Pagherete caro, pagherete tutto.

C’è questa tendenza a pensare che i fotografi che non fanno reportage – quello maiuscolo, colto, incline alla lacrima – o aderenti a questa iperbole della fotografia sociale, siano dei fighetti.
Mi spiace deludere, non è così.

La fotografia è un luogo intimo. E si vede.
Coincide nella migliore delle ipotesi con la visione che hai del mondo.
Con te.
Qualsiasi cosa tu faccia.
Soprattutto se è chiaro chi è il soggetto: tu! E la tua fotocamera che ti asseconda. Sempre.
Senza un attimo di tregua. Nemmeno se stai ritraendo Dio.
È davvero così.

Pagherete caro, pagherete tutto.

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedRitratto a questa vacca, Trentino 2014

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedAcquario, Lombardia 2016

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedFiorellini, non ricordo dove 2017

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedDolomiti, Pinzolo 2015

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Oggi…

Oggi ho sessant’anni.
Non si dovrebbe nascere in un mese così.
Chiunque ad agosto, sa perché.
Una ricorrenza in apnea dal tempo delle elementari.
Nascosta il più possibile: d
etesto le ricorrenze.

Non me ne frega un cazzo del mio compleanno!
Oggi però ho sessant’anni…
Non ci credo.

Non ho mai considerato il tempo, il suo trascorrere, un problema.
Non un motivo di discussione.
Non ci ho mai pensato. Non l’ho mai scandito.
La relazione l’ho regolata centrifugando fotografia.

E finora tutto sommato m’è andata bene.

Stabilire unilateralmente che fermare qualsiasi moto è possibile.
Almeno sospendere, rimbalzando in una realtà parallela.

Quasi parallela. Perché invece procede per fatti propri.
E a un certo punto si allontana.
Un patto per sopravvivere a tutto.
Un’illusione meravigliosa.

Già…
Di anni invece ne ho tre.
Sempre quei tre fermi alla visione folgorante di mio padre che si toglie un guanto e mi saluta agitando la mano.
È così che ho iniziato a vedere.
E quell’anello… quel rubino che mi ha accecato nella neve di quel dannato Natale, adesso è mio. Da un po’.

Da trentotto fotografo pensando a me stesso, che me ne faccio del compleanno?

Nota
INVISIBLE è il video che precede alcuni miei incontri pubblici.
Un pot-pourri, una centrifuga. Tolte le quattro o cinque che segnano un momento preciso, le altre immagini le ho letteralmente pescate qui e là, trasversalmente e con leggerezza.
Non ho pensato, altrimenti non sarei stato in grado e tanto valeva rimanere come un coglione davanti allo specchio.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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IDEA e IDEE

Ci sono due fotografi, mica di più.
E per fotografo intendo una persona che usa coscientemente la fotografia.
Indipendentemente dalla destinazione d’uso.

Uno che produce idee… che su queste lavora e ne elabora di continuo.
Un ventaglio. E le idee sparse a rinfrescare.
Un altro che ne ha una sola.

Sempre quella.
Sempre lo stesso arbitrio e il linguaggio al centro.

Lapidario. Ma davvero non c’è altro.
E si vede.

Vasco Rossi by EfremRaimondi - All Rights ReservedVasco Rossi, 22 maggio 2013 – 19:30

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Noemi Batki – Sport Week

Noemi Batki: Sport Week mi chiede di fotografarla.
Questo il giugno scorso.
E io lo faccio. Con vero piacere.
Perché è lei; perché è Sport Week, con la quale non collaboro da un po’ di tempo; perché è un percorso duplice che mi interessa molto.
Uno decisamente ”tecnico” e lei in volo.
Dove fare e rifare, seguendo sempre lo stesso copione, è la soluzione.
A colpi di flash.
E non è facilissimo. Ma l’ ho fatto altre volte, con Roberto Bolle per esempio.
Ed esattamente come con lui, c’è anche l’altro percorso, quello sulla persona.
Che è sempre motivo di stimolo: hai davanti una identità, anche legata a ciò che fa, e tu restituisci altro.
Interagisci, ma restituisci altro. Cioè fotografia.

Tutto potrebbe anche non coincidere.
E neanche lo sapremo mai davvero: è importante?
Per niente.
A me interessava solo Noemi Batki. Proprio lei lei.
E ritrarla per come la vedevo. Che è il prodotto di una relazione data in un tempo che è quello.
E forse non si ripeterà più.
Quindi va tesaurizzato anche il minimo dettaglio, ogni marginalità.
Come il segno della spallina del costume, che non ci penso nemmeno a togliere.
E anzi mi aggrappo.
Se davanti hai una persona disponibile e intelligente, non c’è molto altro da fare.
Ed è molto semplice.

Su Noemi Batki: c’è una gran bella vetrata, fai una esposizione, inquadri, scatti.
Stop.
Non serve altro.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Noemi Batki by © Efrem Raimondi. All Rights ReservedNoemi Batki by © Efrem Raimondi. All Rights ReservedNoemi Batki by © Efrem Raimondi. All Rights ReservedNoemi Batki by © Efrem Raimondi. All Rights ReservedNoemi Batki by © Efrem Raimondi. All Rights ReservedNoemi Batki by © Efrem Raimondi. All Rights ReservedNoemi Batki by © Efrem Raimondi. All Rights ReservedNoemi Batki by © Efrem Raimondi. All Rights ReservedNoemi Batki by © Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Noemi Batki by © Efrem Raimondi. All Rights Reserved© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Assistenti alla fotografia: Nicole Marnati e Giulia Gibilaro.
Make-up & Hair: Matteo Bartolini.
Management: LGS Sport Lab.
Studio: MilanoStudio Digital.

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Fotografia e Design


Fotografia e design. In poche parole.

Ci provo…
È un grande luogo di crescita, una vera scuola.
Ti misuri con delle specificità che hanno la necessità di una vera dialettica per diventare espressione, fotografia: l’oggetto; i materiali e la lavorazione; lo spazio, quello fisico, quello che dialoga con le proporzioni.
La luce…
Quale, come e perché cazzo il rosso del divano rosso non è rosso.

