Auguri. Con Urlo

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In questi giorni di addobbi ho sentito l’urlo.
L’ho visto.
Qui sulle mie montagne su in Trentino.
Mie.
Perché parte integrante della mia memoria.
Che è nitida. E di questi tempi innevata.
Coi ghiacci al loro posto davanti al balcone.

Ma qui non c’è più niente.

L’urlo…
Zero landscape. Non ne ho mai fatte.
Fotografia tout court.
Se però per comodità, se è di un casellario che hai bisogno, definiscile pure.
Relegami dove ti pare.

I fotografi, per essere tali, hanno una visione del mondo.
La esprimono costantemente.
E si vede.
Questo è il differenziale.
Se invece ti sembra tutto accettabile, cazzi tuoi.
Se invece ti bastano dei gridolini eccitati, cazzi tuoi.

Nessuno è innocente. Ma esistono diversi gradi di colpevolezza.
Cazzi tuoi.
Che però, a causa tua, diventano anche miei.
E questo non lo accetto più.
Non so cosa fare…
Ma so cosa dirti: pur appartenendo alla stessa specie idiota, non siamo uguali.
Non lo siamo mai stati.
Neanche ci somigliamo.

E gli auguri che ogni inizio anno faccio da questo blog, non ti riguardano.

A tutti coloro ai quali somiglio, dedico queste immagini.
E auguro un sereno 2016.

Il pianeta non è antropocentrico.
Non distingue e non è democratico.
Odia l’uso arrogante dell’intelligenza.
E per questo s’incazza.
Anche con me.

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Polittico dell’Urlo.
Prodotto tra il 25 dicembre 2015 e il 5 gennaio 2016.
Così come era meglio al momento.
O peggio.
Proprio in quel momento.

E questa la mia cartolina direttamente dalle Dolomiti di Brenta.

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Notte

 

Efrem Raimondi Polaroid 1998

 

La notte è un luogo.
Non un tempo…
Uno spazio nero céliniano che spazza via tutta ‘sta massa di orpelli e fastidi diurni: ‘st’accozzaglia accumulata nei secoli e che ogni mattina si ripresenta puntuale… il fatto che qualcuno riesca a sublimarla, finendo anche per essere appeso in un museo, non lenisce lo strazio di chi appeso non ci finisce.
Après.

La notte costringe a una scala visiva diversa. Ed è una manna se fai fotografia.
Perché pulisce, sottrae.
E il suo buio avvolge anche te.
Ma per quanto possa essere pesto il buio nel quale ti trovi, c’è sempre una luce da qualche parte. E la vedi distintamente.
Così un cerino diventa Sole.
Ci si misura con un altro ordine, quello dettato dalla sproporzione tra ciò che vedi e ciò che vorresti vedere. Ma la notte ti nega.
E ne devi prendere atto: è inutile andare a rovistare nei cespugli o dietro gli angoli dei marciapiedi nel tentativo ultimo di strappare alla notte una vista che non vuole darti.
Ciò che non vedi è soggetto al pari di ciò che vedi!
Perciò ficca entrambi nel tuo rettangolo.

Alla pellicola è subito chiaro. Perché è un supporto tendenzialmente neutro che non ha alcun mandato se non quello di coaudiuvare le intenzioni di chi la maneggia.
Entro il limite chimico, e fisico, della condizione che deve registrare.
Non ha alcuno scopo messianico e non intende salvarti dalle tenebre nelle quali ti trovi.
Anzi ti implora di assecondarle. Se no dà un immediato forfait.
E tu, rimani muto.
Il digitale invece no. E ha un ego che, diciamolo, ci guarda – proprio noi – con profondo disprezzo.
Il suo mandato è congenito: dimostrarci che ci vede meglio.
E non perde occasione per sottolinearlo.
Dobbiamo rimetterlo al suo posto! Cioè quello di mero supporto.
Altrimenti, se è nella notte che pirliamo, lui tenderà a pirlare per fatti propri. A rovistare tra cespugli e angoli di marciapiedi al solo scopo di dimostrarci per l’ennesima volta che lui può arrivare ovunque.
Perché è inutile: di cosa sia la percezione, se ne fotte.
Non è una colpa, è la sua natura. Mentre la colpa, e grave, è nostra se lo lasciamo fare.
Ma noi abbiamo una percezione? O ci appiattiamo al dettato del registratore di turno?

Più la notte è avvolgente, più la luce che trovi è squarciante.
Se non la trovi, portacela tu.
Fossero anche i fari della tua auto.
Che la trovi o che la porti, la luce è soggetto più che in qualsiasi altra condizione.
Più miri la luce che c’è, più è notte.
Io me ne occupo fin dove arriva. Non un millimetro oltre.
E da lì espongo senza tentennamenti dritto in faccia.
Qualsiasi faccia la luce abbia, è solo attraverso la sua esposizione che puoi restituire la notte che stai attraversando.
E non c’è alcuna delega, alcun automatismo che possa restituire la tua percezione.
Una questione di simbiosi…
La notte ha i tuoi occhi. Chiudili.

