa vuoi, non solo ha favorito, ma quasi preteso lo sviluppo di media sempre più precisi – e il blog è un medium –  in grado di affrontare  una domanda di fotografia enormemente cresciuta.
Una quantità senza precedenti, dai parametri incerti, soprattutto nelle giovani generazioni.

I blog si infilano qui, e in maniera trasversale intercettano questa domanda variegata.
Verrebbe da dire che ognuno ha un suo blog di riferimento.
Più d’uno anzi.
Non esiste un format. E ogni blogger fa un po’ come gli pare secondo propensione e interessi. Ma è evidente, subito appena si sfoglia, la coincidenza tra il medium e la persona.
Insomma, anche il tuo blog è parte integrante del tuo linguaggio.
I fotografi sono stati tra i primi a capirne le potenzialità.
Perché direttamente coinvolti. Molto più coinvolti di qualsiasi redattore, giornalista, o photo editor. Anche perché la testa sul ceppo era la nostra.
Parlo di fotografi, di qualsiasi credo ma fotografi. Quelli cioè che hanno una Partita Iva o una qualsiasi posizione fiscale aperta che li identifichi come tali. La qualità, la densità delle immagini è altra faccenda. E qui c’entra zero.

Io non sono un blogger. Sono un fotografo che ha un blog.
Uno spazio che si riflette, quasi combacia, con la mia fotografia e con l’idea che ho di fotografia.
É giovane… ha poco più di due anni. Perché c’è chi ci è arrivato prima e chi dopo. E io, dopo.
E sono anche un outsider. Che è una condizione coerente con ciò che ho sempre fatto. E soprattutto col come l’ho fatto.
Per questo l’incipit suona come una dichiarazione di guerra: Questo è un blog polemico.
Molto punk. Zero glam. Very snob.
Ma è così che sono… e così è questo spazio.
In questa circostanza voglio precisare meglio: la polemica è la condizione per me vitale per attraversare e affrontare questo periodo fluido e confuso. È l’esercizio della critica.
Questo qui dentro, perché quando fotografo non esercito niente, fotografo e basta.
Non un inno alla rissa verbale, che proprio detesto: o kalashnikov o champagne.
Ma anche tutt’e due. Non nello stesso momento però.
E la fotografia è lo strumento per raccontare l’idea di mondo.
Quando ho iniziato col blog, il mio intento era mettere al centro la fotografia che mi corrispondeva. Mia o di chiunque altro. E questo è.
Infischiandomene del consenso o del dissenso mediatico: c’è in giro una giovane generazione di fotografi o aspiranti tali che è formidabile. Ma che si trova nel bel mezzo di un periodo veramente di merda. Tutti, anche noi che non siamo più ragazzotti… ma loro molto di più.
E non è solo una questione economica, anzi questa è la conseguenza, non l’origine del problema… ma soprattutto si è come in mezzo a un limbo bianco perfettamente illuminato. Anche un po’ sovraesposto a guardarlo. E non si vedono più confini. Così ti sembra di poter andare dove ti pare. E invece sei fermo sempre nello stesso punto, che anche se hai fatto un passo o sei metri, il risultato è lo stesso.
Questo è essenzialmente il motivo del mio blog: un luogo dove si cercano argini.
E non dove tutto e qualsiasi cosa è lo stesso.
Perché i distinguo sono la condizione della dialettica. E del linguaggio.
A me interessa la fotografia, le fotografie sono il mezzo per farla.
Senza menarsela troppo. Senza musi tirati e calcinacci al seguito.
Ma anche senza sembrare Marzullo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Efrem Raimondi Photography

Questa la prima immagine del primo articolo di questo blog: 21 febbraio 2012.
Welcome!

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Nel pomeriggio il programma prevede dei portfolio reading, come da locandina.

L’equivoco ghirriano

 

L’equivoco non risiede in Luigi Ghirri, che era totalmente padrone del proprio linguaggio.
E che nell’imperfezione, nella scia analogica lievemente sporca, trovava l’equilibrio espressivo del proprio silenzio.
Un silenzio per nulla muto, anzi un frastuono a volte.
Leggero e potente.