Contrariamente alla norma preferisco la luce flash. Spesso.
Perché quella realmente più duttile.
Quella che mi asseconda nel rapporto con l’insieme.
Perché anche col design è una questione di insieme e il soggetto è l’intera fotografia.
E al di là di alcune fondamentali specifiche ineludibili, trascendere il genere è la mira. Questa la vera, grande difficoltà.
Qui non si scherza, non c’è bluff: qui la conoscenza di tutti gli elementi è la condizione di lavoro.

Amo confrontarmi col design, per me un luogo di sintesi… la convergenza di molteplici elementi: persone, ricerca, creatività, e quel fondamentale collante che è l’industria.
Ho ritratto diversi architetti e designer, con alcuni di loro ho collaborato a tutte le fasi del progetto.
Andando anche in fabbrica, confrontandomi direttamente con chi il pezzo lo produceva.
Un grandissimo, ne cito uno, perché nei suoi confronti provo vero affetto, e per quanto mi ripetesse di dargli del tu proprio non ci riuscivo.
È passato tanto tempo, ero un ragazzo: Achille Castiglioni.

Avanti e indré dal suo studio alla Cassina… nel mio studio a sfogliare Polaroid.
E giù a procedere all’unisono.

ACHILLE CASTIGLIONI by Efrem Raimondi

                         Achille Castiglioni nel suo studio. Milano 1992

Non mi spiego un certo disinteresse fotografico, non capisco la superficialità di chi liquida come fotografia commerciale: se c’è un luogo dove il linguaggio è elemento di distinzione è questo.
Un linguaggio applicato.
Un linguaggio iconografico trasversale dove la dialettica area-volume consente dilatazioni e compressioni altrove impensabili.
Il rapporto con lo spazio, con qualsiasi circostante, diventa soggetto.
Persino la negazione diventa segno e il contraddittorio è elemento vitale.
Nella fotografia che si confronta col design riconosco la convergenza naturale di molteplici linguaggi, di visioni, di utopia… la risposta potente alla debolezza del sistema iconografico contemporaneo che svicola nella reiterazione, sempre uguale, e nel monologo, sempre più noioso.
Singolare… nel confronto con le aziende, con le riviste e coi designer ho sempre trovato tutti gli elementi per poter fare la fotografia che voglio.

Meno paura e più conoscenza.
Meno isteria, più sobrietà e un’eleganza leggera.

© Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Efrem Raimondi for INTERNI magINTERNI mag. 1991-  Hannes Wettstein per Baleri Italia. Valeria Magli performance

Efrem Raimondi for INTERNI magINTERNI mag. 2014 – Pedrali per Pedrali. Rossella Rasulo irriconoscibile. Ma seduta

Efrem Raimondi for ABITARE magazineABITARE mag. 1994 – Milano, Città Studi

Efrem Raimondi for FLEXFORMFlexform, 1992

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 1993 – Studio DDL per Zerodisegno

© Efrem Raimondi for GRAZIA CASA mag. All Rights ReservedGrazia Casa mag. 2014

Talvolta un po’ ironici non guasta…

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 2008. Roberto Barbieri per Zanotta – Ludovica e Roberto Palomba per Sawaya & Moroni

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 2015. Milano, Isozaki Tower. Vitra – Nodus – Arper – Panzeri

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 1989

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedFlos, 1992

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 1990. Roberto Pamio per Matteo Grassi – Oscar Tusquets per B.D. Ediciones

© Efrem Raimondi for Abitare mag. All Rights ReservedABITARE mag. 2000. Fernando e Humberto Campana per Edra – Ron Arad per Vitra

© Efrem Raimondi- Gaetano Pesce, Nobody's PerfectNOBODY’S PERFECT, Gaetano Pesce per Zerodisegno. 2002

©Efrem Raimondi for Cassina - All Rights ReservedCASSINA, monografia RITRATTI. 1993 – 412 CAB and 413 CAB by Mario Bellini

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedGiovanni Levanti per Campeggi SRL. 2007

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 1994/1995. Piero Lissoni per Living

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. Fuorisalone 2013

© Efrem Raimondi - All Rights Reserved - Baleri ItaliaBALERI Italia, 1994 – Big Calendar 1995

© Efrem Raimondi - All Rights Reserved - FLEXFORMFlexform,1988

© Efrem Riamondi for Campeggi SRL - All Rights ReservedSakura Adachi per Campeggi SRL, 2014

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 2016. Jean-Marie Massaud per Poltrona Frau

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 2005. Patricia Urquiola per B&B Italia

© Efrem Raimondi for Cassina - All Rights ReservedAchille Castiglioni per Cassina, 1992

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 2007, Joe Velluto per Coro – Alessandro Loschiavo per Maoli

Un appunto sull’impaginazione di un lavoro. Con alcuni magazine questo dialogo è ancora
presente. Dovrebbe essere prassi

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 2013. Zaha Hadid per SLAMP

© Efrem Riamondi for Campeggi SRL - All Rights ReservedPoppy, Campeggi SRL, 1993

Se l’errore è il soggetto di un intero percorso…

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. Fuorisalone 2008

…e il backstage.

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedINTERNI mag. 2013. Backstage. Rodolfo Dordoni per Minotti

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 2016. Mario Ferrini per Living Divani – Marcello Ziliani per Opinion Ciatti

E poi c’è Ozzy, che mi ha accompagnato durante un reportage proprio dentro il Salone Internazionale del Mobile, tra stand e persone… caldo, rigore e confusione.
Adesso è tranquillamente a casa mia. Che è diventata anche la sua.

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. Salone Internazionale del Mobile 2009. Reportage in Fiera. Con Ozzy

© Efrem Raimondi. All Rights Reserved

La stragrande maggioranza di questo percorso – che è una sintesi estrema – non sarebbe possibile senza la collaborazione di diverse persone. Ciascuna con un ruolo preciso.
Ma è solo attraverso un rapporto dialettico che gli intenti convergono e prendono forma.
E sostanza.
Coi magazine, il rapporto con la redattrice e la stylist è fondamentale.
Sono davvero grato a Luciana Cuomo, Nadia Lionello, Maddalena Padovani, Mia Pizzi, Diana Sung, Carolina Trabattoni.
Senza di loro molte di queste immagini non sarebbero qui.

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INTERNI magazine – Mirror & Mirroring

Efrem Raimondi for INTERNI mag.