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Efrem Raimondi - Polaroid 1998

From the series Appunti per un viaggio che non ricordo, Polaroid 1998. Available light.

Efrem Raimondi - Polaroid 1998

From the series Appunti per un viaggio che non ricordo, Polaroid 1998. Available light

Efrem Raimondi - Work, 2014

From the series Landscape2014. Full frame digital camera. Flash light

Efrem Raimondi - Work, 2013

From the series Landscape2013. Full frame digital camera. Flash light

VASCO ROSSI by Efrem Raimondi

Vasco Rossi, 2009. V-ide Eyewear adv. Medium format digital camera. Flash light
From the book TABULARASA, Mondadori 2012

Efrem Raimondi for INTERNI magazine

Rossella Rasulo, 2014. INTERNI magazine. Full frame digital camera. Flash light

Baustelle by Efrem Raimondi

Baustelle, 2010. Gioia magazine. Compact digital camera. Flash + available light

Efrem Raimondi for Playboy magazine

Laura Maggi, 2012. Playboy magazine. Medium format digital camera. Flash + available light

Efrem Raimondi iPhone Photography.

From the series InstaRanda, 2015. iPhone 4s. Available light

Efrem Raimondi iPhonephotography.

From the series InstaRanda, 2014. iPhone 4s. Available light

Efrem Raimondi iPhone Photography. 2013

From the series InstaRanda, 2013. iPhone 4s. Available light

Efrem Raimondi iPhone Photography.

From the series InstaRanda, 2015. iPhone 4s. Car lights

Efrem Raimondi-Work, 2015

From the series Landscape2015. Full frame digital camera. Available light

Efrem Raimondi iPhonephotography.

From the series InstaRanda, 2015. iPhone 4s. Available light

Efrem Raimondi iPhone Photography.

From the series InstaRanda, 2014. iPhone 4s. Available light

Efrem Raimondi- Work, 2015

From the series Landscape2015. Full frame digital camera. Available light

Randa Nero by Efrem Raimondi

From the series Gattini, 2002. 35 mm color negative film. Flash light

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Ritratto con contorno – Fuorisalone 2015

Philippe Starck 2015 by Efrem Raimondi

Ciao! Io riparto…
Con una fotografia molto semplice. E ben al centro.
Senza possibilità di equivoco.
Prodotto di un percorso preciso: le conferenze che si sono svolte durante il FuorisaloneMilan Design Week insomma.
In calce il link dei primi d’aprile, che inquadra il tutto.
E così ho proseguito. In maniera sempre più decisa.
Dividendo seccamente il ritratto dalla conferenza.
Leggero… meravigliosamente leggero.
Veloce… meravigliosamente veloce: media a ritratto 45 secondi.
E conferenze in iPhone.
Credo sia necessario cominciare ad asciugarsi.
Facendolo tutti, magazine in primis, potremmo riprendere il bandolo della matassa.
E ricominciare ad occuparci di fotografia.
E meno di fotografie passepartout.
Perché è innegabile, qualcosa si è interrotto.
Forse davvero riflettendo di più e chiacchierando di meno, qualcosa può cambiare.
Non è indispensabile avere chissà quali robe e girare carichi come i muli dell’Adamello…

Stracciare certe abitudini è salutare.
Almeno dove è possibile, si proceda.
Perché si può fare fotografia anche con molto poco.
Questa una selezione necessariamente stringata di tutto il lavoro per INTERNI magazine: 84 ritratti e 140 immagini di conferenza.
Tra Expo Gate, Università Statale, Orto Botanico, Audi Lab, Biblioteca Nazionale Braidense.

Mai sottovalutare nulla! E mettersi in gioco come fossimo al primo scatto.
Ma perché snobbare le conferenze?

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Patricia Viel 2015 by Efrem RaimondiPatricia Viel

Britt Moran 2015 by Efrem Raimondi

Britt Moran

Stefano Giovannoni 2015 by Efrem Raimondi

Stefano Giovannoni

Piero Lissoni 2015 by Efrem Raimondi

Piero Lissoni

Kengo Kuma 2015 by Efrem Raimondi

Kengo Kuma

Bernard Khoury 2015 by Efrem Raimondi

Bernard Khoury

Felice Limosani 2015 by Efrem Raimondi

Felice Limosani

Moritz Waldemeyer 2015 by Efrem Raimondi  Moritz Waldemeyer

Francesco Morace 2015 by Efrem Raimondi

Francesco Morace

Alessandro Mendini 2015 by Efrem Raimondi

Alessandro Mendini

Philippe Starck 2015 by Efrem Raimondi

Philippe Starck

Gli unici due COLORE…

Anna Lindgren 2015 by Efrem Raimondi

Anna Lindgren

Sofia Lagerkvist 2015 by Efrem Raimondi

Sofia Lagerkvist

E poi appunto quattro immagini delle conferenze…

Daniel Libeskind - talk - by Efrem Raimondi

Daniel Libeskind. Talk

JacopoFoggini e RomeoGigli - talk - by Efrem Raimondi

Jacopo Foggini e Romeo Gigli. Talk

Efrem Raimondi iPhonephotography.

