Italo Lupi – Interview


Italo Lupi by Efrem Raimondi ©Efrem Raimondi

Italo Lupi…
In realtà non sono molte le persone nei confronti delle quali ho un debito di riconoscenza.
Italo Lupi è una di queste.
Stima totale.
E vero affetto.
Non vado oltre… aggiungo solo che per me è un onore collaborare con lui.
E sono davvero orgoglioso di avere delle immagini pubblicate nella sua Autobiografia grafica, uscita nel 2013 e che il New York Times ha incluso nella top ten dei libri illustrati.
Mica chiacchiere…

L’intervista, integrale, segue un po’ il tracciato del libro.
Che è qualcosa di spettacolare. Per contenuto e forma.
Realizzata nel giugno scorso, è rimasta ferma tutto ‘sto tempo in attesa del ritratto che pubblico.
E che proprio non si riusciva a fare per diversi motivi.
Il 16 dicembre ci siamo riusciti.
È uno dei tre che ho realizzato. Gli altri al momento li tengo per me.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

I N T E R V I S T A   I N T E G R A L E

E.R.  Autobiografia grafica è un libro elegante, colto, ricchissimo… un libro di grande potenza che attraversa quarant’anni e più del tuo percorso.
Ed è di una magnifica leggerezza, a partire dalla scelta editoriale: non ha una cadenza cronologica, perché?

ITALO LUPI. Bah, perché mi sembrava noioso dare una sequenza strettamente cronologica a un libro che invece si muove attraverso dei segmenti di vita che hanno percorsi differenti, ma che riconducono però ogni volta a qualcosa che mi pare chiaramente espresso… si parla di quand’ero ragazzo, poi si parla dei primi progetti, poi si salta a progetti abbastanza recenti per passare a una divisione un po’ schematica in argomenti tipologici differenti: dai manifesti agli allestimenti, dalla piccola architettura all’editoria ecc. però evitando che ci fosse una cadenza temporale stretta anche perché il titolo AUTOBIOGRAFIA GRAFICA promette un po’ di più di quello che poi il libro dice… perché non è una vera e propria biografia. Però il connettere ogni lavoro fatto a un periodo, a una riflessione sulle esperienze di vita, mi è sembrato una cosa che potesse essere un attivatore, passami il termine, di emozioni, ricordi, cose che ognuno di noi macina dentro di sé mentre costruisce i propri lavori.
Per cui anche culturalmente, evitare la cronologia mi sembrava cosa più leggera e meno didascalica… meno scolastica insomma.
Che poi non è un escamotage per evitare la noia, perché una vera biografia non è affatto noiosa se racconta di una vita avventurosa… forse la mia non è stata così avventurosa – risata – mi sembrava però più intelligente riuscire a connettere le cose per dei fili sottili che si intrecciano lungo il percorso di una vita…

Una sequenza però esiste… non sarà cronologica ma esiste un fil rouge…
Sì certo! Ma è un po’ come quando fai un’impaginazione – e poi ti dico perché questo libro mi ha insegnato molto sull’impaginazione –ti muovi partendo da uno schema mentale, da una gabbia che infrangi continuamente perché non è la gabbia in sé che rende ben fatto il lavoro… ma è la gabbia che ti riordina e ti dà una dimensione, e come spesso succede, quelli che sono dei recinti ti danno più ordine e intelligenza e anche più fantasia, non una fantasia dissennata. E allora questo fil rouge esiste, e spero si avverta con la costanza di un certo affetto verso le cose e le persone… il tributo dato a tutti quelli a cui devo qualcosa, pubblicando non solo miei lavori ma anche i lavori di chi mi ha influenzato e mi spiace che il libro abbia solo 400 pagine perché volevo mettere ancora più citazioni e contributi…

Quante pagine in più ci sarebbero volute?
Tante! Per mettere tutti quelli che hanno contribuito… un affetto non solo nei confronti delle persone che mi hanno veramente aiutato, ma anche per le cose fatte, per la manualità… il fatto di essere onesti con se stessi e con la gente: cioè sfuggire da un certo conformismo, che in qualche modo sto constatando, in modo benevolo, sulla mia pelle.

