My last Vasco Rossi…

Questa immagine, questo ritratto, fa parte dell’ultimo lavoro realizzato con Vasco Rossi.
Settembre 2014. Eravamo in Puglia.

Vasco Rossi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedUn lavoro piuttosto articolato. E io avevo in mente il colonnello Kurtz, proprio quello di Apocalypse Now. Quel Marlon Brando lì, che appariva dalle tenebre.
Che con le tenebre dialogava.
Non c’è un motivo, non una relazione che abbia una logica.

O almeno io non la trovo. Né la cerco.
E questo è assolutamente coerente: la fotografia alla quale penso non trova nella logica la sua risposta.
E comunque non fotografo risposte.

Un lavoro per l’ufficio stampa di Vasco Rossi, per Tania Sachs.
Che purtroppo non se ne fece niente perché non ci fu un solo magazine – che io ricordi – che ne usò una, anche una sola di questo percorso.
Come prendere una campagna stampa e ficcarla, magari con cura, nello sgabuzzino.

Solo Il Fotografo diretto da Denis Curti usò questa per la copertina: febbraio 2015.

Il Fotografo 2015 - cover Efrem RaimondiBasta, nessun altro magazine.
E non c’è alcuna colpa in questo, da parte di nessuno.
Una semplice questione di scelte editoriali.
Però però… Mi è stata immediatamente chiara la divergenza che si era creata tra me
e i magazine. Così d’emblée… Non do risposte.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Vasco Rossi e questa fotografia

Vasco Rossi e io ci conosciamo bene.
Anche se sono tre/quattro anni che non ci vediamo resta che ci conosciamo bene.
E non potrebbe essere diversamente visto come ci siamo dati fotograficamente per quattordici anni.
Sempre fotograficamente, la sintesi di questo percorso è condensato in TABULARASA, il libro fatto con Toni Thorimbert nel 2012: insieme abbiamo percorso ventisette anni con Vasco.

Che non è poco. E soprattutto è raro che ci sia un epilogo editoriale di questo genere.

A coloro che quando il libro è uscito mi scrivevano che non l’avrebbero preso perché non amavano Vasco Rossi rispondo adesso: e chi se ne frega!
Che il punto, l’equivoco, è sempre lo stesso: il soggetto è la fotografia prodotta, non la soggettività di chi o cosa è presente.
Ma è così difficile da capire?

E veniamo al dunque, questa fotografia:

Vasco Rossi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedCerto che è un ritratto. Ma indipendentemente se bella o brutta, è una fotografia – dell’utilità o meno non me ne occupo, mi fa sempre pensare al tizio che regala un minipimer al compleanno della moglie.
Una fotografia quindi. Cioè qualcosa che prima non c’era, non esisteva.
Lascia stare se è anche un ritratto, non è il punto.
Se è alle specifiche di genere che ti attacchi, questa fotografia non solo non la farai mai, ma neanche la immagini. Perché è tutta sbagliata.
E invece è di visioni che ci nutriamo. Come le traduciamo il differenziale.

Quasi due ore sotto la doccia. Un’enorme cabina: io da una parte con tanto di accappatoio e cappuccio a coprirmi dagli schizzi più asciugamano sulla fotocamera; Vasco di fronte perfettamente vestito e docciato. Stivali inclusi.
Grande collaborazione e pazienza – lui; grande tenacia il sottoscritto – mi si conceda il personalismo.
Di questo percorso ci sono altre immagini ovviamente, ma questa maschera è per me un’altra cosa proprio perché coincide con la visione originaria. Quella che avevo avuto due mesi prima.
Sai che mi frega del ritratto…

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Roma, Hotel Hilton Cavalieri – Gennaio 2004.
Assistenti fotografia: Fabio Zaccaro e Letizia Ragno.

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Oggi…

Oggi ho sessant’anni.
Non si dovrebbe nascere in un mese così.
Chiunque ad agosto, sa perché.
Una ricorrenza in apnea dal tempo delle elementari.
Nascosta il più possibile: d
etesto le ricorrenze.

Non me ne frega un cazzo del mio compleanno!
Oggi però ho sessant’anni…
Non ci credo.

Non ho mai considerato il tempo, il suo trascorrere, un problema.
Non un motivo di discussione.
Non ci ho mai pensato. Non l’ho mai scandito.
La relazione l’ho regolata centrifugando fotografia.

E finora tutto sommato m’è andata bene.

Stabilire unilateralmente che fermare qualsiasi moto è possibile.
Almeno sospendere, rimbalzando in una realtà parallela.