L’equivoco ghirriano è degli epigoni.
Che non se ne può più di perfezione morta… di tutto ‘sto dettaglio iperdigitale che va da qui all’infinito… di staticità incollata, millimetro dopo millimetro lungo il perimetro del formato, dal quale non esce e non entra nulla.
È tutto concluso… nell’equivoco ghirriano non c’è uno spiraglio. Mai un dubbio. Solo un ammontare di punti esclamativi, e ogni elemento si specchia in sé, evitando accuratamente la benché minima dialettica col resto e con gli altri… ognuno con la propria dichiarazione di guerra stampata in fronte.
Ognuno col suo colorito perfetto.
Fotografie ordinate per una fotografia ordinaria.
Non è una sentenza solo perché non ne ho il titolo.

In Ghirri la fotografia è tutto, le fotografie un pretesto.
Coi suoi tre formati, sempre quelli mi sembra (24/36 – 4,5/6 – 6/7), decodifica il mondo che vede. Che lui sa vedere ben oltre il confine del genere e della circostanza… mi sembrava assurdo che un fotografo potesse fare solo fotoreportage e non riuscisse a fotografare una cattedrale o l’interno di una casa, o elaborare un rapporto minimamente più approfondito con il visibile (visibile vuol dire quello che io sto guardando), con la rappresentazione in generale.
Direttamente da Lezioni di fotografia, edito Quodlibet, 2010.
Un piccolo volume che raccoglie le sue lezioni, quelle tenute all’Università del Progetto di Reggio Emilia, tra il gennaio 1989 e il giugno 1990. Un volume fondamentale nella sua essenza. Anche se alcuni dettagli sono stati spazzati via dallo tsunami digitale.
In alcuni casi neanche dettagli da poco. Insomma va letto.

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L’intero lavoro di Ghirri è il prodotto di una riflessione che ha pervaso l’ambiente amatoriale italiano a cavallo tra gli anni ’50 e i ’70. E che non esiste più. Né quell’ambiente, né quella riflessione.
E se è vero, come mi sembra di ricordare scrivesse proprio Ghirri, che la fotografia amatoriale era capace di grandi gesti espressivi – e lo era davvero – mentre buona parte del professionismo si limitava sostanzialmente al compitino, è altrettanto vero che oggi non è più così. E che anzi proprio l’equivoco ghirriano ne è manifesto.
La riflessione e l’espressione autentica oggi la riconosco quasi esclusivamente in chi la fotografia la produce in modo trasversalmente professionale. Forse proprio perché costretto a confrontarsi col cortocircuito digitale.
E solo raramente vedo autenticità e intuizione, basterebbe anche acerba, in chi non rischia mai nulla.
Una visione del mondo… questo lo sguardo di Ghirri e di tutto un ambiente amatoriale, fotograficamente molto colto e poco epigono, poco specialistico, che ha saputo produrre grandi immagini e grandi fotografi. Non importa se di successo o meno, per dirla alla contemporanea.
Oggi, che tutto è mischiato e una bozza di sguardo lo recuperi anche dal vicino di Instagram, non basta più.
Oggi devi avere una visione della vita.
E riprenderti le rughe.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Ghirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem RaimondiQueste immagini appartengono al libro Luigi Ghirri. Vista con camera.
Federico Motta Editore, 1992.
Quelle che seguono sono parte di un redazionale per INTERNI mag – settembre 1984, con testo di Giovanna Calvenzi.

Ghirri, dal Blog di Efrem RaimondiGhirri, dal Blog di Efrem Raimondi
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Selfie vs Faces – Maria Teresa Gavazzi

Efrem Raimondi by Maria Teresa Gavazzi

Cammino per Reggio Emilia. Un mese fa per Fotografia Europea 014.
E vedo Maria Teresa Gavazzi: pittrice, performer… un’artista insomma. Che però sapevo a Londra! dove vive e lavora.
Lì in un angolo di strada con una fotocamera, un cavalletto, uno schermo come sfondo. Uno sgabello.
E una calza in mano, di quelle da donna.
Mi dice quattro cose che non capisco e in un attimo mi trovo sullo sgabello con la calza in testa giù fino al collo.
Questo sarà il mio selfie! E prima che lei scatti, mi scatto io.
Anche lei scatta… mi dà delle indicazioni e io eseguo.
Sono in balìa di un altro sguardo, per cui eseguo.
È rarissimo che sia dall’altra parte. Non è più il tempo.
Però questa è tutta un’altra situazione: non mi specchio nella mia identità, che anzi va a ramengo.
Ma in una qualunque. Quasi una matrice.

