The cannonball woman by Maria Serena Patanè

Ho conosciuto Maria Serena Patanè durante un master (ma che diavolo è un master?).
Il fatto in sé è poco significativo… ci si incontra dove capita.
Conoscersi invece prevede un passaggio ulteriore. Mai gratuito.
Quello che serve a capire se una persona ti piace o no. E se quello che fa, idem.
Maria Serena idem.
The cannonball woman è un lavoro del 2008, presentato per l’esame finale alla Royal Academy of Art, L’Aja (Den Haag).
Un piccolo prezioso libro autoprodotto, rilegato, 21,5 x 14,5 cm.
Testo originale in eng: qui il pdf della traduzione in ita.
Testo-IT-thecannonballwoman

© Maria Serena Patanè – All rights reserved,

Il sito di Serena Patanè: http://www.serenapatane.com

HBTY!

Randagia tirolese, mon amour © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Questo blog ha compiuto un anno 1 giusto un mese fa…
Siamo giovani! Poca esperienza ma tanto entusiasmo.
Come si contano gli anni di un blog? Cioè, mica possono corrispondere al crono umano…
E visto che è di Kronos che si parla, mi piace rimbalzare dritto al tempo felino, al divino gatto, che per uno dei nostri lui di anni ne fa sette.
Quindi a questo blog, che al gatto si è inchinato e non perde occasione per omaggiarlo, attribuisco un’esperienza di sette anni.
Così, arbitrariamente e senza ragione.
In questo spazio ho incontrato persone che non conoscevo.
Quelle che hanno commentato.  Alcune poi de visu.
E certamente, almeno mi sembra, ho incontrato anche coloro che non commentano ma che di qui passano.
Non li conosco. Ma se li incrocio li riconosco. Oppure mi aiutano e si fanno riconoscere.
Io non distinguo più tra i due approcci, chi scrive e chi no.
All’inizio pensavo fosse importante commentare perché era un segno tangibile di presenza. Una cortesia anche.
In questo anno trascorso ho capito che no, che la presenza non ha urgenza di manifestazione. Può anche essere silente.
Per cui tutti benvenuti!
Da più parti mi arrivano inviti a partecipare a forum, gruppi ecc.
L’ho fatto una volta. Non lo faccio più. Perché se questo spazio si dichiara polemico, quello dei forum è luogo di belve incazzate.
Dove le ottime intenzioni dei promotori (alcuni, mica tutti) svaniscono nel battere di quattro post. Perché c’è sempre qualcuno che fa la gara di bigolo.
Per me la fotografia è roba seria (e non seriosa) che non si riduce a una gara di postulati e cliché. Manco fossimo Caravaggio…
Solo una cosa per favore… qualora dovessi sbrodolarmi addosso, ammazzatemi.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

La prima pubblicata © Efrem Raimondi. All rights reserved.

 

Oggi me la tiro

Non è mio costume… ma oggi me la tiro.
Prima il regalo di Luigi Fiore dalle pagine del suo splendido blog nonsologol. Inaspettato e emotivamente coinvolgente, perché mi ricorda un sacco di cose:
http://nonsologol.wordpress.com/2013/03/17/efrem-la-butta-sempre-dentro/
Poi questo articolo di Vilma Torselli per Artonweb. Anche questo inaspettato. E tosto come sempre:
http://www.artonweb.it/fotografia/articolo38.html
Nelle stesse 24 ore… ringrazio entrambi per il graditissimo regalo.
Perché è di questo che si tratta… io ero assolutamente ignaro.
Me li sono trovati lì. E adesso stanno anche qui.
Tra l’altro questa cosa di Gerhard Richter l’aveva dichiarata anche Photology condividendo un mio post Facebook col quale rimbalzavo all’articolo INSTAGRAM (qui, due turni dietro).
E io che conoscevo vagamente di nome Richter (ignoranza senza confine né pudore), adesso mi ci metto. E vado a vedere.
Però intanto un po’ me la tiro. Un pochino dai, mica mi allargo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

 