Quasi parallela. Perché invece procede per fatti propri.
E a un certo punto si allontana.
Un patto per sopravvivere a tutto.
Un’illusione meravigliosa.

Già…
Di anni invece ne ho tre.
Sempre quei tre fermi alla visione folgorante di mio padre che si toglie un guanto e mi saluta agitando la mano.
È così che ho iniziato a vedere.
E quell’anello… quel rubino che mi ha accecato nella neve di quel dannato Natale, adesso è mio. Da un po’.

Da trentotto fotografo pensando a me stesso, che me ne faccio del compleanno?

Nota
INVISIBLE è il video che precede alcuni miei incontri pubblici.
Un pot-pourri, una centrifuga. Tolte le quattro o cinque che segnano un momento preciso, le altre immagini le ho letteralmente pescate qui e là, trasversalmente e con leggerezza.
Non ho pensato, altrimenti non sarei stato in grado e tanto valeva rimanere come un coglione davanti allo specchio.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Fotografia e Design


Fotografia e design. In poche parole.

Ci provo…
È un grande luogo di crescita, una vera scuola.
Ti misuri con delle specificità che hanno la necessità di una vera dialettica per diventare espressione, fotografia: l’oggetto; i materiali e la lavorazione; lo spazio, quello fisico, quello che dialoga con le proporzioni.
La luce…
Quale, come e perché cazzo il rosso del divano rosso non è rosso.

Contrariamente alla norma preferisco la luce flash. Spesso.
Perché quella realmente più duttile.
Quella che mi asseconda nel rapporto con l’insieme.
Perché anche col design è una questione di insieme e il soggetto è l’intera fotografia.
E al di là di alcune fondamentali specifiche ineludibili, trascendere il genere è la mira. Questa la vera, grande difficoltà.
Qui non si scherza, non c’è bluff: qui la conoscenza di tutti gli elementi è la condizione di lavoro.

Amo confrontarmi col design, per me un luogo di sintesi… la convergenza di molteplici elementi: persone, ricerca, creatività, e quel fondamentale collante che è l’industria.
Ho ritratto diversi architetti e designer, con alcuni di loro ho collaborato a tutte le fasi del progetto.
Andando anche in fabbrica, confrontandomi direttamente con chi il pezzo lo produceva.
Un grandissimo, ne cito uno, perché nei suoi confronti provo vero affetto, e per quanto mi ripetesse di dargli del tu proprio non ci riuscivo.
È passato tanto tempo, ero un ragazzo: Achille Castiglioni.

Avanti e indré dal suo studio alla Cassina… nel mio studio a sfogliare Polaroid.
E giù a procedere all’unisono.

ACHILLE CASTIGLIONI by Efrem Raimondi

                         Achille Castiglioni nel suo studio. Milano 1992

Non mi spiego un certo disinteresse fotografico, non capisco la superficialità di chi liquida come fotografia commerciale: se c’è un luogo dove il linguaggio è elemento di distinzione è questo.
Un linguaggio applicato.
Un linguaggio iconografico trasversale dove la dialettica area-volume consente dilatazioni e compressioni altrove impensabili.
Il rapporto con lo spazio, con qualsiasi circostante, diventa soggetto.
Persino la negazione diventa segno e il contraddittorio è elemento vitale.
Nella fotografia che si confronta col design riconosco la convergenza naturale di molteplici linguaggi, di visioni, di utopia… la risposta potente alla debolezza del sistema iconografico contemporaneo che svicola nella reiterazione, sempre uguale, e nel monologo, sempre più noioso.
Singolare… nel confronto con le aziende, con le riviste e coi designer ho sempre trovato tutti gli elementi per poter fare la fotografia che voglio.

Meno paura e più conoscenza.
Meno isteria, più sobrietà e un’eleganza leggera.

© Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Efrem Raimondi for INTERNI magINTERNI mag. 1991-  Hannes Wettstein per Baleri Italia. Valeria Magli performance

Efrem Raimondi for INTERNI magINTERNI mag. 2014 – Pedrali per Pedrali. Rossella Rasulo irriconoscibile. Ma seduta

Efrem Raimondi for ABITARE magazineABITARE mag. 1994 – Milano, Città Studi

Efrem Raimondi for FLEXFORMFlexform, 1992

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 1993 – Studio DDL per Zerodisegno

© Efrem Raimondi for GRAZIA CASA mag. All Rights ReservedGrazia Casa mag. 2014

Talvolta un po’ ironici non guasta…

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 2008. Roberto Barbieri per Zanotta – Ludovica e Roberto Palomba per Sawaya & Moroni

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 2015. Milano, Isozaki Tower. Vitra – Nodus – Arper – Panzeri

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 1989

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedFlos, 1992

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 1990. Roberto Pamio per Matteo Grassi – Oscar Tusquets per B.D. Ediciones

© Efrem Raimondi for Abitare mag. All Rights ReservedABITARE mag. 2000. Fernando e Humberto Campana per Edra – Ron Arad per Vitra

© Efrem Raimondi- Gaetano Pesce, Nobody's PerfectNOBODY’S PERFECT, Gaetano Pesce per Zerodisegno. 2002

©Efrem Raimondi for Cassina - All Rights ReservedCASSINA, monografia RITRATTI. 1993 – 412 CAB and 413 CAB by Mario Bellini

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedGiovanni Levanti per Campeggi SRL. 2007

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 1994/1995. Piero Lissoni per Living

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. Fuorisalone 2013

© Efrem Raimondi - All Rights Reserved - Baleri ItaliaBALERI Italia, 1994 – Big Calendar 1995

© Efrem Raimondi - All Rights Reserved - FLEXFORMFlexform,1988

© Efrem Riamondi for Campeggi SRL - All Rights ReservedSakura Adachi per Campeggi SRL, 2014

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 2016. Jean-Marie Massaud per Poltrona Frau

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 2005. Patricia Urquiola per B&B Italia

© Efrem Raimondi for Cassina - All Rights ReservedAchille Castiglioni per Cassina, 1992

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 2007, Joe Velluto per Coro – Alessandro Loschiavo per Maoli

Un appunto sull’impaginazione di un lavoro. Con alcuni magazine questo dialogo è ancora
presente. Dovrebbe essere prassi

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 2013. Zaha Hadid per SLAMP

© Efrem Riamondi for Campeggi SRL - All Rights ReservedPoppy, Campeggi SRL, 1993

Se l’errore è il soggetto di un intero percorso…

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. Fuorisalone 2008

…e il backstage.

© Efrem Raimondi - All Rights ReservedINTERNI mag. 2013. Backstage. Rodolfo Dordoni per Minotti

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. 2016. Mario Ferrini per Living Divani – Marcello Ziliani per Opinion Ciatti

E poi c’è Ozzy, che mi ha accompagnato durante un reportage proprio dentro il Salone Internazionale del Mobile, tra stand e persone… caldo, rigore e confusione.
Adesso è tranquillamente a casa mia. Che è diventata anche la sua.

© Efrem Raimondi for INTERNI mag. All Rights ReservedINTERNI mag. Salone Internazionale del Mobile 2009. Reportage in Fiera. Con Ozzy

© Efrem Raimondi. All Rights Reserved

La stragrande maggioranza di questo percorso – che è una sintesi estrema – non sarebbe possibile senza la collaborazione di diverse persone. Ciascuna con un ruolo preciso.
Ma è solo attraverso un rapporto dialettico che gli intenti convergono e prendono forma.
E sostanza.
Coi magazine, il rapporto con la redattrice e la stylist è fondamentale.
Sono davvero grato a Luciana Cuomo, Nadia Lionello, Maddalena Padovani, Mia Pizzi, Diana Sung, Carolina Trabattoni.
Senza di loro molte di queste immagini non sarebbero qui.

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Io cerco te

Annarita by Efrem RaimondiIo cerco te.
Io cerco chi non si vede.
Io cerco chi mi sta davanti.
Io cerco te.
Io cerco tra le pieghe del gesto, lungo la smorfia delle tue labbra.
Io cerco te. Io cerco il tuo riflesso e al suo barlume m’aggrappo.
Io cerco te, così come ti giri e mi guardi.
Che cosa vedi? Fin dove arrivi?
Ti ricordi? Anch’io ho avuto vent’anni.
Anche qualcuno in più. Anche un po’ meno.
Adesso è ieri: a cosa credi serva la memoria?
Io cerco te.
Se ti nascondi io ti vedo.
La tua maschera…
Non ti serve alcuna armatura: sei nuda.
Io cerco te.
Non ho bisogno di niente e ’st’aggeggio che pesa, ‘sta roba che scatta è il nostro specchio.
Io cerco te.
E a volte mi trovo.