Audi City Lab. Talk

Biblioteca Braidense by Efrem Raimondi

Biblioteca Braidense. Talk

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Questo il link al post del 3 aprile:
https://blog.efremraimondi.it/energy-creativity/

Il tutto con questi strumenti minimi: uno zainetto, una reflex, un lampeggiatore di quelli dedicati, un diffusore di plastica – costo 20 € – un cavo sincro TTL che permette mobilità alla luce, uno smartphone. Nel caso mi sono portato dietro anche un fondalino bianco, in tela, 150 x 200 cm. Ben arrotolato.

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Più io. Da solo.
Come si deduce dall’immagine gentilmente concessami da Danilo Signorello, giornalista di INTERNI  magazine.

Efrem Raimondi in solitaria

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Energy for Creativity

ITALO ROTA by Efrem Raimondi

Energy for Creativity…
Cioè la Mostra-Evento che INTERNI magazine organizza quest’anno… Milan Design Week. A breve.
Intanto io sto seguendo una serie di incontri.
Conferenze direi…
C’è chi le snobba. Sì, le snobba: mi chiedo il perché…
Eppure sono un ambito stimolante per fare fotografia, proprio perché succedono sempre le stesse cose.
C’è un moderatore che in genere anche introduce… ci sono dei relatori, degli ospiti, fotografi, un pubblico, video, slideshow, domande e risposte, applausi, drink e selfie.
Poi tutti a casa.
La confezione è questa.
Indipendentemente dall’argomento e dal grado di interesse.
Indipendentemente dall’acqua minerale.

In vistadel Salone Internazionale del Mobile, che parte il 14 di questo mese, mi è stato chiesto appunto dalla rivista INTERNI di seguire l’intero ciclo. Che si sta svolgendo all’Expo Gate, Milano.
Proprio tra lo statuario Garibaldi e il Castello Sforzesco.
Il mandato è semplice: visto che sono sempre uguali e fatte due fotografie fatte tutte, vediamo di raccontarle diversamente.
Ecco… diversamente. Cioè?
Ma diversamente da cosa… diversamente?
Ho guardato la lista delle conferenze mirando ai relatori, tutti architetti che hanno realizzato alcuni padiglioni Self Built e Corporate di Expo Milano 2015.
Alcuni famosi famosissimi anche extra ambiente, altri ben ambientati.

Così ho pensato di fare un servizio di pubblica utilità. Spero.
E faccio le facce. Di tutti. Identico approccio a creare un percorso.
E i relatori sono sistemati…
Poi c’è il resto da raccontare… perché non fare un backstage?
Proprio col senso del rapporto tra formale e informale.
Non rompendo il ritmo che la confezione prevede, questo non ci riguarda, noi siamo tutti dei fruitori in qualche modo.
Però manipolarlo è possibile.
La confezione è quella, proviamo a entrarci davvero cercando la traccia che riguarda più l’emotività e meno il fatto.
Questo mi son detto.

Il tutto, nell’immediato, è concentrato sulla pagina Instagram Internimagazine. Poi si dipana anche sul resto del social della rivista. Facebook in primis nell’album Fuorisalone 2015, quindi Twitter.
Ci sarà poi un editing per il cartaceo. Questo a giugno.
Leggero: no assistente, un 28 mm s’una Nikon impugnata con la mano destra e un piccolo flash che muovo con la sinistra. Talvolta cambio. Questo per il ritratto.
Impugnato come capita un iPhone 4s per tutto il resto.
Il lavoro non è ancora finito. Anzi è appena iniziato.

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MICHELE DE LUCCHI by Efrem Raimondi

Michele De Lucchi

DAVIDE RAMPELLO by Efrem Raimondi

Davide Rampello

MARCO BRANDOLISIO by Efrem Raimondi

Marco Brandolisio

Sergei Tchoban by Efrem Raimondi

Sergei Tchoban

ITALO ROTA by Efrem Raimondi

Italo Rota

Italo Rota by Efrem Raimondi

Energy for Creativity by Efrem Raimondi

Energy for Creativity by Efrem Raimondi

Energy for Creativity by Efrem Raimondi

Energy for Creativity by Efrem Raimondi

Energy for Creativity by Efrem Raimondi

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Luce ambiente – Una pura formalità, 3