INSTAGRAM

INSTA 10, marzo 2013 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Guardo il Web ma qui viro in una sola direzione.
I social network sono l’ambito di amplificazione di atteggiamenti individuali deteriorati che trovano finalmente traguardo sociale. E l’applauso.
Ci sono persino le claque. E neanche portate da casa… si autogenerano.
Questo riguarda tutti i social network che conosco e frequento: Facebook da un paio d’anni, Twitter dopo che Red Ronnie m’ha fatto una testa tanta in occasione della mia co-partecipazione a una puntata del suo meraviglioso Roxie Bar TV, per cui primo tweet il 13 febbraio complice Rossella Rasulo che mi ha istruito.
E adesso Instagram. Complice nessuno salvo un paio di dritte di Settimio Benedusi.
Non ho idea se ce la faccio. Sono molto franco, io non uso giri… mi sembra tutto un circo. Per fortuna gli animali siamo noi.
Almeno questo lo risparmiamo alle altre specie.
Finché si trattava del solo Facebook potevo reggere, anche perché io sono un punk di prima generazione… mi affeziono alle cose che capisco. Le altre le rifiuto. Di Twitter capisco poco, mi sembra un soliloquio. Più utile forse. Ma mi è emotivamente distante. Almeno per ora.
Instagram è invece faccenda molto seria. Non entro nel merito della menata dei diritti ecc. ecc… chi se ne frega, al momento.
Prima ero estraneo e non ci pensavo. Adesso ci penso eccome!
Perché sono un fotografo inattuale. Uno che dell’attualità non sa che farsene… non mi dice niente che io non veda. Mentre a me, in fotografia, interessa ciò che non si vede. E che per prendere forma e voce ha bisogno di me. Nel pieno delle mie facoltà.
Tante o poche che siano, purché mi riconosca.
Si dice che Instagram sia la Polaroid attuale. Non è vero.
In che cosa differisce da qualsiasi altra fotografia realizzata col cellulare? Nella sostanza in niente. Quindi anche qualsiasi altro sistema, organizzato o meno in forma social, potrebbe rivendicare l’attributo.
Instagram ha a che fare con la Polaroid solo perché è istantanea.
E usa una gabbia quadrata. Ma c’è chi si sta già lamentando.
Mentre però le pola si confrontavano con un istante dilatato e molto personale, le instagram click trovano ragione di vita nell’omologazione di un format immediatamente mediatico che ha raggiunto 100 milioni di utenze. Utenze…
In questo forse è davvero l’instant per eccellenza.
Su La Stampa.it del 28 febbraio leggo: Unisce la macchina fotografica e la camera oscura, illude ogni utente di essere il nuovo Henry Cartier-Bresson…
A parte l’illusione bressoniana e il rapporto con l’istante, che ci sarebbe da dire tanto ma non adesso, il tema della cosiddetta camera oscura è rilevante.
La serie di filtri che accompagnano l’applicazione sono ”la camera oscura”. A furia di parlare come conviene al marketing finisce che ci si crede. In realtà ‘sti filtri sono semplicemente degli applicativi di effetti. Che hanno lo scopo di rendere accattivante lo scatto originale. E qui siamo al punto.
Accattivante, cioè mediaticamente commestibile… che ammicca al gusto degli adepti. Questo ci permette di accumulare seguaci. Proprio così, seguaci.
Se questo è lo scopo nulla da dire. Se il riconoscimento mediatico è il fine, nulla da dire.
E ognuno faccia come preferisce o fervidamente crede.
In questi pochissimi giorni di praticantato mi son fatto un po’ di giri trasversali, quasi a caso, in varie bacheche… o gallery, o album, chiamatele come volete e salvo alcune immagini mi sembrava di essere finito in un fumetto, comics insomma. Sembrava di essere tornati indietro di un quinquennio, anche di più, tra saturazioni, desaturazioni, contrastoni, effettoni modello Photoshop Elements.
Roba un po’ vecchia a dire il vero… passata.
Poi ogni tanto appariva qualcosa che mi riconciliava.
Che mi ha fatto venire la voglia di esserci.
E che ha davvero a che fare con l’unica idea che ho di fotografia, che è indipendente dal mezzo che uso.
Quindi la sfida, poco remunerativa mediaticamente, mi affascina.
Non sono declinabile per Instagram.
Piaccia o meno, io Normal. Al massimo Inkwell.