Laura by Efrem RaimondiLaura, 1986

Vanessa Beecroft by Efrem RaimondiVanessa Beecroft, 2011

Cat Power by Efrem RaimondiCat Power, 2012

FERNANDA PIVANO by Efrem RaimondiFernanda Pivano, 2005

ZHANG JIE by Efrem RaimondiZhang Jie, 2008

VALENTINA by efrem RaimondiValentina, 2010

Fiammetta Bonazzi by Efrem RaimondiFiammetta Bonazzi, 1995

Maddalena by Efrem RaimondiMaddalena, 2016

MONICA BELLUCCI by Efrem RaimondiMonica Bellucci, 1999

Laura by Efrem RaimondiLaura, 2013

Laura by Efrem raimondiLaura, 1998

MARIA TERESA by Efrem RaimondiMaria Teresa, 1999

GIORDANA by Efrem RaimondiGiordana, 1998

ALESSANDRA FERRI by Efrem RaimondiAlessandra Ferri, 1996

FOOTBALL PLAYER by Efrem RaimondiFootball player, 2000

Dana de Luca by Efrem RaimondiDana de Luca, 2016

Azzurra Muzzonigro by Efrem RaimondiAzzurra Muzzonigro, 2016

SILVANA ANNICHIARICO by Efrem RaimondiSilvana Annicchiarico, 2012

INNA ZOBOVA by Efrem RaimondiInna Zobova, 2005

Francesca Matisse by Efrem RaimondiFrancesca Matisse, 2015

Anastasiia by Efrem RaimondiAnastasiia, 2015

PIA by Efrem RaimondiPia, 2007

ADRIANA ZARRI by Efrem RaimondiAdriana Zarri, 1984

Valeria Bonalume by Efrem RaimondiValeria Bonalume, 2015

Madri & Figlie: Miri Elias Rettagliata e Simona Segre. 2002Miri Elias Rettagliata e Simona Segre. Madre e figlia, 2002 – non ricordo il nome del cane…

Annarita by Efrem RaimondiAnnarita, 1995

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

La donna… sì certo, la fotografo. Ed è al centro.
Un altro centro.

U P D A T E   febbraio 2018.

Cecilia Fabiani by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedCecilia Fabiani, 1990

CAROLINA KOSTNER by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedCarolina Kostner, 2006

Franca Sozzani by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedFranca Sozzani, 2016

FRANCESCA PICCININI by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedFrancesca Piccinini, 2011

Noemi Batki by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedNoemi Batki, 2017

BODY NUNBER 1 © Efrem Raimondi - All Rights ReservedBody Number 1, 2004

Maria Cabrera by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedMaria Cabrera, 1988 – Dolce&Gabbana

Laura by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedLaura, Cap Ferrat 2004

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Street Photography a chi?

Street Photography…
Di quando eravamo ignoranti.
 Per strada.
E non sapevamo che stessimo facendo Street Photography.
Quanto eravamo ignoranti…

Ci consola, un po’, il fatto che non lo sapevano neanche i Robert Frank, i Cartier Bresson, i Weegee – più strada della sua! – e tutta quella compagnia lì, randagia, zingara e precisa come il bisturi di un chirurgo. Intenta a fare Fotografia.
Incluso Eugène Atget, al quale Wikepedia mi pare, attribuisce la paternità. Della Street Photography. Amen.

Non m’interessa occuparmi delle denominazioni. Non in questo caso.
Non m’interessa quando la motivazione è formale e il neologismo sembra mosso dalla necessità di puntualizzare una distanza artificiale.
Frutto di un intellettualismo puerile, scolastico.
Frutto di un’esigenza commerciale.
Dettata da un mercato, quello dell’arte finanziata – spesso non coincidente con quello dell’Arte – che ha la necessità di sdoganare i prodotti di un’epoca fastidiosa e inattuale: quella della carta stampata.
Quando tutta questa fotografia si chiamava reportage.
E per quanto nobile sia il prodotto, la denominazione soffre dell’equivoco che la vorrebbe dedita alla documentazione.
In questo subordinata ad altre esigenze, più cognitive che espressive.
Una fotografia utile e basta.