Vanessa Beecroft by Efrem Raimondi

La luce ambiente è quella che trovi, non la porti da casa…
Ci sono due modi per affrontarla: o usarla, che quasi non la noti o restituirla come fosse il soggetto, e allora la puoi toccare.
E sono due percorsi diversi.
Ambiente: che non è detto coincida con quella naturale.
Ambiente: inclusa l’incandescente giallognola bandita qualche anno fa. Però io ne ho una scorta, tutta in memoria.
Ambiente: quella dei lampioni di notte… quella del sole filtrata dalla finestra e schiantata s’una parete blu. Rossa. Bianca…
Ambiente: quella fredda del mattino. Calda la sera.
Ambiente: quella che la nebbia ti rimbalza in faccia e anche tu chissà dove sei.
Naturale: per definizione quella del giorno. Rigorosamente tarata a 5.500 gradi Kelvin, rigorosamente a mezzogiorno, rigorosamente col sole.
E se piove? E se nevica? E con la luna?
È solo una convenzione, mettiamola così: Naturale è la luce prodotta dal giorno che c’è, in assenza di qualsiasi luce artificiale, messa emotivamente in relazione con l’esterno qualsiasi esso sia.
Ambiente è la luce che determina, marca lo spazio nel quale ci troviamo, sia esso interno o esterno. E riguarda anche la notte che c’è, anche se addobbata a Natale.
Me ne frego delle convenzioni, e così per comodità etichetto tutto come luce ambiente. Cioè tutta la luce che non importiamo artificiosamente. Fosse anche una pila. Tantomeno la luce flash.
Perché poi, Naturale definisce un punto tecnico, mentre Ambiente una realtà promiscua.
E perciò più corrispondente alla condizione fotografica.

La prima luce con la quale ci siamo misurati tutti.
Perché subito riconoscibile; perché comoda; perché non impegna.
Perché non ci si pensa.
Perché non si vede.
Perché non disponiamo di un’alternativa.
Ne siamo in balìa…
Semplicemente non la guardiamo in faccia e le rifiutiamo un’identità.
La trattiamo un tanto al chilo: più è meglio è. Sbagliato.
Poi ti fermi e ti metti a guardarla. Così ti accorgi che una dialettica è possiibile e modulandola, la luce ti asseconda. Una generosità inaspettata.
Tutto ciò in ripresa, non dopo: dopo quando?
La fotografia è adesso, dopo è un altro tempo nel quale barare per dare forma a delle fotografie che fotografia magari non sono.
Adesso è il tempo che ci riguarda.
Per cui in primis, guardare la luce. Che in fotografia è il mezzo dominante. E determinante.
Diffusa e morbida, direzionata e contrastata, in ombra portata o scoperta. E il colore? E il bianco e nero?
Sono tutte domande che non hanno una rispota. Ne hanno varie.

Esiste una luce K, che è il coefficiente teorico della perfetta esposizione: quella esatta per impressionare il supporto che ti pare.
Ancora una quantità… viviamo in un mondo quantitativo. Non mi piace.
Qui però non possiamo fregarcene, ma solo polemizzando con l’idea di perfezione otteniamo l’esposizione che ci riguarda.
La luce ambiente si manifesta. E noi ne vediamo un’altra: quella che ci appartiene.
Questa è la nostra fotografia.
Vale per tutto, mica è una questione di genere.
E vale soprattutto per il ritratto.
Dove modulare la luce ambiente determina la cifra primaria.
Che se fosse un controluce? Un mosso piuttosto che un blocco di granito?
La luce che ci è data è una. La sua lettura ne determina altre.
E restituisce una gamma di volti e anche di espressioni.
La luce che ci è data è sempre una… che l’occhio registra come una soluzione, mentre fotograficamente è un composto. Spalmata in uno spazio più ampio di quello che il nostro occhio percepisce col suo angolo di campo di circa 50 – 60°, e che per convenzione ottica viene approssimato al cosiddetto obiettivo normale, cioè il 50  “Leica”, che in realtà è un filo più stretto.
Come se non bastasse, l’occhio rileva molte più informazioni al centro del campo visivo… E la periferia, che fine fa?
È semplicissimo: se usiamo un grandangolo abbiamo più luce ambiente di quanta ne avremmo con un tele.
E si può pensare che non influisca sul nostro ritratto?

Le immagini che pubblico sono solo esemplificative dell’uso che faccio della luce ambiente. L’unico artificio che mi concedo, quando ritengo, è un Lastolite circolare riflesso in bianco.
Tutto qui.

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Adriana Zarri by Efrem Raimondi

Adriana Zarri, 1984. PM mag. Color Slide 35 mm

Subsonica by Efrem RaimondiSubsonica, 2005. Lo Specchio della Stampa mag. Negativo 35 mm

Valentino Rossi by Efrem RaimondiValentino Rossi, 2001. GQ mag. Negativo 4,5/6

Francesco Bonami by Efrem RaimondiFrancesco Bonami, 2002. Gentleman mag. Negativo 35 mm

Pia Tuccitto by Efrem RaimondiPia, 2007. Album Cover Urlo. Negativo 6/7

Vanessa Beecroft by Efrem Raimondi

Vanessa Beecroft, 2011. Work. Digitale medio formato.

