The night is a place, not a time.
A black, Célinian space, that cleans up and takes away.
A space where darkness envelopes you as well.
But even in the pitch black, you can always find a light. And you see it clearly.
This way a match becomes a Sun.
The night forces to a different visual scale… a different order, disposed by the disproportion between what you see and what you would see. And you must acknowledge that rummaging through the shrubs and hidden corners is useless.
But what you can’t see is a subject as well as what you see.
So, drive both into your frame.
The film has an immediate knowledge of all this: in fact, it is a neutral support, whose aim is only to assist the user’s intention within the chemical and phisical boundaries of the condition that it has to register.
It does not want to save you from the darkness all around: yet, it hopes that you go along with it.
The digital, on the other hand, has a self that looks at us with contempt: its aim is to demonstrate that it can see better than us. Always.
So, when it’s night it insists to disclose every hiding place, every peaceful, dark place. That would like to remain peaceful.
That’s not a digital’s fault; that’s its nature.
It’s our fault, if we don’t put it into perspective as a tool lacking human perception.
And what about us? Do we have a perception, or do we downgrade ourselves to the laws of our registering tools?
The more the night is embracing, the more the light you find—or you bring with you—becomes tearing. And is a subject.
I deal with it just up to where it arrives, not a millimeter further.
And from there, looking at it, I expose it.
I take care of it. And let the rest be darkness.
The night has your eyes. Shut them.
La notte è un luogo.
Non un tempo…
Uno spazio nero céliniano che spazza via tutta ‘sta massa di orpelli e fastidi diurni: ‘st’accozzaglia accumulata nei secoli e che ogni mattina si ripresenta puntuale… il fatto che qualcuno riesca a sublimarla, finendo anche per essere appeso in un museo, non lenisce lo strazio di chi appeso non ci finisce.
Après.
La notte costringe a una scala visiva diversa. Ed è una manna se fai fotografia.
Perché pulisce, sottrae.
E il suo buio avvolge anche te.
Ma per quanto possa essere pesto il buio nel quale ti trovi, c’è sempre una luce da qualche parte. E la vedi distintamente.
Così un cerino diventa Sole.
Ci si misura con un altro ordine, quello dettato dalla sproporzione tra ciò che vedi e ciò che vorresti vedere. Ma la notte ti nega.
E ne devi prendere atto: è inutile andare a rovistare nei cespugli o dietro gli angoli dei marciapiedi nel tentativo ultimo di strappare alla notte una vista che non vuole darti.
Ciò che non vedi è soggetto al pari di ciò che vedi!
Perciò ficca entrambi nel tuo rettangolo.
Alla pellicola è subito chiaro. Perché è un supporto tendenzialmente neutro che non ha alcun mandato se non quello di coaudiuvare le intenzioni di chi la maneggia.
Entro il limite chimico, e fisico, della condizione che deve registrare.
Non ha alcuno scopo messianico e non intende salvarti dalle tenebre nelle quali ti trovi.
Anzi ti implora di assecondarle. Se no dà un immediato forfait.
E tu, rimani muto.
Il digitale invece no. E ha un ego che, diciamolo, ci guarda – proprio noi – con profondo disprezzo.
Il suo mandato è congenito: dimostrarci che ci vede meglio.
E non perde occasione per sottolinearlo.
Dobbiamo rimetterlo al suo posto! Cioè quello di mero supporto.
Altrimenti, se è nella notte che pirliamo, lui tenderà a pirlare per fatti propri. A rovistare tra cespugli e angoli di marciapiedi al solo scopo di dimostrarci per l’ennesima volta che lui può arrivare ovunque.
Perché è inutile: di cosa sia la percezione, se ne fotte.
Non è una colpa, è la sua natura. Mentre la colpa, e grave, è nostra se lo lasciamo fare.
Ma noi abbiamo una percezione? O ci appiattiamo al dettato del registratore di turno?
Più la notte è avvolgente, più la luce che trovi è squarciante.
Se non la trovi, portacela tu.
Fossero anche i fari della tua auto.
Che la trovi o che la porti, la luce è soggetto più che in qualsiasi altra condizione.
Più miri la luce che c’è, più è notte.
Io me ne occupo fin dove arriva. Non un millimetro oltre.
E da lì espongo senza tentennamenti dritto in faccia.
Qualsiasi faccia la luce abbia, è solo attraverso la sua esposizione che puoi restituire la notte che stai attraversando.
E non c’è alcuna delega, alcun automatismo che possa restituire la tua percezione.
Una questione di simbiosi…
La notte ha i tuoi occhi. Chiudili.
© Efrem Raimondi. All rights reserved
From the series Appunti per un viaggio che non ricordo, Polaroid 1998. Available light.
From the series Appunti per un viaggio che non ricordo, Polaroid 1998. Available light
From the series Landscape, 2014. Full frame digital camera. Flash light
From the series Landscape, 2013. Full frame digital camera. Flash light
Vasco Rossi, 2009. V-ide Eyewear adv. Medium format digital camera. Flash light
From the book TABULARASA, Mondadori 2012
Rossella Rasulo, 2014. INTERNI magazine. Full frame digital camera. Flash light
Baustelle, 2010. Gioia magazine. Compact digital camera. Flash + available light
Laura Maggi, 2012. Playboy magazine. Medium format digital camera. Flash + available light
From the series InstaRanda, 2015. iPhone 4s. Available light
From the series InstaRanda, 2014. iPhone 4s. Available light
From the series InstaRanda, 2013. iPhone 4s. Available light
From the series InstaRanda, 2015. iPhone 4s. Car lights
From the series Landscape, 2015. Full frame digital camera. Available light
From the series InstaRanda, 2015. iPhone 4s. Available light
From the series InstaRanda, 2014. iPhone 4s. Available light
From the series Landscape, 2015. Full frame digital camera. Available light
From the series Gattini, 2002. 35 mm color negative film. Flash light
© Efrem Raimondi. All rights reserved
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