Personalmente sono affascinato dall’inutilità delle cose.
Un po’ come dell’inutilità dell’uomo e del suo instancabile produrre.
Questo come postulato. Ideologico direi.
Poi, immischiandomi un po’: ma chi l’ha detto che Caravaggio è inutile?
Sì certo, forse per qualche ministro di questa repubblica…
E sporcandomi un po’ entro nel dettaglio per dire che l’utilità in Fotografia non è mai la discriminante.
Non lo è neanche la sua collocazione di genere.
Lo è solo la sua potenza espressiva. Indipendemente da ciò che rappresenta.
Da ciò che arbitrariamente impone.
E tu autore, chiunque tu sia, possiedi l’arbitrio per fottertene di qualsiasi denominazione?
Non si tratta di esporre. Si tratta di imporre.
La differenza tra esprimersi e emulare.
La differenza tra l’usare un linguaggio e farne la parodìa.
Questa è l’unica cosa della quale dovremmo preoccuparci.
E magari capire che la cosiddetta posa, cioè la percezione inequivocabile che il soggetto ha di noi, lì per lui che lo stiamo mirando, non rende la fotografia borghese.
O come ho sentito recentemente classica – magari! Provaci tu a diventare un classico!
Mentre se non si capisce un cazzo e tutto viene preso a randellate di flash allora è underground.
Quando stiamo fotografando, in quel momento lì, tutto il mondo è in posa per noi.
E ci tiene a una restituzione degna di una rappresentazione.
Se così non fosse non avremmo uno straccio di fotografia.

Le due fotografie sotto, realizzate con una Tri-X tirata a 800 ASA sono del febbraio 1982 e febbraio 1983, quando consapevolmente ingenuo girovagavo accompagnato spesso da una fotocamera 35 millimetri.
È stato un periodo utile al fine del ritratto che cominciavo a immaginare e che da lì a poco ho affrontato.
In banco ottico.
Ero timido con le persone. E l’idea di piantar loro addosso un obiettivo mi terrorizzava.
Ma la figura umana volevo affrontarla.
Il ritratto volevo affrontarlo.
Stare per strada, o comunque in luogo pubblico, è stata una palestra.
Uscivo con due ottiche: un 20 e un 35 mm.
Perché mi costringevano ad avvicinarmi.
A sentirla proprio la persona. Percepirne la fisicità.
A volte con la fotocamera puntata partivo da un po’ lontano e mi avvicinavo.
Dritto come un tram alla sua fermata.
Era fondamentale che mi vedesse distintamente.
Nessun equivoco: ce l’avevo con lui.
Lui il soggetto, lui al centro della scena, lui che  a quel punto mi distingueva bene.

Non scattavo finché non ero sufficientemente vicino.
E col suo sguardo in macchina gli dicevo: La sto fotografando… sia gentile, mi guardi, mi guardi bene.

Scattavo solo quando avevo la consapevolezza che non stessi facendo uno scatto.
Ma che avevo davvero qualcosa di simile a una fotografia. A quello che pensavo fosse una fotografia.
Che è anche la storia di una relazione.
A volte non dicevo assolutamente nulla.
Ma alla fine due chiacchiere si facevano sempre.
In assoluto non è così importante. Relativamente al percorso che stavo impostando, alla mia palestra di strada, lo era.
Comunque sia, i fotografi non rubano niente. Semmai ammazzano.

©Efrem Raimondi, 1982 - All Rights Reserved

©Efrem Raimondi, 1983 - All Rights Reserved

Mi resta solo un rammarico.
Del signore ritratto in treno, che mi guarda così, non ho saputo più niente.
Com’è nell’ordine delle cose.
E se non avessi scartabellato nel mio archivio, giusto per vedere cosa combinavo un po’ di tempo fa per strada, non avrei neanche la sua fotografia.
A questa ci tengo.
E ce l’ho.
Matrice solida.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Joe Strummer

JOE STRUMMER by Efrem Raimondi

Ci ha lasciato tredici anni fa…
Integralmente il pezzo che pubblicai per la ”rivistina snob” Uovo, nel numero 5/2003. Senza togliere e senza aggiungere. 
Eterno Strummer! Ti amo.

Non so… JOHN GRAHAM MELLOR… Così per l’anagrafe.
Per i parenti, più o meno stretti. 
Per qualche altro… forse.
Per tutto il resto del mondo è di Joe Strummer che sto parlando, frontman dei Clash. “L’unica band che ha contato qualcosa”.
Non so… E’ dura.
www.strummersite.com: 23 December 2002… Joe Strummer died yesterday.

