Io fotografo in italiano

V

Io fotografo in italiano.
E rivendico il mio idioma. Che è cifra espressiva.
L’immagine non nasce in un limbo etereo, in una volta celeste che in quanto tale non ha confini… nasce sotto, a terra, dove le cose hanno una dialettica subordinata. Si mischiano anche, ma i percorsi sono molto accidentati. E si fa i conti con i confini.
Che non sono tanto prodotto della geografia politica, disegnati e ridisegnati da una Yalta qualsiasi… sono culturali, religiosi, sociali.
E anche ideologici. Tutta farina del nostro cranio e della nostra bile.
Della nostra storia.
Della nostra idiozia e intolleranza, anche. Ma questo è.
E non è negandolo che si favorisce una dialettica, semmai si alimenta la confusione: la diversità è un patrimonio, e l’arte la sintesi massima attraverso la quale esprimerla.

È minato ‘sto post, cammino sulle uova…
Sto parlando del produrre fotografia. Che non coincide col leggerla, anche se la lingua sembra la stessa. Apparentemente…
Si dice che la fotografia in quanto immagine e non avendo bisogno quindi  della parola per esprimersi, sia scevra da incomprensione e da equivoci tipici della lingua. E chiunque, di conseguenza, è in grado di capire.
Ah sì? E allora anche di fare, senza inciampo se hai letto il libretto d’istruzioni.
La fotografia non sarà parola. Ma è fortemente linguaggio.
E il linguaggio non è scevro da niente.
Fotografare significa usarlo ‘sto linguaggio: e allora quale?
Com’è che si dice quando si ha proprietà di una lingua? Che si pensa in quella lingua.
E la fotografia perché mai dovrebbe fare eccezione?
Esiste un pensare avulso quando girovaghi con la fotocamera?
Esiste quando ritrai, con la fotocamera?
Esiste quando sbiotti a destra e a manca, con la fotocamera?
Esiste quando ti illumini di landscape, con la fotocamera?
Probabilmente avulso solo quando l’unico centro della tua attenzione sei tu medesimo… avulso sì, in un selfie narcotizzante.
Che se di biottitudine poi si vanta, narcotizza anche gli altri, noi che un’occhiata comunque la buttiamo. E voyeuristicamente ci attardiamo.

Una lingua povera, produce immagini povere.
Che se però sostenute da un apparato industriale adeguato, diventa egemone. Si legga pure Pop Art, più tutte le sue declinazioni contemporanee.
Una lingua impoverita produce immagini emule.
Non c’è alcuna fotografia internazionale, c’è uno pseudo linguaggio internazionale che produce immagini globalizzate, tendenzialmente uniformi.
Una trappola per chi possiede un patrimonio genetico.
Ogni tanto salta fuori la nuova fotografia… a turno: inglese, olandese, tedesca, cinese… e tutte hanno una forte componente espressiva di riferimento proprio. Che rivendicano.
Mai una italiana. Perché?
A me sembra di vedere molta timidezza.
A me sembra si sia smarrita drammaticità, quella che ha permeato tutta la storia dell’arte italiana. Sino ad arrivare a Sorrentino.
In fotografia boh… produciamo una prosa discreta ma senza un gesto, senza una rivendicazione chiara immediatamente leggibile.
Senza identità non siamo riconoscibili.
Io camminare come gambéro… come dire italiano? Gambero or gambéro?
Ma è lo stesso Joe…
No! Sorry… but it’s not the same: you must respect your language.
Questo non era Ovidio, ma Joe Strummer, con le idee molto chiare.

Ripartirei da I promessi sposi, e da un po’ tutto Pirandello… mi tufferei per ore in Caravaggio e in Mario Giacomelli.
E mica è tornare indietro, tutt’altro… si tratta di capire se abbiamo ancora una lingua in grado di esprimere un linguaggio alto condiviso.
E condivisibile.
Se no moriamo e vaffanculo. Che almeno è una decisione.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fotografia:
Valentina Vezzali, nel 2004 al parco della Villa Reale di Monza, per Sport Week magazine.
Pentax 645N con ottica 75 mm.
Film Kodak TRI-X PRO 320
Flash Hensel e luce ambiente.

Assistente Nicole Marnati.