Interni magazine, adesso in edicola.
Il soggetto è davvero lo specchio.
O meglio, lo specchiare.

Altre volte l’ho affrontato ‘sto specchio… e per un redazionale ha problematiche diverse dal semplice andare in giro per campi, o dovunque sia.
Perché è duplice: c’è un’azione, lo specchiare, e c’è l’oggetto formalmente composto e in sé finito.

Le sedute…
Le sedute assistono mute. Tutto sommato composte.

Fotografare design… ci tornerò. Con precisione.
Perché è un ambito complesso fotograficamente educativo.
A partire dalla specificità dei materiali, dal rapporto con la luce, dalla relazione con lo spazio qualunque esso sia.
E poi c’è il rapporto con le aziende, coi designer, con la produzione industriale. Una certa concretezza che disciplina e mi affascina.
Un percorso che mi ha insegnato molto.
Insomma ne riparleremo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Efrem Raimondi for INTERNI mag.

Efrem Raimondi for INTERNI mag.

Efrem Raimondi for INTERNI mag.Stylist Nadia Lionello
Assistente Nicole Marnati

Efrem Raimondi for INTERNI magazine

Specchi:
Galileo by Mario Ferrarini per Living Divani,
Shimmer by Patricia Urquiola per Glas Italia,
Christine by H.Xhixha & D.O. Benini – Luca Gonzo per Fiam,
New Perspective Mirror by Alain Gilles per Bonaldo,
Archipelago by Fredrikson Stallard per Driade,
Stone by Sante Cantori per Cantori.

Sedute:
Mammamia by Marcello Ziliani per Opinion Ciatti,
Winston by Rodolfo Dordoni per Minotti,
Rapa by Studio Mentsen per Zillo Aldo & C,
Lido Out by This Weber per Very Wood,
Odette by Carlo Trevisani per Al Da Frè,
Clipperton by Marc Sadler per Gaber.

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Io cerco te

Annarita by Efrem RaimondiIo cerco te.
Io cerco chi non si vede.
Io cerco chi mi sta davanti.
Io cerco te.
Io cerco tra le pieghe del gesto, lungo la smorfia delle tue labbra.
Io cerco te. Io cerco il tuo riflesso e al suo barlume m’aggrappo.
Io cerco te, così come ti giri e mi guardi.
Che cosa vedi? Fin dove arrivi?
Ti ricordi? Anch’io ho avuto vent’anni.
Anche qualcuno in più. Anche un po’ meno.
Adesso è ieri: a cosa credi serva la memoria?
Io cerco te.
Se ti nascondi io ti vedo.
La tua maschera…
Non ti serve alcuna armatura: sei nuda.
Io cerco te.
Non ho bisogno di niente e ’st’aggeggio che pesa, ‘sta roba che scatta è il nostro specchio.
Io cerco te.
E a volte mi trovo.

Laura by Efrem RaimondiLaura, 1986

Vanessa Beecroft by Efrem RaimondiVanessa Beecroft, 2011

Cat Power by Efrem RaimondiCat Power, 2012

FERNANDA PIVANO by Efrem RaimondiFernanda Pivano, 2005

ZHANG JIE by Efrem RaimondiZhang Jie, 2008

VALENTINA by efrem RaimondiValentina, 2010

Fiammetta Bonazzi by Efrem RaimondiFiammetta Bonazzi, 1995

Maddalena by Efrem RaimondiMaddalena, 2016

MONICA BELLUCCI by Efrem RaimondiMonica Bellucci, 1999

Laura by Efrem RaimondiLaura, 2013

Laura by Efrem raimondiLaura, 1998

MARIA TERESA by Efrem RaimondiMaria Teresa, 1999

GIORDANA by Efrem RaimondiGiordana, 1998

ALESSANDRA FERRI by Efrem RaimondiAlessandra Ferri, 1996

FOOTBALL PLAYER by Efrem RaimondiFootball player, 2000

Dana de Luca by Efrem RaimondiDana de Luca, 2016

Azzurra Muzzonigro by Efrem RaimondiAzzurra Muzzonigro, 2016

SILVANA ANNICHIARICO by Efrem RaimondiSilvana Annicchiarico, 2012

INNA ZOBOVA by Efrem RaimondiInna Zobova, 2005

Francesca Matisse by Efrem RaimondiFrancesca Matisse, 2015

Anastasiia by Efrem RaimondiAnastasiia, 2015

PIA by Efrem RaimondiPia, 2007

ADRIANA ZARRI by Efrem RaimondiAdriana Zarri, 1984

Valeria Bonalume by Efrem RaimondiValeria Bonalume, 2015

Madri & Figlie: Miri Elias Rettagliata e Simona Segre. 2002Miri Elias Rettagliata e Simona Segre. Madre e figlia, 2002 – non ricordo il nome del cane…

Annarita by Efrem RaimondiAnnarita, 1995

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

La donna… sì certo, la fotografo. Ed è al centro.
Un altro centro.

U P D A T E   febbraio 2018.

Cecilia Fabiani by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedCecilia Fabiani, 1990

CAROLINA KOSTNER by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedCarolina Kostner, 2006

Franca Sozzani by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedFranca Sozzani, 2016

FRANCESCA PICCININI by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedFrancesca Piccinini, 2011

Noemi Batki by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedNoemi Batki, 2017

BODY NUNBER 1 © Efrem Raimondi - All Rights ReservedBody Number 1, 2004

Maria Cabrera by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedMaria Cabrera, 1988 – Dolce&Gabbana

Laura by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedLaura, Cap Ferrat 2004

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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leggero

 

Leggero…
Si può fotografare una fanciulla di diciassette anni?
Anche se sei punk? – voce fuori campo.
No. Se sei punk solo brandelli di vita sderenata.
Oh! Sai quando hai l’impressione di essere inattuale…
Lo sai?
Ma quale impressione, è proprio così.

Solo che me la godo tutta questa divergenza.
E la ribadisco ogni volta.
Ma non c’è ostinazione, nessun artificio: non so fare che sempre la stessa fotografia.
Anche quando è mossa. Sempre la stessa.
Stai invecchiando: l’hai già detto – voce fuori campo.
A me tutte ‘ste voci fuori campo…

Ma se ho ancora tre anni!
Fa’ una roba: pensa al trend e lasciami crescere.
Che la strada è infinita.