Non ne sapevo niente… Sono andato a letto tranquillo la notte del 22.
Non che ne sia certo. Presumo e basta: una domenica… così vicina a Natale… con tutte le luci che martellano gli occhi e lo stomaco già predisposto al banchetto.
Almeno qui, in Occidente.
Non sapevo di svegliarmi orfano. Per la seconda volta.
Orfano.
Perché il vuoto non si misura con il grado di parentela. Né so dire se esista una qualche unità di misura: si sente o no.
Il vuoto è un’assenza piena e palpabile.
Mica un dispiacere (quel leggero prurito che ogni tanto ti coglie, in genere proprio dietro un orecchio ma che, tranquillo, in 18/24 ore è tutto passato).
Il vuoto è uno spazio permanente.
Refrattario a ogni terapia, rimbalza forsennatamente tra cranio&cuore.
Così all’inizio. 
Il tempo poi regola, modula preciso per la sopravvivenza.
Ma l’altro t’accompagna dovunque e per sempre, pronto a straziarti e a lasciarti muto quando gli pare.
Parlo per me: non ho la patente per farlo per altri.
Parlo per me, che sono cresciuto a pane e Clash.
Che me ne cibo dal ’77.
Mai mi sarei aspettato di trovarmi davanti Joe Strummer, sbucato da una traversa di via Vittor Pisani, mentre trascinava una valigia tipo trolley, imprecante, con lo sguardo levato alla ricerca di un qualche indizio che confermasse che sì, che era proprio quello il posto, la strada giusta di Milano dove avevamo appuntamento.
Non abbiamo mai chiarito perché il tassista li avesse lasciati, lui e quel buffo figuro che arrancava dietro (rivelatosi poi un qualcuno della casa discografica inglese), due-trecento metri dalla destinazione finale, cioè io (!!!).
Per la precisione Michele Lupi, già suo amico, e io, lì per ritrarlo per GQ Italia.
Del resto l’italiano di Joe era una scommessa, col suo improbabile bigino fatto di frasi idiomatiche, che mai ci azzeccavano una volta.

Primissimo pomeriggio del 21 settembre 1999: la voce con la quale interloquivo era la stessa che ascoltavo da anni provenire da una qualche cassa acustica, a casa piuttosto che in auto, in genere alternata a quella di un altro grande che in qualche misura me lo ricorda (intendo Vasco Rossi ma questa è un’altra storia).
L’effetto era straniante.
Il set era già pronto. I miei assistenti e io avevamo provato e riprovato, montato smontato e rimontato nelle due ore precedenti: Joe Strummer cazzo!
Tutto doveva funzionare alla perfezione.
Non erano ammessi inciampi, tentennamenti, sbavature: gestire l’emozione sarebbe stato affar mio durante lo shooting.
Il rischio è sempre lo stesso: ti trovi davanti alla leggenda, una figura idealizzata, e poi scopri di avere a che fare con uno che fa le bizze, montato dal proprio successo: bello tronfio a mezzo metro dal suolo e cento chilometri da te.
Un vero pezzo di merda che rimbalza da una suite all’altra con davanti qualcuno sempre pronto a stendergli il tappeto.
Joe Strummer non era così. Uno con la faccia pulita e il sorriso schietto.
Uno che non ti manda a dire niente, lo dice e basta.
Dell’artista sapevo già tutto, il mio cuore ne godeva da anni. Adesso era l’uomo.
Mi limitavo a registrare ciò che vedevo.
E la registrazione che conservo corrisponde in pieno a ciò che mi auguravo di vedere.

Non aveva l’aria della star annoiata, che una tantum si concede: curioso e rispettoso di ciò che stavo facendo mi seguiva tranquilllo su un terreno che non gli apparteneva, contento di farlo.
La sua scorza da duro mi sembrava più un manifesto, un’icona mutuata da un altro periodo e da esibire all’occorrenza, giusto per chiarire le cose… non una vera e propria pelle.
Lo sguardo era il riflesso di una sensibilità rara, molto esposta alle intemperie di un mondo che può convincere solo gli idioti e i manager.
Cazzo, un uomo!
Con un cranio, un cuore e una sola faccia da esibire!
Uno con una forte stretta di mano, non una roba che scivola via.