Questo occidente è un luogo impaurito che ha perso la capacità di esprimere divergenza e alternativa espressiva. È muto.
Variopinto, ma inespressivo. Dove l’incipit è uno: mostratevi.
E nel mostrarsi, ci si accorge di essere copie. Malgrado gli sforzi.
Mi piace molto questo lavoro di Maria Teresa Gavazzi, perché ha un’apparenza leggera, ma una sostanza potente.
Io non sono un critico, io sono uno di quelli con la calza in testa.
E lì sotto ho avuto il tempo di vedermi. E come sempre non mi piaccio neanche un po’. Altrimenti non  farei il fotografo.
Altrimenti non starei dalla parte opposta all’obiettivo.
Altrimenti non guarderei il mondo. L’altro mondo, quello che non si vede.
È ciò che non so vedere che vorrei trovare da qualche parte.
Ed è di persone in grado di mostrarmelo che ho bisogno.
Parafrasando Maria Teresa, anche ladri.
Perché è come avere a che fare con un bene comune che va in malora… una casa vuota da secoli abbandonata all’ingiuria: io ne ho bisogno e me la prendo.
E la restituisco alla vita.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Efrem Raimondi, backstage M.T. Gavazzi by Laura De TomasiEfrem Raimondi, backstage M.T. Gavazzi by Laura De TomasiEfrem Raimondi, backstage M.T. Gavazzi by Laura De Tomasi

C’è però un’anteprima, non posso evitarla.
Maria Teresa Gavazzi l’ho ritratta per il magazine Arte nel 1999.
Questo il ritratto che le feci. Quindici anni fa. Già.
Era più o meno da allora che non ci si vedeva: è come essersi ritrovati. In più la ringrazio per questo suo Faces, che è il selfie di un’epoca. Così non c’è più bisogno di farne. Almeno io.

Maria Teresa Gavazzi by Efrem Raimondi

 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Faces by Maria Teresa Gavazzi  – PDF faces_ita

M.T.G. a Fotografia Europea 014 feuropa

M.T.G. Performance performance

 

 

 

Le fotografie di backstage sono di mia moglie, Laura De Tomasi.

Munari Politecnico

Museo del 900 by Efrem Raimondi

 

Quando qualcuno dice: questo lo so fare anch’io, vuol dire che lo sa rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima.
Ecco, questo è Bruno Munari in sintesi estrema.
E lui le cose le faceva prima.

C’è questa piccola grande mostra al Museo del 900, a Milano: Munari Politecnico, che ha un soggetto preciso a mio avviso, la trasversalità del linguaggio, il suo.
Quasi tutte le opere provengono dalla collezione Danese – Vodoz.
È l’antitesi della contemporaneità monoespressiva e monotona che trova nella reiterazione del gesto, sempre lo stesso, la sponda della critica, sia pop che glam… sempre più coincidenti malgrado sottolineature e distinguo, degli uni e degli altri.

È piccolina, ma potente in questo suo focus. Tanto che è immediato accorgersene.
E forse per assaporarla bene bisogna usare due tempi distinti: il primo, un giro veloce, moderatamente veloce, e poi ricominciare daccapo con lentezza.
C’è anche un Focus fotografico, con le opere di Ada Ardessi e di Atto, che hanno molto seguito Munari.
E si vede un uomo in giacca, camicia e cravatta che si diverte come un pazzo. Come un artista vero senza etichetta appiccicata.
Chi s’è visto s’è visto.
Fino al 7 settembre.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Munari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem RaimondiMunari Politecnico by Efrem Raimondi

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

L I N K

Museo del 900, info:
http://www.museodelnovecento.org/le-mostre/presente-menu/51-mostre/mostre-nel-tempo/481-munari-politecnico-e-focus-chi-s-e-visto-s-e-visto

A proposito delle forchette, video RAI Edu:
http://www.arte.rai.it/articoli/le-forchette-parlanti-di-bruno-munari/16168/default.aspx

Munart:
http://www.munart.org/

Associazione Bruno Munari:
http://www.brunomunari.it/

Nota: tutte le immagini in iPhone 4s.