Giorgio Armani by Efrem Raimondi

Giorgio Armani, 2001. NOVA mag. Polaroid 600 BW con Polaroid 690 slr camera

Claude, my brother by Efrem RaimondiClaude – my brother, 1997. Work. Polaroid 600 BW con Polaroid SX-70 camera

Laure by Efrem RaimondiLaure, 1998. Work. Polaroid 600 BW con Polaroid SX-70 camera

Laura and Me by Efrem Raimondi

Laura and Me, 1997. Work. Polaroid 600 con Polaroid 690 slr camera

Annarita and Me by Efrem RaimondiAnnarita and Me, 2013 Work. iPhone Photography

Giorgio Faletti by Efrem RaimondiGiorgio Faletti, 2004. Baldini Castoldi Dalai editore. Negativo 4,5/6

Gillo Dorfles by Efrem RaimondiGillo Dorfles il giorno del suo 104° compleanno, 2014. INTERNI mag. Digitale full frame

Giovanni Bussei by Efrem Raimondi

Giovanni Bussei, 2000. GQ mag. Negativo 4,5/6

Vasco Rossi by Efrem Raimondi

Vasco Rossi, 2000. Campagna stampa Stupido Hotel album. Negativo 4,5/6

Tom Dixon by Efrem Raimondi

Tom Dixon, 2013. INTERNI mag. iPhone Photography

Giovanni Levanti by Efrem Raimondi

Giovanni Levanti, 2014. Istituzionale. Digitale medio formato

Laura Maggi by Efrem Raimondi

Laura Maggi, 2012. Playboy mag. Digitale medio formato

Sconosciuta by Efrem Raimondi

Sconosciuta, 2014. Work. iPhone Photography

Silvana Annichiarico by Efrem Raimondi

Silvana Annicchiarico, 2012. Ladies mag. Digitale medio formato

David Chipperfield by Efrem Raimondi

David Chipperfield, 2014. Grazia Casa mag. Digitale full frame

Laura by Efrem Raimondi

Laura, 2013. Work. iPhone Photography

Annarita by Efrem Raimondi

Annarita, 1995. Work. Polaroid 55. Banco ottico

Cat Power by Efrem Raimondi

Cat Power, 2012. Rolling Stone mag. Digitale medio formato

Zinedine Zidane by Efrem Raimondi

Zinedine Zidane, 2000. GQ mag. Negativo 4,5/6

Boys by Efrem Raimondi

Terremoto Irpinia, 1980. Reportage. Color slide 35 mm

Fuorisalone by Efrem Raimondi

Fuorisalone, 2013. INTERNI mag. iPhone Photography

Fuorisalone by Efrem Raimondi

Fuorisalone, 2013. INTERNI mag. iPhone Photography.

Luce ambiente by Efrem Raimondi

Luce ambiente, 2014. Work. Digitale full Frame

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#stop1here

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David Chipperfield in Galicia. Report

David Chipperfield - Stefano Core by Efrem Raimondi

34 ore per un solo ritratto.
34 ore leggere.
Senza trambusto… come mi piace adesso, che un po’ di cose sono cambiate.
E io con loro.
34 ore in luce piena. Anche di notte. Perché la luce si sceglie.
Corrubedo, Galizia, Oceano mare – qualsiasi riferimento a Baricco è inopportuno.
David Chipperfield e Stefano Core, amministratore delegato di Driade.
Questo l’assignment di Grazia Casa, magazine Mondadori.
Ma già che c’ero…

Già che c’ero mi sono guardato attorno, e mentre guardavo scattavo. Un po’ con l’iPhone e un po’ con la Nikon… e questi sono gli unici due strumenti che avevo, estremamente accondiscendenti e rapidi. No computer, no generatori e flash. No assistenti: per come avevo pensato di lavorare ero di troppo anch’io.
Se si potesse ridurre tutto alla minima presenza si brucerebbero meno energie. Cioè meno ossigeno.
Questo è l’unico vantaggio immediato del digitale.
E col ritratto che da un po’ rifletto, è un vantaggio vero.
Non sempre possibile. Ma questa volta sì.
Per me è quasi come tornare all’origine, che mettevo dei rulli in un sacchetto di plastica e in tasca una compatta.
L’inconveniente era che non sembravo molto credibile quando arrivavo a destinazione… certe facce!
Forse anche adesso. Ma io non me ne accorgo e mi godo le facce che trovo.