Cominciamo… 
Di norma, in questi casi, è presente un truccatore.
Non come per le modelle, serve solo per ripulire la pelle, evitare strani riflessi e dare una guardatina ai capelli. Rivista o chi altro, qualcuno ci pensa.
Chissà come, di fatto non c’era. Eppure nessuno sembrava sgomento.
Apre il trolley e scegliamo due cose, una camicia e una t-shirt.
Lui cerca anche del gel. Che non c’è, né nel trolley né altrove.
Non c’è neanche un lavabo né un cesso vicino, pare.
Strummer si sputa sulle mani e si passa i capelli: stupore!
Ma non c’è niente di volgare nel gesto, nessuna gratuità: fosse stato un artista slavo sarebbe stata una performance, nell’occasione è solo qualcosa di meramente funzionale e rapido.
Cominciamo. 
C’è una bella atmosfera, tra gente tranquilla.
Non è giornata per il colore.
Oggi uso un b/n rigoroso.
Sono lì con il mio 6×7 a mano libera che pesa una cifra.
Sono lì che punto Joe Stummer come fosse un abbraccio.
Sono lì e non vorrei essere da nessun’altra parte.
Adesso che sono qui, con la sua voce, quella che proviene da From here to eternity e quella registrata nella mia memoria, adesso è dura. Proprio dura.

Milano, febbraio 2003.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Joe Strummer by Efrem Raimondi

Joe Strummer by Efrem Raimondi

Joe Strummer by Efrem Raimondi

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Nota. questo articolo lo pubblicai qui nel dicembre 2012. riporto i commenti di allora contrassegnati all’inizo con *

 

Joe Strummer and me, Efrem Raimondi

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Bad Boys – Bad Photography

Bad Boys - © Efrem Raimondi

 

Bad Boys. Ma anche Bad Girls.
Insomma BAD PHOTOGRAPHY, cioè quella fotografia sospettata di connivenza col soggetto.
Perché l’archetipo funzioni occorre che il soggetto sia famoso e infame.
Dove: famoso è un fatto riconosciuto unanimemente; infame è invece una soggettiva, e ha a che fare con una valutazione morale urlata da una parte della cosiddetta opinione pubblica direttamente in faccia alla parte avversa.
Bene/male, buoni/cattivi, solita solfa.
Vietato astenersi: gladiatori virtuali… gladiatori felicemente abbonati in poltrona.
Poi ci sono casi limite dove l’infame è solo contro tutti: unanimemente infame a pulire la cattiva coscienza del mondo.
Infame dopo, magari. Come Lucifero. E chi l’avrebbe mai detto…
Soggetti fantastici. M’interessano anche di più. M’interessa andare a vedere nel dettaglio come li avevo ritratti quand’erano arcangeli, che magari…

Però ecco, quando fotografo di tutto ciò non me ne frega niente.
Nessuna barriera morale da erigere. Libero da pregiudizi e preconfezionamenti assortiti mi occupo della persona che ho davanti.
È la persona che mi interessa, che in un face-to-face rivela lati meno appariscenti, dettagli inaspettati.
E questo è il mio punto. Qui mi fermo tutto il tempo che occorre.
Prima di scattare. Poi scattando tutto si definisce abbastanza velocemente.
A volte con chiarezza, a volte meno. Ma in un percorso così c’è da preventivarlo: nulla è scontato. Nulla è predefinito.
Se poi ti basta il mezzo busto con dietro la bella libreria a descrivere le gesta intellettuali del grande statista, piuttosto che la poltrona preferita e la tappezzeria a ramages che fa ambiente, tranquilla che te le porto a casa.
Ti accontenti di poco però.
L’errore in cui OGGI spesso si incappa, è di pretendere una fotografia senza fotografo.
E si vede.
Perché fotografo definisce una persona che ha un’idea di fotografia. Non uno che fa fotografie. E più l’idea, l’architettura, è precisa più lo riguarda. E lo identifica.
E anche questo si vede.
Annunciazione! Tutto pensato a tavolino, allineato a un diktat e appiattito al compitino da svolgere, col ritratto non funziona. Eh già…
A meno di accontentarsi di un’illustrazione. Che appunto non è fotografia.
Dite di no? Dite che è polemica sterile? Ok, chiedo scusa, non mi soffermo… il mio intento è un altro. Ciao.

Occuparsi della persona, e non del giudizio, non significa non avere un’opinione.
Ma se proprio, mi rivolgo all’etica e non alla morale contingente.
Insomma… la fotografia didascalica non fa per me.
Forse è proprio così: me ne frego della Storia.
E la fotografia non emette giudizi. Non la mia almeno.
Eppure è successo. Di essere stato redarguito per aver ritratto Tizio e Caio.
Addirittura Sempronio!
Il fatto in sé costituiva la colpa. Perché certificava la mia accondiscendenza ai valori/disvalori attribuiti all’innominabile.
Intercettato in rete:
”Ma hai visto i suoi ritratti?”
”Sì sì, c’è proprio un sacco di bella gente: Berlusconi e anche Andreotti. Una fotografia asservita. Punto e basta”.