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Football: una finale

Diego Simeone by Efrem Raimondi

Non ho visto il primo tempo. Ma a partire dal secondo, sino alla fine.
Ieri sera ho tifato Ancelotti… eterno affetto per Carletto.
Fino a un certo punto. Fino a quando ciò che si vedeva non s’è messo a urlare: e ho amato l’Atlético de Madrid.
Il calcio è davvero una metafora della vita, e non ha niente a che fare con la giustizia, quella morale.
Che non esiste. Ma riconoscerla è un obbligo.
E la faccia di Diego Simeone detto  El Cholo, Il Meticcio, è esattamente come quando l’ho ritratto per GQ Italia nel maggio del 2000, lì al Formello, il quartier generale della SS Lazio.
Se la ricorderà bene anche Michele Dalai, eravamo lì insieme.
E questo ritratto mi sembra riassumere un po’ tutto.
Io amo il football…

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Tempo e modo

Fotografa. My shadow, by Efrem Raimondi


Dunque, funziona così… quando stai scrivendo, scrivi!
Quando stai leggendo, leggi!
Quando stai guardando, guarda!
Quando stai parlando, ascolta…
E quando stai fotografando, fotografa!
Non pensare… fotografa.
È solo quando pensi, che dovresti pensare.
Tempo presente, modo gerundio.
E stop.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fotografi… cavalieri dalle lunghe ombre.
Photographers… The Long Riders.
My shadow, 2013

La chiamavano Nanda

 

Approfitto di alcuni commenti in ambito social riguardanti il ritratto a Fernanda Pivano pubblicato anche nel post che precede, per dire due robe due…
E che probabile anticipino una serie di articoli decisamente focalizzati sull’incontro, forte, con alcune persone. Incontri tradotti in ritratto.
Fernanda Pivano l’avevo già vista, prima di questo ritratto realizzato giovedì 30 giugno 2005, a Milano. A casa sua…

FERNANDA PIVANO by Efrem Raimondi

In ambito pubblico e uno più privato mercoledì 24 marzo 2004: certe date le registri per esteso in memoria. Quando l’ho accompagnata a Bologna, destinazione Vasco Rossi per un’intervista per Vanity Fair. E io con due compatte e un po’ di Tri-x a ritrarre l’evento.
Da questa serie ho estrapolato una sola immagine per il libro TABULARASA, fatto con Toni Thorimbert, per Mondadori.
E la stessa immagine mi è stata chiesta da RAI 2 per la serie Unici… essere Vasco Rossi. In verità un’immagine molto live, forse troppo. Non so… non ci penso. Non m’importa.

Fernanda Pivano - Vasco Rossi by Efrem raimondi, from TABULARASA

Comunque qui adesso, pubblico anche alcune altre. Anche più live.
Ed è assurdo, perché la cosa che più mi è impressa di quella giornata è come guidavo in autostrada! A 90 all’ora in prima corsia con gli occhi ovunque, in anticipo su qualsiasi evenienza… che se fosse successo qualcosa, qualsiasi cosa, ero fottuto. Io ero fottuto.
Le orecchie invece erano unicamente dirette. Sulla traiettoria della Pivano, seduta al mio fianco.
Che raccontava dei suoi incontri con Miller, Burroughs e cosa accadeva a casa Bukowski. Come quando il grande Hank torna dall’ippodromo con un paio d’ore di ritardo perché infilato sotto le macchine nel parcheggio a cercare di stanare un gattino impaurito.
E ce la fa!
E una volta a casa, gatto in braccio, passa le due ore successive a raccontare nel dettaglio il trionfo, mentre si occupa della divina creatura e sostanzialmente se ne frega dell’apprensione di Linda, sua moglie, e degli ospiti. Pivano inclusa.
Insomma, c’era solo da ascoltare. E da guardarsi attorno: il più lungo, lento, meraviglioso viaggio Milano – Bologna che mi abbia riguardato.

Fernanda… che praticamente tutti chiamavano Nanda. E io non ci riuscivo. Che mi sembrava di darle del tu. E proprio non ci riuscivo. Mi ha anche rimproverato per questo. Giuro.
Ci sono due soli modi di dare del tu… quello che non ci pensi e fila tutto liscio e quello che ci pensi continuamente e finisci per balbettare. Francamente, in mezzo ai tanti inciampi che mi riguardano, questo preferisco evitarlo. E non che con quelli ai quali do del tu ci sia una considerazione o una stima minore… è che è diverso. I monumenti io li vedo come un bambino, sempre enormi.