Interessante… cioè?
Ma… io son sempre stato abbastanza appartato malgrado facessi un lavoro molto pubblico come direttore di Abitare o art director di Domus… però non ho quasi mai partecipato a dibattiti, non ho mai concesso interviste inutili, salvo questa naturalmente…
Be’, questa è la più inutile che potevi fare ed essendo l’unica ce la possiamo in qualche modo concedere – ridiamo entrambi
… un certo conformismo, una certa improvvisa deferenza dopo la pubblicazione di questo mio libro… mi danno il Compasso d’Oro alla Carriera… mi chiedono interviste… insomma tutto avviene un po’ trainato da questo piccolo successo: mi chiamano a parlare, io mi rifiuto… squillano i telefoni… insomma è tutto un po’ facile… stamattina mi telefonano per prendere l’impronta della mia mano…

Insomma ti infastidisce abbastanza si direbbe… secondo te è un po’ il frutto del surplus mediatico nel quale ci troviamo…
Certamente sì. Un surplus mediatico che si indirizza a delle persone che acquistano un minimo di notorietà. Che poi intendiamoci, io sono molto contento perché su questo libro sono uscite due pagine sul Manifesto, una pagina su Repubblica, una pagina sul Corriere, una sul Sole 24ore, una su La Lettura, una su La Stampa, cinque pagine su Domus… più di così…

A proposito, il New York Times ha incluso Autobiografia grafica nella Top Ten dei migliori libri illustrati del 2013… così, a margine.
Sì, e a proposito c’è un’intervista di Steven Heller, che firma la colonna Visuals per la NYT Book review… personaggio molto importante negli Stati Uniti per il design e la grafica… grandissimo conoscitore della grafica italiana a partire dagli anni ’20…
Una recensione molta bella ed esauriente è stata fatta da Elisa Poli su Domus on line. Davvero ben fatta.
E, insomma, sono abbastanza sorpreso della risonanza che questo libro ha avuto… tu c’eri in Triennale alla presentazione?
Certo che c’ero! E c’era una marea di gente fuori che non trovava posto… è stata una serata molto bella… ti avrà fatto molto piacere immagino.
Ecco, io credevo che al massimo avremmo riempito le prime cinque file… mi ha fatto molto piacere perché mi sembrava che non ci fosse quell’esibizionismo mondano che spesso c’è in queste cose, anche giustamente: in questo caso mi sembrava che fossero tutte persone che avevano lavorato con me, o miei amici…

Be’, ma c’era un pubblico anche molto trasversale, non necessariamente legato al design o alla grafica stretta: ho visto una gran bella Milano quella sera.
Ma è chiaro che non mi dispiace affatto che ci siano state quelle critiche che ho citato, serie e ben fatte, è un certo surplus che si presenta come un’ondata che trovo più che fastidioso, inutile… che sembra un po’ il riflesso del ”non si fa mai fatica”… in fondo di cosa mi vanto degli anni passati a dirigere Abitare se non del fatto di aver cercato di scovare delle nuove intelligenze che non avevano nessuna appiglio o credenziale di vantaggio per me e per tutta la redazione, che a questa ricerca partecipava, ma di avere pubblicato tutti ragazzi che adesso hanno notorietà: sono stati tutti pubblicati per la prima volta da noi su Abitare… fotografi di cui mi servivo, tra cui anche un certo Efrem Raimondi, o Toni Thorimbert… erano persone che a quell’epoca erano molto giovani. Anche illustratori… insomma ho cercato di essere libero da condizionamenti di varia natura dall’inizio del mio lavoro. E questo credo che mi abbia ripagato 40, cinquant’anni dopo perché credo di non aver mai fatto, e lo dico con molta serietà, nulla per interesse personale o di aver mai fatto cose legate alla pubblicità quando facevo le riviste, mai! E questo viene ripagato… felice di aver fatto un libro che trovo divertente soprattutto perché è molto nuovo come miscuglio di professioni, e di cose della vita, di aver riprodotto grandi dei disegni non miei ma di altri che hanno contribuito alla mia crescita mentale, culturale e affettiva. E questo non è così comune.