 Maddalena by Efrem Raimondi

Maddalena by Efrem Raimondi

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Maddalena… mossa: assolutamente diciassette anni.
Milano, maggio 2016.

Make Up, Laura Stucchi
Tubino ”vecchio Armani di mamma”.

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Instagram terapia. Giovanni Picchi interview

 

Giovanni Picchi by Efrem Raimondi - All Rights Reserved

           Giovanni Picchi, aprile 2016. © Efrem Raimondi – All Rights Reserved           

Giovanni Picchi e io ci conosciamo da una quindicina d’anni.
Forse di più. Dai tempi dell’agenzia Grazia Neri.
Co-fondatore dell’agenzia LUZ Photo, che mi rappresenta, ha un rapporto diretto con la produzione fotografica da un ventennio.
È persona solare, lo stimo molto, e nutro del vero affetto nei suoi confronti.
Tutto ciò non è per nulla scontato, soprattutto se è di fotografia che parliamo.

Un bel giorno sul suo account Instagram vedo la sua faccia, diversa… un selfie si direbbe, che mi fa letteralmente saltare dalla sedia: rasato e dimagrito, modello punk… solo è evidente che non può essere.
Gli scrivo e poi lo chiamo.
Chemio…

E tutto quanto a seguire. Più o meno all’inizio di quest’anno.

Ho cominciato a monitorare – il termine è esatto – la sua produzione Instagram. 
Per accorgermi a un certo punto che stava facendo un percorso fotografico su sé stesso. Senza chiamarlo Progetto
In mezzo a tanta produzione confusa e inutile, manieristica e brutta, questa ha per me un senso. 
Che è terapeutico, ma anche fotografico.
A me interessano entrambi.
Ed è il motivo per cui siamo qui.
Gli ho chiesto se gli andava di parlarne usando la formula dell’intervista: sì.
Allora la pubblico integralmente.

Insieme abbiamo fatto anche una piccola selezione delle immagini che ha pubblicato sul suo account Instagram.
Non aggiungo altro a riguardo: dall’intervista emerge tutto.

Prima di attaccare il registratore, l’ho ritratto.
Non potevo evitare… è sempre da lì che parto. Per tutto.
Quasi tutto…
Poi abbiamo mangiato una zuppa di lenticchie gialle.
Una signora zuppa, con curcuma e zenzero.
Quindi, Play

ER – Partiamo dall’inizio: la cosa che mi ha scosso guardando il tuo account INSTAGRAM è che il tuo rapporto con l’immagine, la fotografia per meglio dire, a partire da un momento preciso è cambiato. Violentemente direi. E coincide con l’approccio terapeutico alla malattia… ci puoi dire cos’è successo, o per meglio dire, cosa ti è successo per aprire pubblicamente il tuo sguardo rispetto a ciò che stavi, e stai, affrontando?
Giovanni Picchi – Dunque… questa è la seconda recidiva della malattia…
Possiamo dire di che malattia si tratta?
Assolutamente sì. È un sarcoma, un tumore quindi, la cui prima manifestazione è stata nel 2001, avevo 28 anni, e l’ho vissuta tenendomi un po’ dentro questo problema. Forse anche perché era ancora un periodo in cui la parola tumore, cancro, non si esprimeva con grande facilità e poi…

Scusa Giovanni, allora ti eri comunque posto il problema di esternarlo e hai fatto una scelta di chiusura o… anzi diciamola tutta: ti eri posto il problema di usare un medium come la fotografia per esternare il percorso clinico e personale, o no?
No, assolutamente no. Proprio non ci ho minimamente pensato.
Ne erano a conoscenza soltanto gli intimi.
Diciamo che però la malattia è tornata in maniera importante lo scorso autunno e lì, visto il ritorno, ho fatto la scelta di cambiare approccio… ho proprio deciso di esternarlo.
Perché?
Be’ intanto c’è da dire che a causa della malattia, della sua ricomparsa in questa forma più aggressiva, ho deciso di cambiare tanti approcci della mia vita… perché questa è una recidiva… la malattia che ritorna… in qualche modo ce l’ho dentro, non l’ho mai tirata fuori e quindi… insomma non posso dire con certezza che questo suo ritorno sia dovuto al fatto che io non abbia esternato, ma è certo che ho sentito fortemente il bisogno di sputarla fuori.

Perché hai deciso di usare la fotografia?
Perché mi risulta più semplice… c’è da dire che ho iniziato con l’idea di fare un diario personale, a partire dal primo intervento che è stato l’ottobre scorso, ma non con l’intenzione di pubblicare… pensavo che mi servisse per guardarmi un po’ dentro… e anche fuori.
Poi quasi come un processo di maturazione e precisazione di un percorso che ho ritenuto subito terapeutico, ho deciso di buttare tutto fuori, di esternare. E quindi Instagram e il social network più in generale.
La fotografia è immediata… e poi è la forma di comunicazione che più mi appartiene pur non essendo un fotografo… sono vent’anni che lavoro con la fotografia e di fotografie ne vedo proprio tante, quotidianamente… la fotografia mi piace e mi piace farla amatorialmente e per una volta ho pensato che volessi usarla, proprio usarla in prima persona.