Al secondo incontro privato, quello del 2005, sono andato col critico Demetrio Paparoni. Una chiacchiera tra loro.
E mentre ero lì e ascoltavo, scattavo delle snap. E mi viene in mente come ritrarla… mi è chiarissimo.
Un set montato in 5 minuti, una verifica della luce e una Pentax 67 col mio grandangolo preferito per il ritratto. E lei ride. E io scatto.
E eccoci qua. Lei sempre presente.
Seee, si occupino pure di farfalle e parvenu assortite… ma vaffanculo, la storia siamo noi!

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Fernanda Pivano by Efrem Raimondi for Vanity FairFernanda Pivano by Efrem Raimondi for Vanity FairFernanda Pivano by Efrem Raimondi for Vanity FairFernanda Pivano - Vasco Rossiby Efrem Raimondi for Vanity FairFernanda Pivano - Vasco Rossiby Efrem Raimondi for Vanity Fair

FERNANDA PIVANO by Efrem RaimondiFernanda Pivano and Efrem Raimondi

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

N.B. Nel souvenir con Fernanda Pivano, la mia espressione imbarazzata è di rigore… mai a mio agio dall’altra parte della fotocamera.

Fotocamere: Leica Minilux, Ricoh GR1s, Olympus E300, Pentax 67.
Flash: incorporato per le snap, Profoto per il posato.
Film: Fuji NPS 160, Kodak TRI-X.

Assistenti: Letizia Ragno, Nicole Marnati, Emanuela Balbini.

Una pura formalità – Obiettivi e ritratto

EMANUELE FILIBERTO DI SAVOIA


Una pura formalità…
Non l’ho mai fatto.
E in fondo non mi piace neanche parlarne.
Di tecnica fotografica…
Ma di fregnacce se ne sentono, e se ne leggono tante.
Anche troppe. Soprattutto in epoca di didattica diffusa. O sfusa.
Che purtroppo si traducono in fatti concreti, cioè in fotografie… meglio usare il plurale, che il singolare, fotografia, appartiene a un altro genere.
E questo danneggia fortemente la salute: meno quella oculare e più, molto di più, il binomio cranio – fegato.
Che se almeno rimanessero parole a vanvera, come d’abitudine, potremmo scartarle con grande facilità vista la scarsa propensione alla lettura che, ci dicono i dati, abbiamo.

La tecnica non è il motivo principale di nessuna fotografia, e anzi non è neanche un motivo.
Ma per quanto fastidiosa, è ineludibile. Chi dice il contrario bluffa.
E più la si possiede, più è dimenticabile.
Si usa e basta. E non si è usati…
Karl Marx sosteneva che chi conosce più parole ha più potere.
E non è necessario essere dei seguaci del Materialismo Dialettico per capire che è prorpio così.
La tecnica è semplicemente uno strumento di precisione, quello che ti permette di esprimere chiaramente ciò che intendi dire.
E quando davvero lo dici, e fortemente lo ribadisci, non la si nota neanche.
La fotocamera analogica più complessa da usare è la usa e gettadisposable camera.
In digitale l’iPhone o qualsiasi altro smartphone.
Questo proprio perché l’apparato tecnico è di proprietà del mezzo.
La fotocamera più semplice, per entrambe le sponde, è il banco ottico. Proprio perché si limita a fare il suo lavoro, cioè essere uno strumento ottico che disciplina la luce.
Come, dipende totalmente da noi.
In generale, più un’immagine ci appartiene e la ribadiamo, meno notiamo intrusioni meramente riconducibili allo strumento.

Recentemente ho sentito da qualche parte, non ricordo dove, che mai come oggi la fotografia è florida. Credo che mai come oggi sia emulativa e strumentale. Profondamente taggata dal mezzo.
Il ritratto sembra essere l’ambito più esposto, forse perché il più popolare.
Il più consumato, masticato e vomitato.
O forse solo perché il modo più semplice di riproduzione della specie, senza l’obbligo della distinta femminile.
Ed è proprio sul ritratto che entro nel merito di una specifica, una sola: l’ottica. Perché è da qui che si parte. Ed è una cifra predeterminante.
A riguardo se ne leggono di tutti i colori… random una manciata di cliché a scelta.
Non sono un didatta, non ne ho la patente. Ma pratico. Siccome, e me ne stupisco, succede che mi venga chiesto, lo metto per iscritto.
Che è essenzialmente un modo per evitare di ripetermi, e qualora ricapitasse ho un link da spendere. Comodo comodo.
Sottolineando che non è una verità. In fotografia non ce ne sono, esiste solo il relativismo. Che però a maggior ragione non è confondibile col fatto che qualunque cosa abbia diritto di cittadinanza: tutto si misura sempre con la fotografia che si ha davanti. E non sostituibile da alcuna parola, da nessuna descrizione: linguaggio autonomo.