Hai dichiarato che questo è un libro sulla nostalgia ma non è nostalgico: ci spieghi p.f.?
Sì, questa è una frase di Giannino Malossi e che io ho ripreso. Ed è così… è vero… ma non è che abbia nostalgia, ho un bel ricordo di tutte le cose che mi son capitate nella vita… son stato fortunato, non so…

Subito all’inizio, decrivendo gli anni del ginnasio con quelle che chiami prove di manifesti per cose che mi erano care, queste le descrivi come ingenue: che valore ha per te l’ingenuità, quella iniziale? È possibile in qualche modo mantenerla?
Credo sia assolutamente fondamentale mantenerla, l’ingenuità, che ti porta poi a dei risultati che sono meno ingenui di quando facevo certe cose con la tempera troppo diluita ecc. però l’ingenuità, cioè porsi un po’ vergini di fronte ai fenomeni che devi affrontare e farli diventare come delle iconografie generali, è necessario.

La tua attenzione alle font tipografiche mi è sempre parsa evidente… il rigore col quale tratti il carattere fa pensare che tu lo ritenga di per sé soggetto: vero?
Certamente! Non è vero rigore… perché non mi pare di essere stato rigoroso. Non so se hai letto il ricordo che ho fatto di Massimo Vignelli sul Sole 24ore di domenica primo giugno… Lui aveva un grande rigore, limita a tre caratteri, quattro con l’aggiunta del Futura, l’utilizzo che lui fa della tipografia.
Do molta importanza al carattere tipografico, però penso che i caratteri siano tanti… ce ne sono di bellissimi e nei primi tempi di utilizzo del computer sono stati distrutti da una mania deformante… stringi, allunga, tira… cose del tutto inutili. Adesso non dico che si sta ritornando all’ordine, ma è più chiaro che già è stato detto tutto nel campo dei caratteri. Per cui mi sono sempre servito dei caratteri di buon disegno, anche molto differenti perché passo dal Caslon corsivo, all’Helvetica ovviamente… News Gothic, ai caratteri con le ombre…

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Ce n’è uno che prediligi in assoluto?
Potrei dire Helvetica e Bodoni sicuramente… sono due caratteri fondamentali: uno con le grazie – come dicono gli inglesi serif – e uno sans serif come l’Helvetica o il Futura, certamente sì. Però l’aver usato in modo un po’ bulimico ogni tipo di carattere…non so…un pregio, un difetto… insomma me ne sono un po’ infischiato di essere così coerente, anzi l’incoerenza è una cosa che si legge un po’ nel libro, perché m’interessa di più… la difficoltà nel mio lavoro è quella di avere la capacità di selezionare, di eliminare molto di ciò che ti viene in mente quando ti propongono qualcosa e di scegliere la migliore, cosa che non è detto che sia avvenuta: la sottrazione è un punto di difficoltà ma è fondamentale.

Parlavi di gabbia prima, di un luogo che in qualche modo dà una dimensione… mi viene da chiederti: diresti a un giovane che avere degli argini, un recinto è importante e aiuta?