©Giovanni Picchi - All Rights Reserved

Sfogliando questo tuo album ho immediatamente pensato a due cose.
La prima: pur usando uno strumento come l’iPhone ed essendo tu stesso autore e soggetto, non ci troviamo di fronte al selfie tradizionale. Sembra tutto più prossimo all’autoritratto, che è strumento di un’indagine più intima.
La seconda, in qualche modo più importante se si intende fare fotografia, e cioè che la ragione, il cosiddetto perché, è davvero una reductio ad unum: raccontare la propria storia.
Ed è esattamente l’esigenza primaria per chi fa fotografia. Indipendentemente dal soggetto.
Quando hai iniziato col diario, ti sei posto dei limiti e una eventuale meta, o hai semplicemente fatto e poi si vedrà… una sorta di work in progress così com’era, senza alcuna pianificazione…
No, non c’è stata alcuna pianificazione.
È iniziata per documentare il primo intervento chirurgico, poi si è delineato quello che sarebbe stato il percorso terapeutico, inclusa della chemio piuttosto pesante e lì, proprio a partire da lì osservavo il cambiamento fisico della persona. Che volevo documentare, anche a scopo terapeutico dove per terapeutico intendo proprio la volontà di esternare il mio cambiamento…
Scusa se ti interrompo: ha un destinatario questo percorso iconografico che hai deciso di rendere pubblico?
Direi di no… poi sai, per come tecnicamente funziona il social network… per esempio ho evitato hashtag particolari per andare a raccogliere all’esterno di quello che invece è il mio network. Quindi forse se un destinatario c’è è proprio una precisa cerchia di persone.
Dalle quali ricevo una energia positiva…
In che modo?
È proprio nel principio della comunicazione, nell’esigenza direi primaria che ho di raccontare l’esperienza che sto vivendo. Anche attraverso il cambiamento della mia persona, del mio fisico, della mia immagine più immediata. E sapere, avere testimonianza del fatto che c’è chi raccoglie… che poi non è la pacca sulla spalla, ma proprio il fatto che davvero c’è qualcuno che intercetta questa mia esigenza di esternazione. Già solo questo mi aiuta e mi fa stare meglio.

Dunque… la prima volta che si è manifestato il tumore avevi ventotto anni e non hai pensato neanche lontanamente di esternare un bel niente. Adesso ne hai quarantatré e l’atteggiamento è opposto. Una sorta di estroversione… Trovi che questo passaggio brusco sia positivo? Ma anche pensando a una terapia più ampia, non conclusa insomma in quella medica…
Assolutamente positivo, non fosse altro che a differenza di allora non ho alcun problema a parlare del mio problema… non ho nessun problema [ride] non ho vergogna. A differenza di allora, che però ero molto più giovane e forse va messo in conto.
Be’ certo, anche perché non si può certo trascurare che in qualche modo questa attualità può avvalersi della precedente esperienza, quella nella quale ti sei rifugiato in una comprensibile introspezione e nel silenzio
Ecco appunto, adesso so che il silenzio non ha fatto bene. Non in termini assoluti chiaramente, non voglio generalizzare: so che non ha fatto bene a me

Vedo distintamente il percorso del tuo Instagram… adesso, proprio adesso andando a memoria: un percorso piacevole, lineare, le vacanze… e quelle con un chiaro intento fotografico: tutto piacevole… tutto compreso direi simile ad altri, di quelli con gusto e senza strappi. Poi, me lo ricordo bene, improvvisamente uno shock… tu rasato con gli occhi piantati nell’obiettivo. Ti ho telefonato
Sì ricordo. Io abbastanza disinvolto a parlarne e tu un po’ rigido
Davvero in questo non c’è come la fotografia… uno shock.
Derivato anche dalla conoscenza diretta della persona che vedevo e che non lasciava alcun dubbio… non ho pensato insomma a una improvvisa nostalgia punk.
Ecco, da quel momento il tuo Instagram ha una cifra precisa, che non comprende praticamente altro… sì ogni tanto compare qualcosa, ma è come sfumato, risucchiato da una nuova e netta centralità: il tuo rapporto con questo tumore di merda… dove ti porterà? Fotograficamente intendo, fin dove ti spingerai? Dove deciderai di interrompere?
Anche perché molte immagini sono piuttosto forti.

Ipotesi splendida: decorso positivo, tutto risolto e fine del diario?
Cosa succede a questo percorso fotografico?
Ehhh… in realtà non ci ho pensato. Adesso è difficile pensare a questa ipotesi splendida che tu tratteggi [risate robuste] perché il percorso sarà piuttosto lungo. Be’, può essere sicuramente uno start per continuare a raccontarsi in maniera molto diretta, senza eccessive mediazioni. Questa recidiva, che è certamente più tosta dal punto di vista clinico, e proprio l’aver pensato a un certo uso della fotografia, come dicevo prima anche terapeutico nel modo più ampio, che cioè coinvolge l’interezza della persona, la mia vita e gli atteggiamenti, questa recidiva dicevo mi ha dato l’opportunità di riflettere su molte cose. E di cambiarle. Quindi non escludo affatto che anche in assenza della malattia possa avere un seguito. Come, in che forma, non sono in grado di definirlo adesso. Quello che so è che adesso, questo percorso fotografico, questa tranquillità nell’esporlo, mi fa bene.
E mi fa davvero bene. Perché il fatto di raccontare, senza voler essere necessariamente new age, mi restituisce un’energia positiva che mi serve molto.

Non c’è assolutamente un uso esibizionistico del social network… parlo di qualcosa di profondamente vero… e forse è il pretesto per raccontarsi, un modo di mettersi in gioco per ciò che realmente si è.
La malattia, per me, è una opportunità di cambiamento e se si riesce a viverla così forse… forse anche questo è parte del percorso della guarigione.

I tuoi figli hanno accesso al tuo account?
No. Ma puramente per una questione anagrafica, sono ancora piccoli…
Quindi non hanno mai visto queste immagini…
No… però mi vedono di persona! E devo dire che l’atteggiamento di condivisione ce l’ho anche con loro: mi vedono esattamente così, cambiato a seguito di questa malattia e delle cure che sto affrontando.
Sì vero Giovanni, però un conto è vederti in camicia e in movimento, un conto è vedere alcune delle immagini che hai pubblicato… la staticità, fermezza descrive meglio, della fotografia amplifica l’impatto emotivo
Certo, però da questo sono protetti, non hanno accesso ai social network.
E non credo che abbiano un altro modo di vederle, tipo l’amico dell’amico… no, non credo proprio. Comunque se dovesse accadere non credo sarebbe traumatico proprio per come anche con loro ho affrontato questo percorso clinico…
Ma anche per quello che potrebbe riguardare la mia famiglia, sinceramente il problema non me lo sono posto, perché fa parte prorprio del voler buttar fuori… è insomma davvero un fatto terapeutico che mi fa stare bene. E che quindi serve così com’è