Quando parlo di ottiche mi riferisco esclusivamente alla lunghezza focale.
Ognuno faccia come gli pare, io faccio così: due sole obiettivi a disposizione, un normale e un grandangolo medio. Più, a corredo, un set di tubi di prolunga, che uso applicato al normale.
Questo lo standard, indipendentemente dal formato. E con questo set economico si va dappertutto. Si ritrae chiunque.
Il cosiddetto normale è quello che fa più o meno coincidere se stesso con la diagonale del formato. Restituendo un’immagine molto simile a quella che i nostri occhi percepiscono.
Il fatto che spesso in epoca analogica, quindi prima del boom degli zoom, fosse di default montato sulla fotocamera primo acquisto, praticamente sempre una reflex 35 mm, ha fatto sì che il 50 venisse snobbato. Perché considerato economico, sinonimo di scadente.
E anche adesso, nel pieno del testosterone digitale, soffre di questa memoria.
All’inizio anch’io, uguale: con le mie due 35 mm usavo di tutto meno il 50.
Ma è l’obiettivo più duttile che esista: una meraviglia.
E a farmelo scoprire è stato il banco ottico. Nel formato 10/12 col 180 mm, mentre col 20/25, di rado e solo in studio, il 360 mm. Quindi in realtà in entrambi i casi leggermente più lunghi delle reciproche diagonali.  Come del resto lo è il 50 per il full frame.
Dall’uso pressoché esclusivo del banco nel decennio 1986 – ’96 ho mutuato la necessità, vitale, del tubo di prolunga per gli altri formati.
Il mio modo per avvicinarmi…
Per me estremamente utile e accondiscendente nello ”sfondare” i piani mantenendo volume. Cosa non altrettanto vera per i teleobiettivi, non nella stessa misura. Che mi danno l’impressione di appiattire troppo. Come di schiacciare.
E poi a me piace il contatto quando fotografo. E un tele, anche se medio, allontana.
Quanto al grandangolo giro intorno all’equivalente di un 28/30 mm, in subordine al formato.
E qui conta molto la distanza dal soggetto. Ma se usato con attenzione non c’è deformazione, solo una leggera spinta: lo trovo un obiettivo dinamico, tanto che spesso col medio formato digitale lo preferisco al normale.
Piuttosto, non so perché ma trovo ostile, o quantomeno ostico il piccolo formato – full frame – nel dialogo col ritratto. Soprattutto se verticale. E infatti appena posso mi rifugio nell’orizzontale, che mi sembra alleggerirne la compressione.
Tutto ciò detto è indubbiamente una faccenda mia, una nota tecnica poco significativa. Certamente indegna per qualsiasi forum o consesso fotografico.
Se però a qualcuno può interessare, adesso è a disposizione.
Così come il Rodenstock Sironar-N 360/6,8 di cui ho parlato prima: lo vendo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Alice von PlatenNOEL GALLAGHER (OASIS)RENATO DULBECCOFERNANDA PIVANOCAT POWERMASSIMO D'ALEMAJOVANOTTIVALENTINO ROSSINICKY HAYDENFRANCESCA PICCININIFIORELLORON ARADALESSANDRO ZANARDIALESSANDRO ZANARDI

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Nell’ordine:
Emanuele Filiberto di Savoia, 2007 – Men’s Health mag
SMC Pentax 75/Pentax 645N