Ma di aiuto mentale! In tutte le cose… nella cultura e anche in politica, perché uno che sa darsi degli argini, dei margini, è ancorato al realismo delle cose.
E se non sei ancorato al realismo non riesci a fare delle cose di piena fantasia… chi pensa che non ci sia nessun limite poi in qualche modo implode… soprattutto fa delle cose inutili e nulla è peggio dell’inutilità e del surplus che si sta creando.
Questo libro, a proposito di gabbia, mi ha insegnato una cosa che ritengo fondamentale da utilizzare: questa volta mi muovevo tra le pagine senza avere il minimo schema di gabbia. Mi sono semplicemente mosso a seconda della situazione, se dare più o meno peso alla parola piuttosto che al disegno o alla fotografia. Un’enorme libertà, proprio infischiandomene… però dico questo arrivato alla bellezza della mia età – ride – mi sono proprio divertito

Cos’è un MARCHIO?
Quale il tuo approccio nel realizzarlo?

Il tentativo che faccio è di sintesi molto forte, molto evidente…
poi non sempre ci si riesce, perché la vita è più difficile di quanto si pensi.
Quelli che più amo sono quelli che o attraverso il carattere tipografico o attraverso la sua trasformazione in un’immagine riescono a dare del soggetto di cui tu fai un logo o un marchio, un’idea immediata.
Posso alludere al Museo Poldi Pezzoli… non è una MPP scritta storta o in diagonale… e racconta tutto perché moltiplica l’icona principale, la Dama del Pollaiolo e te lo rende leggibile, forse indimenticabile. Un marchio è quella cosa che nella sintesi più estrema esprime qualcosa di più che non sia quello che tu solo pensi, ma che vedendolo possono pensare anche gli altri.

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Ci parli del manifesto per i 50 anni della Vespa, p.f.?
Se dovessi rifarlo non farei l’errore che ho fatto. Perché son due i manifesti: uno che è quello che ho fatto con la Vespa di cartone ondulato che poi esecutivamente ha fatto Marina del Cinque che lavorava nel mio studio… ma è l’altro l’errore, quello della metropolitana di Londra, un diagramma che adesso si vede dappertutto, ma allora, nel 1996, non si usava affatto. E l’errore è averlo fatto su fondo nero perché non ti ricorda la metropolitana di Londra che è sempre stampato su fondo bianco. Anzi, voglio ridisegnarlo…

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Sei stato art director di Domus, direzione Mario Bellini, dal 1986 al 1992. Poi hai diretto Abitare fino al 2007: quali le differenze del tuo intervento?
Tra l’art direction e la direzione? Non molte. C’è sì una differenza tra le due riviste, ma a Domus facevo un po’ più dell’art director… non dirlo a Bellini però è così, con lui si discuteva, e lui suggeriva tutto, ma ascoltava anche le mie proposte, si facevano le cose… E poi penso che il termine art director debba essere superato da art… non so, da editor, da redattore in genere: in fondo trovo che non si tratta di impaginare bene una rivista, ma devi avere una memoria lunga delle cose che hai visto. E credo di avere molta memoria delle immagini che ho visto, che ho preso e che ho sfruttato… perché poi io son rimasto con le urla del ’68 che gridavano la proprietà è un furto, e oggi mi viene da sorridere con un po’ di rabbia quando sento quelli che se pubblico una fotografia che è diventata ormai un emblema di un periodo, mi arriva – dagli stessi – la lettera dell’avvocato. Ma la cosa peggiore è che è accaduto addirittura per una città… ho fotografato una poltrona a Parigi e il comune mi ha mandato una multa perché non avevo pagato i diritti sull’uso improprio dell’immagine della città. Questa idea di fare tutto per profitto è orrenda…
Va be’…
La vera differenza comunque tra Domus e Abitare è che mentre la prima era una rivista che si rivolgeva esclusivamente a professionisti architetti o designer, abituati al linguaggio e poi non essendo io il direttore… mentre con Abitare mi rivolgevo a un pubblico molto più vasto, variegato e trasversale. Il merito di Abitare quando lo facevamo noi, era quello di avere una grande curiosità che si espandeva in campi molto differenti da quelli di cui solitamente le riviste di architettura si occupano. Adesso potrei dire è proprio la curiosità a mancare, anche per quelle web: bisogna avere una curiosità che va al di là dei confini disciplinari di cui ti occupi come rivista, perché sono queste curiosità che danno il sale alla minestra.