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Più in generale dal punto di vista fotografico, in questo percorso c’è stato un qualche riferimento o no?
No, alcun riferimento… sai, poi è tutto iniziato come diario, come una raccolta di istantanee e quindi mi fotografavo pronti via… senza neanche pensarci troppo
E c’è una cadenza? Da cosa è determinata?
I momenti terapeutici a partire dall’intervento chirurgico, prima e appena dopo. Poi durante i vari cicli. E assolutamente post ciclo, perché è il momento di maggiore caduta fisica e psicologica… poi sai, c’è anche l’effetto accumulo e mentre i primi cicli li reggi meglio man mano diventa sempre più pesante. E a pensarci è proprio in questo apice che diventa per me importante documentare… mi aiuta davvero molto

Non è possibile prescindere dalla conseguenza del gesto… l’immagine che ti viene restituita, la tua immagine, ti aiuta?
Mi aiuta sì. In consapevolezza… però c’è anche da dire che a volte c’è l’effetto sorpresa perché in fondo conservo ancora una memoria del me precedente… insomma un certo effetto straniante…
Quasi ci fosse una distanza della quale prendi davvero consapevolezza nel momento della restituzione dell’immagine?
Sì, un po’ sì pensandoci adesso. Però mi serve molto perché mi certifica una attualità rispetto alla quale devo rimanere molto vigile.
Anche perché la sto prendendo un po’ come una battaglia…
In effetti perdonami, alcune tue immagini sanno di ”guerriero” e a proposito: hai anche qualche t-shirt con in mezzo la tua dichiarazione di guerra: #attack

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[ride di gusto] Sì sì… quella con l’hashtag me l’hanno regalata i colleghi, poi una dai cugini e altre… è diventato anche un gioco divertente tutto sommato. È una vera battaglia insomma, e come in tutte le battaglie occorre avere una certa lucidità… e forse guardarsi restituito ha anche questo scopo: non perdere di vista l’obiettivo
Prima ti ho ritratto… molto tranquillamente, niente computer tutto in macchina. Però le immagini le abbiamo guardate sul display, non abbiamo evitato, e soprattutto non hai evitato tu. Immagini dirette, qualcuno potrebbe anche dire violente… tranne i mossi le altre hanno una certa coerenza con alcune tue, eppure guardandole hai avuto un sobbalzo che ho avvertito istantaneamente e mi ha sorpreso: cos’è è successo? Cosa cambia rispetto ai tuoi autoritratti? Di fatto stiamo parlando di immagini parenti…
Bah… sì vero, ho avuto un sussulto… ma forse perché come dicevo rispetto alla memoria che ho di me… insomma non sempre sono così agganciato all’attualità… o forse è un po’ l’effetto specchio perché mentre mi sto fotografando con l’iPhone mi vedo e mi concentro forse di più sullo scontro col tumore e anche quando prima si diceva del guerriero, non escludo che un po’ di recitazione ci sia da parte mia. Mentre quando mi hai fotografato tu non avevo alcun controllo
Ma può essere che mentre ti stai ritraendo, tu trascuri alcuni elementi che al momento reputi marginali? Se ci penso ti focalizzi molto sul tuo sguardo… mentre l’immagine poi è tutta quanta, tutto dentro quel perimetro. E a proprosito dello specchio, sinceramente penso che sia una autoriflessione parziale, perché quello sguardo sembra invece essere rivolto a qualcuno o qualcosa che è altro, che è esterno
Ma in effetti rimanendo sulla metafora della battaglia, mi è chiaro che nella circostanza io tendo a caricarmi, a darmi maggiori munizioni nell’affrontare il nemico che ho di fronte. E che però è anche dentro. Tu sei l’unico che mi ha ritratto, non ho precedenti, forse anche questo…
D’accordo l’immagine del guerriero e la metafora della battaglia, comprendo perfettamente… esagerando un po’ una figura epica e …
Be’ a me piacciono molto i Supereroi, così nella letteratura… così mi sono anche divertito a usare certe magliette, che però indossavo anche prima… Credo che consciamente o anche no, affiancarsi all’immagine dell’eroe in qualche modo mi aiuti a combattere questa battaglia

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Ti sei mai posto il problema della reazione di altri, estranei allo stretto giro che ti appartiene, e che magari potrebbero essere inclini a pensare a un atteggiamento voyeuristico?
Francamente non è questo e quindi non mi sono mai neanche posto il problema

Se sfogliamo le pagine nobili o per nulla della fotografia, ogni tanto incontriamo autori/autrici che si sono ritratti in condizioni poco ortodosse diciamo, con l’intento di interpretare il proprio malessere restituendo immagini inclini all’autocommiserazione.
Invece guardando le tue immagini non trovo alcuna interpretazione del malessere, e anzi è l’esatto contrario: l’interpretazione di un combattimento
Assolutamente sì per quello che mi riguarda. Io cerco il positivo di questo percorso
Io però voglio scavare un po’. Alcune tue immagini sono violente.
O forti se vogliamo usare un eufemismo… e un conto è produrle, un altro pubblicarle. Davvero non ti sei mai posto alcun problema?
No… sinceramente no. Ribadisco poi la convinzione di rimanere entro i confini del mio network, che è fatto di conoscenze dirette
Questa perdonami è un’illusione. Le immagini circolano liberamente in rete…

Allora diciamo che non ho ricevuto alcun ritorno da parte di altri, di persone insomma con le quali non ho rapporto diretto. Però nell’eventualità non avrei alcun problema ad affrontare la questione.
Quindi no, non mi sono mai posto il problema

Così d’emblée: come trovarsi di fronte a un bivio… se uno decide di raccontare sé stesso, a questo livello, lo fa senza schermo alcuno. Altrimenti diventa solo la parodia di un racconto.
Può essere che proprio la criticità della condizione abbia sciolto qualsiasi ritrosia da parte tua? In fondo è come oltrepassare un confine avendone piena coscienza. E controllo. Anche di fronte all’estremo di certe scelte iconografiche ci si autolegittima, indipendentemente dal grado di accetabilità, sociale in generale ma dei social in particolare. A me sta bene eh… solo per capire
Anche a me sta bene… se posso dire mi starebbe bene anche da fruitore. I social network sono strumenti un po’ omologanti, è proprio nelle regole: se il 50% pubblica ciò che mangia anche io mi adeguo. Nulla da scardinare, però da fruitore mi piacerebbe vedere qualcosa di più sincero, diretto e anche umanamente coinvolgente.
In che misura secondo te questa produzione ha una valenza fotografica? Ti interessa che l’abbia? Perché oltre qualsiasi discorso, una scelta estetica l’hai fatta
Mah… in un certo senso mi interessa anche… nella misura che si diceva prima e cioè di uscire da una certa omologazione, da certi cliché, anche comportamentali nei confronti della fotografia sui social. Però non c’è altro… non ricerco consenso.