Instagram Camera Oscura.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Ci sei o ci fai

Mio padre e io, 1962 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Io faccio il fotografo. Se lo sono o meno non mi riguarda.
Sembra esserci una distinzione sottilissima, o addirittura zero… invece il solco è profondo.
E ampio, perché distingue un atteggiamento.
C’è chi fotografo si sente. E lo dichiara. Ma non lo è.
Produrre dei file non significa niente… non qualifica nessuno.
Non fa mestiere. Perché fare il fotografo ha anche a che fare col mestiere.
E non solo col gesto.
Ed anzi il gesto è tanto più incisivo quando non si limita all’episodio.
Il gesto in sé può anche essere grande ma se non ha supporto, non ha continuità espressiva, è isolato. E tale resta.
E questo vale anche se ci si appiccica l’etichetta Artista… che poi mica ho mai capito la differenza. Spesso anzi mi induce un sospetto.
California Dreamin’ è canzone immortale: sono cinquant’anni che scorrazza sulle frequenze radio di tutto il mondo.
Ma qualcuno ricorda cos’altro hanno inciso i Mamas and Papas?
Gli è andata di culo. Tutto qui. Forse in molti farebbero cambio… di gran culo, quindi.
Oliviero Toscani, mi sembra, poneva una domanda: ma fai o sei fotografo?
Sottintendendo che esserlo vale molto più che farlo. Sottintendendo che esserlo è in qualche modo attributo nobile, a differenza dei manovali della fotografia, quelli cioè che dichiarano semplicemente di farlo. E che in tal modo non fanno coincidere la propria intimità col proprio lavoro (quasi una parolaccia), che resta separato.
Mi pare recitasse più o meno così il salmo.
Io non riconosco il bivio. Non mi frega niente della distinzione.
E il livello di nobiltà lo misuro non attraverso un titolo o una dichiarazione d’intenti ma per ciò che vedo. Sia della persona che del prodotto.
In quest’epoca zeppa d’immagini simili a pallottole a salve, cos’è che davvero va a segno?Cos’è che si può fare? In che modo un’immagine, basta vederla, si dichiara tua?
L’altra sera, presentando (ancora, sorry…) TABULARASA, il libro su Vasco Rossi, Toni Thorimbert rispondeva a una domanda (cazzo mi ha anticipato! ma io coincido) dicendo ”Io faccio sempre la stessa foto”.
Questa è la differenza. Questo è ciò che pensa e produce chi fa il fotografo. E che non si preoccupa di trend e di posizionamento, e comunque mai a scapito della fotografia che gli appartiene.
Che è una perché ha a che fare con una matrice facilmente individuabile: te stesso. E qui sì che le cose coincidono.
Perciò se fotografi, fotografa! Non interroghiamoci continuamente sul senso di ciò che facciamo, fotogramma per fotogramma: il linguaggio si misura su una frequenza più lunga e ampia della singola immagine.
Se fai lo scrittore, scrivi! Non puoi su ogni riga impiantarti alla ricerca di qualcosa che non trovi. O che ti pare migliorabile. Alla fine si vedrà. E si vede sempre.
Facendo il fotografo e non preoccupandomi dei quarti di nobiltà, non trovo di per sé distintiva neanche la rivista per la quale lavoro, o il cliente in genere: quello che mi frega davvero è che le immagini vengano rispettate. Che non subiscano traumi tali da renderle innocue… scariche… a salve insomma.
Come avere sempre un bel muro bianco davanti, al quale attaccare il proprio racconto.

Romano Ragazzi, 1985 © All rights reserved.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Pleine mer: l’inferno.

2001 © Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

Quando sono stanziale mi iscrivo alla biblioteca locale.
Adesso è un vezzo dato che non leggo più.
Nel 2002, non ricordo il periodo, nella piccola biblioteca di St. Jean-Cap Ferrat, nella Francia che se la tira, a ragione (ma io sono dotato di uno snobismo che mi preserva), incappo in questo straordinario libro di Jean Gaumy, fotografo Magnum.
Rimango folgorato: un viaggio dentro l’inferno di un mare senza ombrelloni… un reportage esattamente per come lo intendo. Di una potenza che lascia senza fiato.
Con qualche parola balbettata al cospetto di questo bianco e nero vero. Anzi verissimo.
Ma è meglio il mutismo di fronte a questa fotografia.
Per cui mi limito a segnalarlo ai pochi che non lo conoscono.
È di pesca in mare aperto, apertissimo, che si racconta.
Su pescherecci aperti anche loro. In balia di tutto, mica quei supermarket di adesso, che neanche per sbaglio ti centra uno schizzo di mare.
Quattordici anni di lavoro: dal 1984 al 1998. Dentro un girone dantesco.
La mia passione per questo lavoro di Jean Gaumy è mutuata dalla grande, difficilissima, semplicità. Che ce l’hai o no.
E non c’è effetto, sbattimento o accanimento digitale che te la dia.
Questa è l’edizione francese, Éditions de La Martinière, dato che mi sono catapultato lo stesso giorno in una libreria di Nizza… non potevo aspettare.
L’edizione italiana c’è, Contrasto Editore, acquistabile anche on line:
http://www.contrastobooks.com/Catalogo/Mare-Aperto.html
Non può mancare. Secondo me.