Cos’è il disegno urbano e quali le ragioni di intervento, sia nel tessuto metropolitano che nella piccola cittadina? I tre anelli che incorniciano la Mole Antonelliana di Torino sono da intendere in questa direzione? Com’è nato il progetto?
Il disegno urbano… è come nel ‘700, si fa per fare festa, anche se non è solo questo. E si interviene soprattutto in occasione di avvenimenti, come per esempio le Olimpiadi di Torino. E a questo proposito, a chi genericamente accusa di disonestà nelle grandi opere in Italia, vorrei ricordare che per le Olimpiadi di Torino sono affluiti molti miliardi eppure non c’è stato un solo caso di frode o di imputazione, e sono molto orgoglioso di avere partecipato a un’esperienza del genere, che ha trasformato una città bellissima come Torino, lasciando anche una scia…e un grande ricordo nella città.
E allora, perché fare arredo urbano? Perché certe cose necessitano di una segnalazione più forte e perché no, anche di festa. Alcuni interventi urbani danno gioia alle persone, anche inconsapevolmente. E anche per piccole cose. L’Expo di Milano ci ha dato l’incarico di disegnare le bandiere delle varie nazioni che partecipano all’evento. A partire dalle prime 12 che hanno aderito all’Expo e poi via via fino a arrivare alle attuali 144 ufficiali. Queste bandiere sono due anni e mezzo che sono esposte, e sono ancora perfette, ben tirate ed è un esempio di come le cose possono essere fatte bene: una struttura di grande pulizia dotata alla base di una seduta che ospita del verde e dove ci si può sedere. E siamo gli stessi, Ico Migliore, Mara Servetto e io, che abbiamo riempito di rosso Torino con le bandiere per l’Olimpiade. L’arredo urbano si può fare bene, anche nelle piccole cose che poi sono quelle che danno davvero gioia a chi la città la abita. Penso in buona sostanza a un arredo che poi resta…

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Come per i tre “anelli” della Mole a Torino…
Sì… pensa che il quotidiano La Stampa aveva fatto un referendum e il 99% dei torinesi ha voluto il mantenimento anche oltre il periodo. Adesso finalmente li hanno tolti, perché troppo a lungo poi le cose annoiano…
Che poi l’idea, non tanto di fare i tre anelli, prima rotondi e infine quadrati, ma di illuminare la Mole è stata di Anna Martina… ed è stato molto divertente farlo… anche seguire tutta la parte che ha riguardato issare fisicamente e che è stata opera di una squadra di scalatori, proprio di quelli che vanno in montagna, e che normalmente si occupano della pulizia dei vetri dei grattacieli… e anche della Mole stessa che tra l’altro ha una particolarità e cioè che ogni metro e ottanta per 1,80 c’è un anello di ghisa robustissimo per cui tutta l’operazione è stata molto semplificata, sia salire che fissare l’opera… Alessandro Antonelli, l’architetto della mole, era davvero un genio.

Cos’è stato Printed in Italy? Meraviglioso libro del 1988…
Sì, molto riuscito – sorride. Un esercizio… un bell’esercizio di grande libertà e soprattutto di dimostrazione al cliente, l’Associazione Nazionale Italiana Industrie Grafiche Cartotecniche e Trasformatrici, che l’idea dalla quale era partito e cioè di fare un libro che dimostrasse la potenza dell’associazione attraverso una serie di vedute aeree di stabilimenti tipografici… ma ti immagini alla terza, quarta foto di stabilimento la noia? E allora ho semplicemente suggerito di utilizzare una serie di tipi di stampa differenti, con carte differenti, di autori differenti, chiamare un po’ tutti i grafici del mondo, che era più piccolo di quello attuale… insomma un esperimento e davvero un divertimento notevole, con una qualità di stampa superba a cura della Tipografia Meroni…
Era l’ultima questa, vero?