Questo sembra un report… ma è più simile all’idea che ho di redazionale, sponda iconografica.
Un racconto breve di 34 ore impegnate per un solo ritratto.
Ma già che c’ero…

Madrid airport by Efrem Raimondi

Santiago de Compostela airport by Efrem RaimondiVigo airport by Efrem Raimondi

Santiago de Compostela - sky by Efrem RaimondiTre aereoporti: Madrid, Santiago de Compostela, Vigo… non quelli di Milano Malpensa e Milano Linate al ritorno, che non ci ho neanche pensato.
E un solo cielo, quello sopra Santiago mentre si atterrava nel giallo serale.
Non ero mai stato in Galizia… un verde totale. Ma proprio tanto.
Poi un’ora di macchina per arrivare a Corrubedo, in faccia all’Atlantico.
Ma se il mondo finiva alle Colonne d’Ercole, qui dov’era?
Mentre girovagavo per casa Chipperfield alla ricerca di un punto fotografico per il giorno dopo, me lo chiedevo… qui dov’era? E cos’era?
Una luce lunga, di quelle che sembrano non spegnersi mai…
In mezzo una snap a Stefano Core mentre David Chipperfield cucina una pasta alle sarde.

Corrubedo. Galicia. View from David Chipperfield's house, by Efrem Raimondi

Stefano Core by Efrem RaimondiCorrubedo. Galicia. View from David Chipperfield's house, by Efrem Raimondi

Il mattino dopo comincio con un’istantanea a Elisa Astori, direttore marketing Driade, e poi il motivo per cui sono qui, David Chipperfield e Stefano Core. Insieme. E una no.

Elisa Astori by Efrem Raimondi

David Chipperfield and Stefano Core by Efrem RaimondiDavid Chipperfield and Stefano Core by Efrem RaimondiDavid Chipperfield and Stefano Core by Efrem Raimondi

David Chipperfield by Efrem RaimondiAppena fatto questo ritratto singolo ho pensato che avevo finito.
34 ore. All-inclusive.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Fotografia in vacanza

Efrem Raimondi photo

Io resetto tutto e me ne vado.
Anzi, prima me ne vado, poi all’imbocco di un viale qualunque di qualsiasi agosto il mio cranio passa in ora legale.
E questa è la mia vacanza. Un tempo sospeso nel quale mi disintossico alimentando relativismo e distacco.
E una sola certezza: finché anche qui, qualsiasi qui sospeso, trovo il motivo della fotografia che mi riguarda, sono vivo.
Lo trovo anche in altri sguardi, mentre girovago tra social e blog, con un Internet non sempre accondiscendente.
Lo trovo in alcune, rare, immagini… e poi lo trovo, spalancato nella sua compostezza, in un Facebook post di Francesca Stella, fotografa e blogger:

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Verrà mai un giorno in cui si dovrà ammettere di aver detto tutto?
Come una fucilata.
Infatti scarso consenso e nessun applauso. Un commento uno, quasi imbarazzato, il mio. Che è giovane la fanciulla, perché si pone questa domanda adesso?
Ma è una domanda che chiunque abbia a che fare col linguaggio non può non essersi posto, anche distrattamente. Anche poi risbattuta a calci e insulti nello sgabuzzino da dove è venuta.
Che prevede però due cose: che tu abbia davvero detto qualcosa, e che lo stesso tu non abbia più niente da dire.
E che a questo punto te ne renda conto, ti inchini e ti appendi da qualche parte.
Perché di finire su un piedistallo mobile, supposto che te lo diano, avanti e ‘ndre per palcoscenici a sparare cazzate e aneddoti, equivarrebbe a una veglia funebre itinerante.
Ci tieni?

Una questione intima quella di avere o no ancora qualcosa da dire.
Che non riguarda il consenso, per quello spesso basta il mestiere, forse più di comunicatore/trice che di fotografo.
Riguarda solo te stesso e la certezza che non stai bluffando.
Qualsiasi strada è buona e io uso la vacanza estiva… le fotografie delle vacanze, sissignore.
Che non so perché siano così snobbate… ma quando mai hai così tanto tempo a disposizione per fotografare in santa pace, senza dover rendere conto a nessuno? Potendo persino scegliere la pubblica incomprensione: è la cartina di tornasole del tuo sguardo, che ti frega del resto del mondo? È allo specchio che ti stai riflettendo, e non c’è nessuno, nemmeno nascosto dietro la tenda alle tue spalle.
É di questo che ti devi convincere: non c’è nessuno.
E nessuna fotografia è mai stata fatta.
O sono state fatte tutte… la condizione è la stessa.
Non pensare… dai retta allo stomaco che insiste e ti chiede DI COSA HAI FAME?
Chiudi gli occhi. E poi scatta.
Se quando li apri non ti rifletti, sei arrivato e non c’è altro che tu possa aggiungere.
Appenditi.

Una vacanza per venti immagini.
Venti come capitano.
Venti che mi servono.
Più una dell’anno scorso, visto che è sempre Pinzolo, Valle Rendena, Trentino.
Che non c’è come misurare lo sguardo negli stessi luoghi.
Cos’è che non ho visto ieri e che invece oggi mi è evidente come una decalcomania?
Quest’una è perché ho un dubbio. E i dubbi li manifesto.
Succede. A me succede.
Quando non accadrà più, quando mi rifletterò in sole certezze mi appenderò anch’io.
Che tanto non avendo alcun piedistallo è più facile.
Garantito.