Tu sei co-fondatore di Luz Photo, e hai una abitudine professionale all’immagine. Questa tua produzione, che non ha nessuna pretesa se non quella di riguardarti intimamente, è secondo te in qualche modo in conflitto con la tua figura professionale?
No… non c’è conflitto… a me la fotografia piace e mi piace farla anche se non sono un fotografo. Sono una persona di questo tempo e con questo tempo mi misuro… uso la fotografia, questa fotografia per ottenerne un beneficio. E poi per me è un tutt’uno… non vedo conflitto con la mia figura professionale… anzi direi che c’è coerenza.
Vediamo e produciamo tantissima fotografia anche inutile e…
Ecco qui scusami ti interrompo perché se no dimentico una cosa per me importante. Forse vediamo e produciamo tantissime fotografie e poca fotografia. Spesso ciò di cui sento la mancanza in ciò che vedo, forse anche superficialmente ammetto, è il gesto: vedo bei compitini – ma anche no – assolutamente privi di gesto. Come rimanere sempre a una distanza dalle cose, da ciò che accade.
Forse abbiamo anche perso il soggetto, cioè noi e ciò che intimamente ci riguarda e che poi dovrebbe essere il vero motivo per cui si fotografa.
Qui vedo invece una persona che si appropria davvero della propria soggettività e la traduce con un linguaggio che gli appartiene…
Che mi è famigliare… sì, in qualche modo è così

In alcune tue immagini noto un certo cinismo, proprio nel trattarti e mi riferisco a quelle che almeno a me hanno immediatamente evocato la morte, poi per pudore possiamo tutti far finta che non è così e non se ne parla…
No, parliamone
Per esempio quel video che sembra quasi un GIF animato, nella cattedrale di Santo Stefano a Vienna col sottofondo del Requiem di Mozart… più che una modulazione ironica mi è parsa cinica
Vedere la morte e raffigurarla è anche un modo per esorcizzarla… sai, saperla sempre presente e non vederla perché si nasconde… insomma se la vedi ne prendi una immediata consapevolezza e provi a difenderti, in qualche modo rapportandoti
Questo cinismo, o meglio, una certa saltuaria rappresentazione cinica, in qualche modo mi ha evocato una dialetticca con la morte, una dialettica per nulla evitata
Ne ho semplicemente preso atto. Del resto la trasformazione fisica, un certo deperimento, questo asciugarsi… insomma un’immagine sinistra, indubbiamente. E allora questa dialettica che dici è stata inevitabile: se lei, la morte, si nasconde ma è presente, voglio stanarla… far finta, nascondermi a mia volta, non è utile alla causa.
Poi ci sono circostanze casuali… per esempio mi sono trovato davanti a La vita e la morte di Klimt e mi sono messo in mezzo… un gesto che ritengo semplicemente ironico

Stai in qualche modo didascalizzando, anche? Non so, alcune immagini le sento decisamente più intime e tue, altre, forse le più facili, mi sembrano più a uso esterno, rivolte a altri mi viene da dire
Non c’è una premeditazione, però sì, è vero. Questa di Klimt certamente lo è. Quelle che invece mi appartengono intimamente, come dici tu Efrem, sono quelle relative ai momenti di solitudine, in genere post-terapia, quando sono lì da solo un po’ a rimuginare, con però la determinazione a resistere… vale sempre la metafora bellica. Se mi viene detto, come mi è stato detto, che la settimana post chemio è quella nella quale ci si lascia un po’ andare, non si ha voglia di far niente, anche perché oggettivamente indebolito, ecco questa è la settimana nella quale lotto di più. Proprio per evitare…
Un fattore reattivo insomma
Assolutamente sì

Ci sono due aspetti di questo percoroso INSTAGRAM… di quello terapeutico abbiamo detto. C’è poi un fatto di linguaggio estetico che tu comunque non trascuri. E che io riconduco a una matrice espressiva punk: diretta, non leziosa, di glam manco a parlarne… insomma con un suo peso specifico. Secondo te Giovanni, potrebbero queste immagini fare testo a sé? Cioè indipendentemente dalla malattia…
Ma in effetti anche questo, moderatamente ovviamente. Però se vuoi il percorso clinico è stato anche questo: cioè l’opportunità di affrontare in prima persona un’altra fotografia, e di misurarmi anche da questo punto di vista sulle mie intenzioni espressive… intorno a una questione che mi riguarda profondamente.
Volendo esternare con l’immagine, ho dovuto necessariamente farmi carico anche del modo espressivo.
A ben pensarci il motivo iniziale è terapeutico, poi però ho cominciato a immaginare che potevo avere in mano anche un qualcosa con una valenza iconografica… che avesse una certa coerenza

Ultima domanda: perché hai accettato questo confronto, qui sul mio blog?
Be’ innanzitutto perché quando ci siamo sentiti le cose che mi hai detto, poche ma chiare, ho sentito che proprio mi riguardavano e riguardavano quello che sto facendo sia di fotografico e anche come gesto diciamo poco consueto. Per quanto esiste una ricca letteratura a riguardo, cioè di protagonisti di storie simili che ne scrivono e parlano pubblicamente, più o meno come sto facendo io. E poi mi interessava molto sia parlarne sia essere fotografato da te, da un’altra persona con una visione diversa, esterna.
E sento già esserci un beneficio, un momento di arricchimento di questo mio percorso di vita. Perché è di vita che abbiamo parlato, e per questo ti ringrazio molto.

Milano, aprile 2016
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So che ho dimenticato di chiedere qualcosa.
E forse Giovanni di rispondere.

Questo lo scrivo adesso. A due anni di distanza…
Giovanni ci ha lasciato. Stamattina.
Lunedì 21, presso la basilica di Sant’Eustorgio, Milano, il saluto.
Alle 9.
Un grande dolore. Non aggiungo altro.