Abuso del tuo tempo: chi era e cos’è stato Achille Castiglioni?
Un simpatico intelligentissimo papà…
Be’ però! Questa mi sembra una risposta esaustiva…
Sì… – sorride.

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Hai lavorato con diversi fotografi, per esperienza diretta posso dire che è un vero piacere collaborare con te, perché la dialettica diventa elemento fondamentale del percorso creativo: quale il tuo rapporto con la fotografia? Cosa chiedi a un fotografo? Tra l’altro se non ricordo male tu fotografavi…
Sì… ho fatto anche interi numeri di Abitare con i miei reportage fotografici… adesso non ho più tempo né voglia forse…
Vero, ho lavorato con diversi fotografi. Qual é il rapporto? Ma… innazitutto di tipo realistico, cioè la forma delle cose. Non è che non sopporto, perché non è così, però quando leggo e vedo giovani fotografi che fotografano i margini… dopo venti volte che vedo dei marciapiedi rotti la cosa m’interessa meno. A me piace fotografare con delle persone che hanno sangue nelle vene e un interesse reale per le cose della gente… e di quelli che ho scelto, coi quali ho collaborato, non mi sono pentito… di nessuno, e non solo dal punto di vista professionale ma anche sul piano della dialettica, dello scambio di idee, della discussione… poi non sono un grande teorico…

Per concludere, che idea hai dello stato del’editoria periodica italiana?
É il momento più alto della sua storia, ma non solo italiana… un po’ in tutto il mondo – ride proprio – Però è tragico… tragico pensare che riviste come… va be’ non farmi dire…

Ultima. Proprio alla grande… il Compasso d’Oro, che hai appena ricevuto…
Sì, alla “Carriera”… No, non me l’aspettavo… averlo ricevuto insieme a altre persone… Armani… Mendini… Sapper… e altri che obiettivamente hanno una notorietà maggiore della mia, mi ha fatto inorgoglire e un po’ intimorire a dire il vero… mi sembra sempre poi quelle cose alla Carriera che vengono date alla fine della professione attiva, e allora sai… dal sapore un po’ tombale e invece io spero di no! A parte gli scherzi è stato un gesto davvero affettuoso da parte dell’ ADI…  – Associazione per il Disegno Industriale.

Be’ insomma… se prendiamo appunto la tua Autobiografia Grafica che è un condensato notevole del tuo lavoro nel corso di questi anni; è anche un momento di sintesi e per qualche raro smemorato un momento di riflessione su un percorso alto che è stato molto importante…
Ma in effetti mi piacerebbe molto vincere il prossimo Compasso d’Oro per il libro… quello mi piacerebbe certamente, forse sarebbe giusto… nel senso che è un libro insolito soprattutto perché cambia molto l’impianto solito delle monografie nel campo del graphic-design e del layout exhibition design… perché spero sia proprio una riflessione sulla disciplina progettuale, sulla cultura, sulla vita.

Milano, 10 giugno 2014
© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Autobiografia grafica, Italo Lupi.
Corraini Edizioni, 2013.
378 pagine, illustrato, rilegato, 20,7 x 26,5 cm.
€ 50,00

AGGIORNAMENTO 9 NOVEMBRE 2015

ITALO LUPI BY EFREM RAIMONDI

Politecnico di Milano: Laurea Magistrale ad Honorem in Design della Comunicazione.

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26 thoughts on “Italo Lupi – Interview

  1. Efrem, dai font della vostra intervista trasuda empatia, ma tanta e pensi a quanto sono preziosi certi incontri.
    Poi, pensi pure alla voglia di avere tra le mani Autobiografia grafica…

    p.s. Io Italo Lupi mica lo conoscevo.