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f/64 – il blog di Francesca Stella
stella_2iPhone 4s e Nikon D800 – per la prima volta in vacanza…

INTERNI – L’evoluzione dell’abitudine

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INTERNI
compie 60 anni.
È una delle cinque, sei riviste che l’Italia realmente esporta.
C’è una buona parte di addetti alla fotografia, a vario titolo, che pare non accorgersene: sono clamorosamente distratti dal tulle.
Après.

Il tema di questo redazionale è L’evoluzione dell’abitudine.
Quando mi è stato chiesto di interpretarlo sono rimasto lì, più o meno irrigidito sul posto a guardare delle mie immagini notturne, casualmente sul monitor. Alla rinfusa. Quasi alla rinfusa…
Ero al telefono, piena mattina ma precipitato nella notte del monitor.
La notte costringe a una scala percettiva diversa.
È un luogo. Non un tempo.
Nel tempo lento, proprio dell’evoluzione, noi realizziamo distintamente solo le fratture epocali. Che è ciò che ci tocca adesso.
Il buio di questa notte senza confine è l’habitat.
E l’abitudine è un ricordo. Quindi procediamo.
Il buio non spaventa i fotografi. A parte quel poco di luce alla quale ti puoi aggrappare, e che tu vedi distintamente, puoi sempre aggiungerne.
Quindi: la notte il luogo e il flash la luce. Che meglio del flash nessuna luce può squarciare.
Poi mentre chiacchieravo al telefono con Nadia Lionello, stylist di Interni, mi viene in mente la leggenda metropolitana della autostoppista fantasma… N. 1 in America, mica cotiche.
E distintamente ho un’immagine. Un po’ surreale… onirica la definisce meglio.
Che sono queste qui.

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Era una notte buia e tempestosa quella del 3 marzo. Un lunedì.
La strada che avevo in testa si trovava verso il confine svizzero.
In completa balìa di una cascata d’acqua dal pomeriggio: improponibile… non si poteva bagnare niente. E nessuno.
Alla mia amica scrittrice Rossella Rasulo avevo chiesto di interpretare la parte dell’autostoppista. Che era perfetta. Anche per il pallore derivato da una settimana di bronchite – i fotografi sono bastardi.
Ai pezzi, che poi erano prototipi, non ho chiesto niente, solo di esserci.
Quel lavoro si doveva fare quella sera. Non c’era alternativa… era la deadline redazionale. Non ci avevo neanche pensato a un’alternativa… viaggiare senza paracadute è una condizione che mi trascino da bambino. Mi fa sentire meglio.
O tutto o niente. O dentro o fuori.
Dicono che non sia un atteggiamento professionale…
Evidentemente non lo è.
Quindi ci siamo trovati a casa mia: Rossella, suo marito Mario – che è stato prezioso – la mia assistente Giulia Diegoli.
Erano più o meno le 20,30… Laura, mia moglie, ha fatto la cosa migliore, cioè stappare una bottiglia di bollicine. Così per cominciare.
Giulia e io siamo andati a fare un sopralluogo limitrofo… non c’era alternativa esotica possibile. Nessuna frontiera nelle vicinanze. Nessuna luna.
E abbiamo trovato un sottopasso in una zona periferica, tra l’industriale da un lato e la campagna dall’altro. Sopra le nostre teste, l’autostrada.
Il posto si prestava. Ho solo dovuto convincere Giulia che non saremmo morti investiti.
Del resto passava una macchina ogni mezz’ora. E a una velocità gestibile. Insomma era potabile.
Rientrati a casa sotto il diluvio, ci siamo uniti al vino, diventato rosso, e a cibarie di primo sostentamento. Strip, gatto onnivoro, era felice degli allunghi che gli arrivavano dagli ospiti: tutti gattofili!
Tu pensa il culo…
Poi basta. Poi diluvio o no bisognava andare. E siamo andati.
Tutti tranne Strip. Che comunque se ne guardava bene.
Una strana comitiva si aggira per le strade di Lombardia e stazione sotto un ponte autostradale.
Vero, non si usa così. Sembrava un fuori programma.
Io mi sono divertito.

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Il set, senza pioggia…

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Pezzi.
pg 102, Gina – sedia, design Jacopo Foggini per EDRA,
Tavolino – design Nendo per CAPPELLINI
pg 103, Zippo – divanetto ideato e prodotto da PEDRALI
pg 104, Wave – panca, design Nendo per DESALTO,
Anin – sgabello, design David Lopez per LIVING.
pg 105, Dotto – poltrona, design Ron Gilad per MOLTENI.