Alice von Platen, 1998 – Primo Piano mag
SMC Pentax 105 + extension/Pentax 67

Noel Gallagher, 2005 – Sport Week mag
SMC Pentax 75/Pentax 645N

Renato Dulbecco, 1997 – Capital mag
SMC Pentax 105 + extension/Pentax 67

Fernanda Pivano, 2005 – Personal work
SMC Pentax 55/Pentax 67

Cat Power, 2012 – Rolling Stone mag
Hasselblad 50/Hasselblad H3DII

Massimo D’Alema, 1996 – Capital mag
Rodenstock 180/Toyo 45G

Jovanotti, 1999 – GQ mag
Rodenstock 180/Toyo 45G

Valentino Rossi, 2001 – GQ mag
SMC Pentax 55 /Pentax 645N

Nicky Hayden, 2006 – Men’s Health mag
SMC Pentax 75/Pentax 645N

Francesca Piccinini, 2011 – Playboy mag
Hasselblad 50/Hasselblad H3DII

Fiorello, 2000 – GQ mag
SMC Pentax 105/Pentax 67

Ron Arad, 1989 – Stern mag
Rodenstock 90/Toyo 45G

Alessandro Zanardi, 2007 – Men’s Health mag
Hasselblad 80/Hasselblad H3DII
Hasselblad 50/Hasselblad H3DII

Aggiornamento – FRAMED, LA CORNICE

Efrem Raimondi iPhonephotography.

Ho detto che l’avrei fatto e quindi questo è l’aggiornamento, molto leggero, al post che precede, cioè questo: https://blog.efremraimondi.it/fotografia-europea-2014/
Ieri mattina, poco prima di partire per Reggio Emilia, apro FB e vedo la fotografia qui sotto… una porzione della mostra FRAMED.
E momenti svengo: la mia, lassù nell’angolo a destra, non è ciò che avevo mandato… ne manca oltre metà! 10247378_10152215809173778_8769357830500581787_n
E da orizzontale che era, me la ritrovo verticale che è.
Ergo, non è più la mia.
Ergo, momenti svengo: m’incazzo quando alcune riviste tagliano immotivatamente, figuriamoci una mostra! Inaspettato e mai successo…
Per prima cosa vado a controllare cosa davvero ho inviato, mica di aver sbagliato… perché in effetti avevo fatto anche una verticale.
No no no! Ho mandato quella giusta.
Scrivo a Chico De Luigi. Mi risponde. Lo chiamo e ci chiariamo.
Al volo stampo e parto. A me basta chiarirsi.
Che poi, proprio una mostra con tema la cornice… che è vero che segna un limite, ma mica lo inventa arbitrariamente!
E per le riviste non si adducano motivi di impaginazione, perché è una balla… se taglio
dev’essere, non può snaturare il senso dell’immagine. Io taglio in macchina e quindi si tratta sempre di formati compatibilissimi con la stragrande maggioranza delle gabbie grafiche: qualsiasi immagine è impaginabile.
Capisco perfettamente com’è andata una volta che arrivo: le opere sono tutte contrassegnate con un numero… da 1 a 61.
La mia è la 17. Fine di qualsiasi querelle.
Ci sono evidentemente condizioni che vanno oltre la volontà.
Non sono particolarmente superstizioso, non almeno in modo convenzionale… devo però prendere atto della coincidenza.
Che poi, una volta che Chico ha rimesso le cose a posto – come da documentazione qui annessa – la fotografia in questione non ne voleva sapere di stare diritta. Come a ribadire. E infatti è storta. Almeno fino a ieri lo era.

Efrem Raimondi iPhonephotography.Efrem Raimondi iPhonephotography.

La mostra è però molto interessante. Anche lei in modo poco convenzionale: va vista come fosse un tutt’uno.
Un unico blocco esposto. Con un suo movimento compatto.
Non ha alcuna importanza chi ha fatto cosa: è l’impatto visivo dell’insieme.
A me non è neanche quasi venuto in mente di avvicinarmi.
E non ho provato curiosità alcuna nell’andare a scoprire a quale autore corrispondesse il numero espositivo.

Efrem Raimondi iPhonephotography.Perciò mi vien da dire che in realtà questa, proprio presa così, è un’opera di Chico De Luigi. Nel vero senso della parola.
Non è una collettiva se non accidentalmente, se non per necessità logica.
Ma artisticamente appartiene a Chico.

Efrem Raimondi iPhonephotography.

Per ciò che riguarda il resto del ricco programma, suggerisco di andarci non nel weekend, se è possibile, se no ci si prepari a delle code:
http://www.fotografiaeuropea.it/
Ultima cosa, non andavo a Reggio Emilia da un secolo: è veramente bella.

Efrem Raimondi iPhonephotography. CHIOSTRI DI SAN PIETRO

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Questo il report di Chico De Luigi:
http://www.chicodeluigi.it/home/2014/05/03/3-mag-5/