  2. Una bellissma intervista, che ho riletto con piacere. Un distillato di cultura e ricchezza mentale. La rileggerò ancora – Lupi dice tantissime cose con poche parole. E nel ritratto hai trasferito la sua meravigliosa leggerezza

  3. “ti muovi partendo da uno schema mentale, da una gabbia che infrangi continuamente perché non è la gabbia in sé che rende ben fatto il lavoro… ma è la gabbia che ti riordina e ti dà una dimensione, e come spesso succede, quelli che sono dei recinti ti danno più ordine e intelligenza e anche più fantasia, non una fantasia dissennata”

    così illuminante che brucia

    • illuminante eh, Maurizio? è questo che per produrre davvero, qualsiasi sia la destinazione di un prodotto iconografico, una fotografia, si deve fare.
      liberi tutti è solo un suicidio.

  4. Letta, tutta. Lunga ma leggera e interessante. Ti ci ho ritrovato, perdona la piccola presunzione dato che ti conosco davvero poco per dire una cosa simile ma ho trovato molte assonanze col tuo modus. Mi ha colpito la frase “se non sei attaccato al realismo non riesci a fare cose di piena fantasia” un ordine che ti permette di spaziare ma di non andare oltre.
    Grazie come sempre.

    • sì un po’ lunga Fabio. ma appunto come dici, leggera. è perché tutto è molto semplice. tanto che anche il paradosso trova forma e concretezza.

  5. Leggere lentamente e sperare che non finisca troppo presto, rassicurarti nel vedere che il cursore sulla barra verticale a destra ti indica che manca ancora un bel po’ alla fine, e poi rileggere ancora. Bella questa intervista, diversa dalle solite, ha il tono di un piacevole dialogo intimo, in cui casualmente e non invitato, ma fortunatamente, ti trovi ad ascoltare.
    Grazie

    • è diversa sì, Janas. se non altro perché abbiamo collaborato a diversi lavori. e perché a lui devo molto. ero molto giovane e sconosciuto quando ho bussato al suo studio… è proprio anche un legame affettivo per me.

      e poi forse è diversa anche perché si entra nel merito delle cose. e Italo Lupi sa farlo con precisione e leggerezza.
      mi fa piacere te la sia goduta. ciao!

  6. @Vilma – Figurati! Assolutamente vero: Efrem su alcune questioni è sfuggente :-)
    Penso comunque come te chela fiducia di una persona come Lupi non sia riposta a caso. Ho comperato il libro! Era tanto tempo che non vedevo tanta bellezza in editoria: una storia bellissima!

  7. Caro Efrem, mi sono gustato la tua intervista a Italo Lupi e le immagini del libro, e ho voluto subito ordinare una copia! Erano anni che non prendevo più niente di grafico, avevo un po’ lasciato perdere anni fa perché le produzioni (almeno quelle che vedevo in giro) si limitavano a pubblicare lavori di vari studi più o meno internazionali ma senza dare un messaggio; ultimamente i libri erano carrellate di lavori scelti non si sa come, e non comunicavano niente. Invece leggendo la tua intervista e vedendo le immagini, ho avuto le stesse sensazioni che avevo quando, poco più che ventenne, cercavo i libri di grafica per nutrire il mio spirito. Quindi non vedo l’ora di riceverlo e di mettermi lì a sfogliarlo, toccarlo, sentire l’odore della carta; come facevo una volta. Grazie Efrem!

  8. quelli col sangue nelle vene, per necessità si guardano attorno. hanno coraggio e sono curiosi. chi no si riflette nel proprio post ombelicale…

  9. Questa intervista è coerentemente elegante e considerando la natura schiva di Lupi, una bella eccezione: complimenti quindi per avergliela fatta. Il ritratto pubblicato è anch’esso coerente: semplice e molto profondo, diretto e delicatamente leggero. L’insieme un bel regalo di Natale: grazie!