INTERNI mag N. 640 – Aprile 2014 – cioè adesso

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Rossella Rasulo, nel ruolo di autostoppista fantasma…
Stylist, Nadia Lionello,
Assistente fotografia, Giulia Diegoli

Fotocamera: Nikon D800 con Nikkor 24-70/2,8
Flash PROFOTO PRO-B3

Trussardi – Monografia mossa

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Se non si muove nulla, allora muoviti tu.
Se il movimento è incerto, allora sii deciso… corri.
Se la frenesia è altrui, allora stai fermo.
E tutto ciò per fare cosa?
Fotografia. Mossa.
Perché il mosso di cui parlo si fa quando si scatta.
Non dopo.
Che poi, diciamolo chiaro: si vede la differenza!
Ma perché mai si dovrebbe omologare una fotografia così?
Non ne ho idea. Né me la pongo.
Per questo all’occorrenza pratico.
E al Futurismo non ho mai pensato. Neanche per sbaglio.
Neanche la prima volta, che credo sia stato più o meno quando ho preso la fotocamera in mano.
Solo che appunto, poco dopo averla presa in mano ho passato i dieci anni successivi in banco ottico. Scorrazzando in lungo e in largo. Un grande amore. Di quelli per sempre.
Ogni tanto mi sono concesso un break.
E con la macchinetta in mano godevo del dinamismo ritrovato.
Quello realmente fisico.
È come passare dall’affresco e il trabattello, alla bomboletta e il fianco del metrò.
Ma non è mai stato un caso. Qualche volta un gesto isolato, vero, ma per essere davvero efficace e liberatorio serve un percorso.
Uno spazio ampio: argini alti che ne garantiscano il fluire e diano un ordine.
Perché altrimenti il mosso è solo un’ubriacatura… che poi passa e non ti rimane niente. Non ne ricordi nemmeno il motivo e fatichi a trovarne il senso.
Il mosso non è lo sfuocato, che non prevede alcuna dinamica: fermo lì a smanettare l’obiettivo e cambiare le sembianze, che accentuano  la matrice bidimensionale.
Il mosso è invece penetrazione della materia, sfondamento dello spazio, illusione percepibile di un volume.
Patteggiamento col tempo, che deformi a tuo piacimento.
Come un funambolo, così mi sento… appeso a un filo col baratro ovunque. Perché è un attimo finire di sotto. O di lato.
Attraversi il vuoto in uno stato di allucinazione, che è la condizione per raggiungere la sponda. E ritrovare la gravità. Quella che ti riguarda.

Questo lavoro è stato concepito così. Ne avevo bisogno.
Era morto da poco mio padre. Volevo spaccare il cielo.
Tutto questo a Nicola Trussardi non l’ho detto.
Anche se ne avevamo chiacchierato in due occasioni di questo progetto.
Né l’ho detto a Christoph Radl, suo il progetto grafico.
Non credo proprio potesse interessare. Erano solo fatti miei in fondo.
A entrambi loro, giustamente, interessava vedere cosa sarebbe emerso.
A fine settembre 1996 ho realizzato la prima parte, ci siamo visti, e a quel punto mi è stato chiesto di realizzare anche la parte che avrebbe riguardato l’inaugurazione di Palazzo Marino Alla Scala.
Questo lavoro, questo mosso, costituisce la struttura iconografica del libro Trussardi, Marino Alla Scala.
Ci sono altre immagini, di Mark Borthwick, Riccardo Bianchi, Santi Caleca, Massimo Montagnoli – caro amico scomparso prematuramente – e Mario Testino.
Ma la struttura, la cifra, appartiene a questo mosso.
Il cui soggetto è Milano.
Piaccia o meno, è proprio così.
Una monografia… Un libro. Che richiedeva esplicitamente uno sguardo.
Ricordo molto bene l’espressione di Nicola Trussardi quando guardava le stampe dell’intero lavoro: gliene sarò per sempre grato.
Questo non è un amarcord. Questo è un punto.

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Trussardi, Marino Alla Scala
118 pagine – Rilegato a spirale, 24 x 30 cm
Contenuto in scatola 28 x 32 cm
Progetto grafico Christoph Radl/R+W
Stampato da Nava Web
Milano, marzo 1997.

Le immagini qui pubblicate sono solo una selezione dell’intero lavoro.
Fotocamere Nikon FE e FE2
Obiettivi Nikkor: 20/3,5 – 50/1,8 – 105/2,5 in un’unica immagine.
Film: Agfapan 100 e 400 ISO

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La neve che ci tocca

 

La neve nasce ben sopra le nostre teste.
Nell’alta atmosfera, dove noi non saremmo in grado di vivere.
Nasce pulita, bianca di un bianco che non sapremmo vedere.
Il suo destino è precipitare. Ogni fiocco non oppone alcuna resistenza.
Giù, sempre più giù fino a toccare le nostre teste e caderci ai piedi aggrappandosi alla terra che trova.
E questa è la nostra neve. Non più immacolata, non più bianca cristallina trasparente.
Non più libera. Non più avulsa.
Ma nostra.
Un limbo in cui noi finalmente respirare sospesi.
Librati nel bianco che riconosciamo.
E che ci appartiene.
Quello che io amo fotografare. Quello che tutto cambia.
Tutti giù per terra.

Buon anno! Che sia sereno e chiaro.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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