Back Power

Ci si vede see you… later, domani, adesso, quando?
Comunque di fronte.
Il retro non è previsto. È presente ma non convenzionale.
Anche la memoria di noi, quella immediata, riguarda il fronte. Perché è il lato della riconoscibilità condivisa.
Poi ci sono eccezioni il cui volto è il retro.
Non alludo alle faccia da culo, sempre meno eccezione.
Intendo proprio le natiche. E questo però in subordine a una trafila che non concede sconti e che riserva la fama in assenza di veli e ritocchi assortiti.
Non le  quattro chiappe che ogni tanto fanno capolino su Facebook e contano i like, e che spesso finiscono per confondersi…  su sette miliardi e passa che pigiamo terra, è un passaporto per pochissimi: siamo cioè ben oltre Belen e le sue epigoni.
Un’istantanea biografica generalmente valida per un periodo relativamente breve.
Con obbligo di assicurazione.
A margine: è uscito il libro Bella Belen… giuro, questo il titolo, per Mondadori Electa -ELECTA!!! Ho avuto il privilegio di vederlo tempo fa… a questo mio blog il privilegio di non avere alcun obbligo di commento.
Invece il back che qui m’interessa è più ampio e riguarda chiunque. A qualsiasi età.
Sarà la curiosità che non si accontenta della facciata, una sorta di diffidenza infantile, ma confesso che una sbirciata al retro ogni tanto la do.
E può essere rivelatrice. Perché non è vero che non c’è espressione.
Il back è l’unico nostro versante che non ha immediato assillo fotogenico il che, in epoca di sovresposizione mediatica, è un vantaggio.
Insomma il back vive meglio. E tranquillamente trascorre la sua vita appiccicato alla nostra, certo di non avere compiti istituzionali o di rappresentanza.
Una volta per Stern magazine stavo ritraendo una superstar del design, di quelle che si presentano in studio ma non so come equivocano e credono di essere a Broadway, e testuale mi dice ”Non voglio essere ritratto… vai giù, prendi una negra, la fotografi di spalle e poi dici che sono io”.
Immaginatevi la faccia che avrebbero fatto i crucchi.
Comunque ho fotografato lui, perché Broadway, nel mio caso, è altrove.
Chi mi conosce bene e da un po’ sa di chi sto parlando. Qui evito, ho già troppi casini…
A volte è una dedica al resto del mondo. Che qualcuno sottolinea con uno o più tattoo, tipo l’Oscar Pistorius di questa selezione. Già…
Ma il soggetto che offre il back, cosa diavolo pensa?
Quello inconsapevole non pensa, che ne sa del mondo alle sue spalle?!
Ma l’altro, quello che è dichiaratamente retro, quello che sa che te ne stai occupando con l’aggravante di una fotocamera in mano, è certo che pensa eccome!
Perché non c’è condizione più esposta, dove sei proprio in balìa.
E si vede. Perché davvero la tua espressione, se attonita, se non vedi l’ora che sia tutto finito, condiziona l’altra faccia della luna.
Quella che non si vede mai. E che anche per questo, me ne occupo.
Rilassati! Non succede niente in tua assenza.
Al massimo non ti accorgi che me ne sono andato.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

SUBSONICAORIZZONTALE UNOFRANCESCO BONAMIGIULIO ANDREOTTIGIOVANNI BUSSEIOSCAR PISTORIUSELISABETTA CANALISLUCIANA LITTIZZETO13"WALKING" SERIESGENOVAF.LLI MOLINARIpitti donna 1988-89ARTURO BRACHETTI16OZZY

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Nell’ordine:
Laura. Cap Ferrat, 2004
Laura. Lago Maggiore, 2014
Sconosciuta. Cinema Centrale, Milano, 2014
Laura. Lago Maggiore, 2009
Subsonica, Lo Specchio della Stampa magazine. Torino, 2005
Vasco Rossi, TABULARASA, Mondadori. Deserto del Sinai, 2004
Dalla serie Orizzontale. Lago Maggiore, 2006
Francesco Bonami, Gentleman. Venezia, 2002
Giulio Andreotti, Grazia magazine. Roma, 2006
Giovanni Bussei, GQ Italia. Monza, 2000
Oscar Pistorius, Sport Week magazine. Milano, 2012
Elisabetta Canalis, Class magazine. Milano, 2002
Luciana Littizzetto, Grazia magazine. Torino, 2006
Sconosciuti. Lago Maggiore, 2014
Sconosciuta. Beaulieu sur Mer, 2003
Sconosciuta, Arte magazine. Genova, 2004
Edoardo e Francesco Molinari, Sport Week magazine. Circolo Golf Torino, 2005
Redazionale Gap Italia, Pitti Donna. Firenze 1989?
Arturo Brachetti, Io Donna. Firenze, 2008
Cardigan, 2006
Ozzy, Interni magazine. Milano-Rho, 2009.