  10. @Valeria – grazie dell’appoggio, ma Efrem è più sfuggente di un agente segreto……..
    @Efrem – Non avevo dubbi che il riflesso fosse voluto, come del resto il muro scrostato bisognoso di gessista (scusami, deformazione professionale!).
    Eri molto giovane ma eri già quello che saresti diventato, Lupi evidentemente non ha dato la sua fiducia alla cieca.

  11. Efrem, perché gliela avevi nascosta? Non hai risposto peró a Vilma: perchè questa e non le “punk”? Scusa ma vorrei saperlo anche io :-)

    • @Valeria – non mi piace far vedere delle immagini non finite… in questo caso tra l’altro non ero attaccato al computer, ma registravo su scheda. per cui era il monitor della fotocamera: niente di peggio. non si guardano le immagini così. con l’analogico è già diverso perché il polaroid, che era usato come test, a volte addirittura definitivo, era molto più simile a ciò che sarebbe stata poi l’immagine finita. la postproduzione c’entra poco… insomma non mi piace.
      le due punk sono primi piani. forti. molto forti. trovo che nella circostanza questa descrivesse meglio l’immagine che italo lupi ho.
      così ho risposto anche a Vilma.

  12. Credo che la recensione di Elisa Poli ‘disegni’ in modo impeccabile la figura di questo ‘designer’ di cui personalmente ho sempre apprezzato l’eleganza, la ricerca sempre e comunque di un risultato estetico, in una lettera, in una scritta, nella materia, nell’idea, nelle parole di questa intervista ricca di notizie e al tempo stesso misurata, scorrevole, profonda e leggera: un signore elegante, con le mani in tasca, le maniche rimboccate e pantaloni gialli portati con raffinata disinvoltura, che ci guarda senza ammiccamenti.
    La ‘scelta’ della foto è tua o ha contribuito anche Lupi?
    Perché è stata scelta quella e non le altre due, perché uno sfondo notturno, noto che photoshop non è intevenuto neanche per correggere lo scrostamento del muro, forse si intavede il lampo di un flash ………

    • @Vilma – non è mia abitudine vantarmi di niente… ma questa intervista è davvero una chicca. per le dimensioni, reali, di italo lupi. che appunto non è incline ad alcuna sovraesposizione. e neanche alla semplice esposizione a dire il vero: un gigante col quale ho avuto la fortuna di collaborare. ci conosciamo da molti anni… ero molto giovane, come lui dice. e non ero nessuno. non che adesso, ma allora! nei suoi confronti ho una stima formato ultra. e un sincero affetto.
      forse è a questo che devo questa “intervista”.
      quanto al ritratto pubblicato: la scelta è mia. le altre due sono dei primissimi piani molto forti. punk direi. italo lupi è stato molto cortese e si è lasciato “guidare”. ha intravisto qualcosa al volo mentre scattavo. ma questa che pubblico, tu pensa, no. gliel’avevo nascosta. credo sia stata una sorpresa anche per lui.
      vero, col flash. un ring flash per essere precisi. non è un notturno… era un po’ buio, ma la diversa esposizione inside/outside accentua il tutto. ovviamente il riflesso era desiderato. photoshop è naturalmente presente. ma come sempre per quel che mi riguarda è discreto. e non ho ritenuto sostituirmi al gessista per lo scrostamento: se c’era e non è stato sistemato, un motivo ci sarà, ho pensato.
      elegante… l’ho sempre visto così. è naturalmente elegante a 360°.

  13. Bellissima intervista! Complimenti a Italo Lupi: un grande sul serio. E naturalmente anche a te: questo Blog è uno spettacolo! Molto bello il ritratto: e gli altri due? Ciao!

  14. Una vera chicca: splendida intervista a una persona che ha dato molto. Un vero grande. Sai che il ritratto che gli hai fatto Efrem è splendido? E gli altri li tieni solo per te? :-)

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