276 pagine per 120 immagini più diari di bordo, mappe e appunti. Formato 24 x 29,5 cm.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

Instant Movie N.1

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

 

Una mostra da vedere assolutamente, ABSENCE OF SUBJECT.
Milano, Fondazione Stelline, Corso Magenta civico 61. Inaugurata il 31 gennaio e visitabile fino al 7 aprile 2013. Esposte le celebri opere di August Sander e a fronte, proprio sulla parete opposta, le rielaborazioni di Michael Somoroff. Un lavoro, quello di Somoroff, di sottrazione del soggetto. Restituendoci il luogo del lavoro di Sander, la location direbbero oggi molti, intatta. Non sappiamo se prima o dopo il passaggio dei soggetti sanderiani.
Un incredibile lavoro possibile solo grazie al digitale. A una applicazione acutissima, feroce, dei software a disposizione. In qualche caso ricostruendo completamente l’intera scena. Ma non si tratta di un mero lavoro concettuale… quello che ci viene restituito ha vita autonoma. E alcune immagini sono di una bellezza straordinaria. Diventando a loro volta soggetto. Almeno io la vedo così.

August Sander – Michael Somoroff. All rights reserved.

Al piano di sotto ci sono sei video. Altra intensa interpretazione da parte di Somoroff… un omaggio forte e toccante all’opera di Sander.
Qui io non ho saputo resistere… e con l’iPhone mi sono concentrato s’una porzione di luce e buio. So mica se lecito o no. Intanto è qui. E poi non è una riproduzione… ma una porzione di emozione che mi sono messo in tasca.
Che poi ho manipolato. Strapazzando un po’ tutto,  anche Ry Cooder.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.
Nota: video in iPhone 4s

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TAM TAM SCUOLA ESTREMA

Innanzitutto cos’è TAM TAM school: una scuola estrema!
Talmente estrema che sarei tentato di chiamarla SQUOLA.

È gratis. Ma non gratuita. Perché richiede impegno.
Diretta da Alessandro Guerriero nasce da una idea sua, di Alessandro Mendini e di Riccardo Dalisi.
La sede è ospitata a Milano da NABA.
Un tour qui chiarisce meglio di quanto possa fare io adesso:
http://tamtamtamblog.wordpress.com/
Per quello che mi riguarda TAM TAM  è LUCE – SCRIVENTE…
Che si traduce in un corso il cui tema è il ritratto. In fotografia. Non entro nello specifico tecnico… un po’ prematuro adesso. Ma avremo modo.
Il senso di questo percorso è da ricercarsi nella difficoltà che si ha nell’approcciarsi al ritratto. E che a volte coincide con una difficoltà dialettica, mica solo con l’altro ma anche con sé stessi. Al di là della memoria che abbiamo di noi, che spesso è statica, incapace di dialogare persino con lo specchio che fronteggiamo, esiste un intero altro mondo. Che non è estraneo e col quale non solo è necessario  ma assolutamente auspicabile dialogare.
Nel 1990 in occasione della mia personale Ritratti presso la Galleria Il Diaframma, Milano via Brera, cominciai a considerare il ritratto come autoritratto. Cioè come in realtà la riflessione, la propria, rispetto al soggetto che si aveva davanti fosse in realtà più determinante del soggetto stesso al fine dell’immagine restituita.
E quanto fosse tutto sommato deviante il postulato che vede il “buon ritratto” come l’essenza di chissà quale anima.
Non è così. Almeno per me. Che se un’amima c’è e determina è quella dell’autore.
Così come concetti consolidati, come la fotogenia, o la naturalezza, fossero in realtà vuoti dal punto di vista fotografico. Ma certamente più affini all’aspetto mediatico.
Su questi temi da allora ne ho scritto e soprattutto parlato alla nausea. A Savignano sul Rubicone in occasione del Festival della Fotografia 2003, presentai un breve scritto dal titolo L’idiozia della fotogenia. Bigino da combattimento sulle convenzioni del ritratto.
Che suscitò qualche polemica.
Tutto ciò detto per definire l’ambiente nel quale si muove il mio percorso in TAM TAM.
E cioè quindi, se la proiezione di sé sul soggetto è determinante allora occorre sapere come modularla fotograficamente… in questo la cosa più lontana dai temi concettuali.
Il percorso didattico consiste in una parte di confronto teorico che sfocia nel pratico. Cioè farsi dei ritratti. Di propria mano quindi.
E in quasi assoluto isolamento. In una condizione neutra predeterminata comune a tutti i partecipanti.
La fotocamera sarà uno specchio muto nei confronti del quale rivolgere lo sguardo, il proprio. E solo a posteriori rivelerà l’avvenuto dialogo. Confermandolo o smentendolo.
In ultimo, questa è una delle due risposte didattiche che credo possibili e per le quali ci metto la faccia. In risposta, ancora, all’articolo di questo blog La trappola didattica:
https://blog.efremraimondi.it/?p=1477