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Fuorisalone 2016 – Openborders

Philippe Daverio by Efrem Raimondi - All Rights Reserved

        Philippe Daverio

Fuorisalone 2016: 20 – 6 – 171.
Dove… 20 le ore lavorative giornaliere; 6 i giorni in questione; 171 le immagini prodotte più un piccolo video, per social, sito, e cartaceo prossimo venturo. Tutto taggato INTERNI magazine.

È il quarto anno che seguo il Fuorisalone con questo percorso e non credo di essere in grado il prossimo. Almeno nella formula che attualmente mi riguarda.
Perché garantisco essere un lavoro davvero tosto. Dove occorre un fisico d’acciaio e un cranio al titanio.
E io non posseggo né uno né l’altro.
Insomma vedremo.

Due sedi: la Statale, alias Università degli Studi, quartier generale della redazione di Interni e la Torre Velasca rosso Ingo Maurer, che è stata indubbiamente il segno di questa Milan Design Week, dove Audi ha organizzato una serie di conferenze davvero notevoli.

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Principalmente con l’ìPhone, quindi Nikon per il ritratto.
Ma poi le carte si sono mischiate.
Non ricordo perché ma francamente non importa.

A differenza dell’anno scorso, luce ambiente.
Tranne per qualche ritratto in condizioni impraticabili.
A volte ho esagerato con l’iPhone, proprio a stracciare il file.

Quella che segue è una sintesi estrema di tutto il lavoro.
Cominciando dai ritratti

Ingo Maurer by Efrem Raimondi - All Rights Reserved         Ingo Maurer

Noriko Tsuiki by Efrem Raimondi - AllRights Reserved         Noriko Tsuiki

Paola Antonelli by Efrem Raimondi - AllRights Reserved         Paola Antonelli

Azzurra Muzzonigro by Efrem Raimondi - AllRights Reserved         Azzurra Muzzonigro

Franca Sozzani by Efrem Raimondi - AllRights Reserved         Franca Sozzani

Wang Pen by Efrem Raimondi - AllRights Reserved

         Wang Pen

Enzo Mari by Efrem Raimondi - AllRights Reserved

         Enzo Mari

Enzo Mari by Efrem Raimondi - AllRights Reserved

Gianluigi Ricuperati by Efrem Raimondi - AllRights Reserved

         Gianluigi Ricuperati

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         Università degli Studi – Cortile della Farmacia
         down, left:
         Gaia Cambiaggi, Maurizio Montagna, Armando Perna, Antonio Ottomanelli
         up, left:
         Filippo Romano, Daniele Testi, Rossella Ferorelli, Francesco Stelitano, Marco Introini

E queste le conferenze. Che anticipo con una domanda: perché snobbarle?
Se l’assignment che hai accettato le prevede, falle.
Se hai un linguaggio puoi fare qualcosa di decoroso e metterci la faccia.
Se poi c’è la curatrice – in genere di seconda e anche terza fila – che ritiene la fotografia di documentazione espressione commerciale, e di conseguenza tu un magütt, io non me ne preoccuperei. E le sorriderei.
Tanto la tua opera, quella appesa alla parete prestigiosa, non scappa.
Né si suicida.
Ma oh artista! ce l’hai almeno un’opera appesa da qualche parte?

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         Torre Velasca – Audi City Lab – Paola Antonelli

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         Torre Velasca – Audi City Lab – Massimo Coppola

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         Torre Velasca – Audi City Lab

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         Torre Velasca – Audi City Lab

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         Università degli Studi – Cortile della Farmacia – Gillo Dorfles in visita

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         Torre Velasca – Audi City Lab

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         Marco Balich, Cesar Muntada, Axel Schmid, Francesco Bonami

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         Torre Velasca – Audi City Lab 

Le immagini non sono postprodotte se non limitatamente alle questioni tecniche legate all’esportazione. Più alcuni elementi cromatici. Roba da poter gestire in fretta, ma al meglio, nella sala stampa di Interni. Col sottofondo di interviste a designer. In loop a farci compagnia. Quando ho pensato che sarei entrato volentieri in almeno  uno dei due grandi monitor, l’ho fatto. Deformando arbitrariamente.

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         Stefano Boeri

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         Noriko Tsuiki

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         Ingo Maurer

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         Ma Yansong

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         Chen Ngjiang

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         Marco Ferreri

Per chiudere, questo video che definirei utile allo scopo di rendere chiaro, almeno a me, il concetto di voliera. Solo che io fuori.

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Questa  la parte iconografica. Per quella redazionale Danilo Signorello, della redazione di INTERNI.
Perché non dobbiamo dimenticare che tutto ciò è finalizzato a una rivista. Che anche quando è social, ha un percorso diverso. Più articolato e complesso. Che insegna molto.
Almeno a me.

Michelangelo Giombini ha con me condiviso gli esordi di questo percorso. Quattro anni fa.
Ne è il coordinatore. Ed è un impegno non facile. Lo capisco bene…

E poi una fotografia di backstage fatta da Laura, mia moglie.
Si deduce bene il doppio percorso Nikon – iPhone.
Poi per una questione di mera praticità ho scelto iPhone per la definitiva bn del gruppo.
Ringrazio la mano di chi mi ha sostenuto.

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 Sono stato assistito in tutto ciò da Martina Dalla Bona,  che ringrazio per la cortesia.

Chiudo questa maratona con due lavori sul numero in edicola di INTERNI: una fotografia di gruppo e un redazionale di design… chi dice che non si può fare entrambi?
Mi vengono in mente le parole di Ghirri, che mi spiace scomodare per così poco, però ci vogliono: mi sembrava assurdo che un fotografo potesse fare solo fotoreportage e non riuscisse a fotografare una cattedrale o l’interno di una casa, o elaborare un rapporto minimamente più approfondito con il visibile (visibile vuol dire quello che io sto guardando), con la rappresentazione in generale. da Lezioni di fotografia.
Ecco, vale per tutto.

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da sinistra: Gabriele Chiave, Nika Zupanc, Stefano Giovannoni, Richard Hutten, Andrea Branzi, Sofia Lagerkvist, Anna Lindgren. Testo di Cristina Morozzi. Coordinamento Nadia Lionello, Maddalena Padovani.

Sotto: readazione Nadia Lionello.
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Botero per Zanotta – Drum per Cappellini

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Asterias per Molteni&C – Lloyd per Poltrona Frau

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Zero per Alias – Tang per Driade

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