Per potervi eventualmente partecipare occorre iscriversi:
http://tamtamtamblog.wordpress.com/modulo-discrizione/

Domenica 20 gennaio le selezioni presso la Triennale di Milano, dove occorrerà presentarsi con un proprio progetto e una motivazione.

La Fuga – Vogue Pelle 30° Anniversary Issue

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Vogue Pelle 30° Anniversary Issue…
Stavo sistemando un po’ di roba nel gran casino che è il mio cranio, e che è simile all’armadio dei negativi. Quello dove ho stipato qualche chilometro di pellicola.
E mi salta fuori d’emblée La Fuga.
Perché è così che era stato pensato e realizzato questo lavoro per Vogue Pelle, numero per il 30° anniversario, settembre 2005: la fuga notturna di una bambola dimenticata.
Una calda notte d’estate. Una notte ubriaca. Una notte perfetta per fuggire.
C’è chi crede che io racconti dove mi trovo. E che questo sia la fotografia.
Non è vero.
Io racconto sempre qualcosa che non c’è. Che non è dove mi trovo. Ma che si vede.
Basta guardare a occhi chiusi e pori aperti.
Questo è per me la fotografia.
Sarei dovuto scappare anch’io quella notte.

Buon anno, fanciulle e fanciulli in fuga.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

CAOVILLA. © Efrem Raimondi. All rights reserved.

STUART WEITZMAN. © Efrem Raimondi. All rights reserved.

JMMY CHOO. © Efrem Raimondi. All rights reserved.

STUDIO POLLINI. © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Modella: Federica.
Make up: Nancy Gallardo.
Producer: Camilla Invernizzi.
Assistenti fotografia: Emanuela Balbini, Nicole Marnati.
Location: Turci Calzature, Milano. Giugno 2005.

Sandali: CAOVILLA, STUART WEITZMAN, JMMY CHOO, STUDIO POLLINI.

Fotocamera Pentax 6/7 con SMC Pentax 55 mm.
Film Fuji NPS 160.
Flash Profoto.

ROUGH ONE – video

© Efrem Raimondi. All rights reserved. Dicembre 2012.

Descrizione:
Abbiamo rilevato che il tuo video potrebbe presentare un tremolio. Vuoi che lo stabilizziamo?

Non sapevo cosa scrivere nello spazio preposto da You Tube.
Ci ha pensato l’amministrazione, in automatico, a suggerirmelo una volta caricato
Rough One.
Non ci potevo credere.
Lasciatemi il mio tremolio!
E tenetevi la vostra fissità.
L’anomalia non è prevista. L’anomalia è un errore. A riprova che le convenzioni non sono linguaggio.
E che il linguaggio rappresenta un elemento di disturbo.
Con una creatività preconfezionata fissata da uno standard emulativo, la democrazia digitale ti riconosce e ti accoglie.
Ma: la fotografia non è democratica! Non è una scienza sociale…
È un arbitrio e lo si dichiara ogni volta che usiamo il linguaggio. Il nostro, se ne abbiamo uno. Se no chi se ne frega, tanto vale parlare di figa.

Preoccupati dal consenso inseguiamo anche il più pirla dei filtri Instagram, o qualsiasi altro effetto ci capitab a tiro.
Lo standard è un fatto tecnico, fondamentale per produrre qualsiasi cosa.
Artigianale o industriale che sia, è imprescindibile.
La sua conoscenza ne permette la manipolazione.
Che ti porta dritto al fattore ”Che cazzo vuoi dire”.
Tu, mica lo spacciatore di applicazioni. Tu, mica il guru di turno o la rivistina trendy.
Abbi il coraggio della tua inattualità! E dalle voce.
L’attualità è idiota e muta.
Una folaga no.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fotocamera: Ricoh GR DIGITAL.
Fiume Ticino, Sesto Calende, 23 dicembre 2012.

LINK YOUTUBE:

http://www.youtube.com/watch?v=fQxuIhivrrs