Quando ritrassi Piersilvio Berlusconi, preventivamente e cortesemente mi venne chiesto se me la sentivo. Non in maniera così diretta naturalmente, ma la sostanza ho dedotto fosse quella.
Ero stupito: sono un fotografo, ritraggo la gente e non emetto sentenze di alcun genere. Solo regolare fattura una volta consegnato il lavoro.
Con Andreotti poi… quando venne pubblicato il trittico mi arrivarono due mail di amici di quand’eravamo giovani, belli, intelligenti e sulle barricate insieme, che mi accusavano di complicità: non si fotografa certa gente. Ti sei reso complice. Punto.
Complice??? Ma io non vedevo l’ora di ritrarre Andreotti!
Ci sta tutto… la fotografia evoca diversamente e a ognuno la sua visione.
Sulla sponda dei buoni non so scegliere… i santi mi interessano meno: se questo è il parametro preferisco ritrarre i demoni.
A qualcuno potremmo anche far indossare uno zainetto Prada, che il marketing ci tiene.

Tutto ciò non accade se l’infame non è famoso. Anzi, se non è famoso non è neanche infame. E l’accezione bad boys si tinge di romantica commozione.
È la convenzione che si riserva al disagio.
Alla fotografia del disagio nello specifico. Che assume un’aura nobile, socialmente rilevante. E nessuno ti imputa niente.
Mentre è qui che più mi scandalizzo nel vedere stracciata ogni etica.
Per me cambia niente: m’interessano le persone.
E tutte hanno un nome e un cognome. Punto.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

Bad Boys - Bad Photography

Piersilvio Berlusconi, 2006. Negativo 4,5/6 cm

Bad Boys - Bad Photography

Giulio Andreotti, 2006. Negativo 6/7 cm

Bad Boys - Bad Photography - Efrem Raimondi

Umberto Bossi, 1996. Negativo 10/12 cm

Bad Boys - Bad Photography - Efrem Raimondi

Mario Draghi, 1996. Negativo 6/7 cm

Bad Boys - Bad Photography - Efrem Raimondi

Massimo D’Alema, 1996. Negativo 10/12 cm

Bad Boys - Bad Photography - Efrem Raimondi

Alessandra Mussolini, 2006. Digitale APS

GIULIA LIGRESTI by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Giulia Ligresti, 2007. Digitale APS

NOEL GALLAGHER by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Noel Gallagher, 2005. Negativo 4,5/6 cm

ALEX SCHWAZER by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Alex Schwazer, 2011. Digitale medio formato

OSCAR PISTORIUS by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Oscar Pistorius, 2011. Digitale medio formato

ZLATAN IBRAHIMOVIC by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Zlatan Ibrahimovic, 2008. Digitale medio formato

BAD BOYS by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Periferia di Legnano, 1981. Negativo 35 mm

BAD BOYS by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Periferia di Legnano, 1981. Negativo 35 mm

© Efrem Raimondi. All rights reserved

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Football l’alter side

Football by Efrem Raimondi

Football… o futbal, come dicevano i miei nonni e tutta quella generazione lì.
Solo che qui è femminile… cosa cambia?
Nulla. Se non alcune sfumature nello spogliatoio, dove la complicità e il senso di reciproca appartenenza sono più evidenti.
Qui nello spogliatoio, qui in campo, e occasionalmente altrove in streaming, tipo l’ultimo mondiale giocato nel 2011.
Dove ho registrato un altro calcio. Che nell’atteggiamento generale è davvero molto distante da certa parodia gladiatoria, espressione di un’iconografia maschile tutta concentrata sulla rappresentazione del potere.
Questa iconografia a me fa schifo, mentre amo il calcio.
E non c’è come vedere un maschio in mutande che rincorre una palla per capire di che pasta è fatto.
Perché è vero, il calcio è una metafora della vita.
Lo è indipendentemente dal tuo grado di affezione o dall’abitudine a parlarne: chi ha giocato e bazzicato lo spogliatoio sa di che parlo.
Quindi… altro che nulla! Cambia tutto: il gioco è lo stesso, ma le sfumature di cui sopra sono un discrimine.
La minore esposizione delle atlete fa sì che ci si concentri sul merito sportivo e il fair play.
E di palloni mediatici alla Balotelli, al momento, non ce n’è.
Mi sembra un po’ come in fotografia versante Instagram: vi piace tanto Chiara Ferragni?  Godetevela! Poi spiegate a tutti quelli che hanno deluso lei e Mondadori non comprando la sua fatica letteraria The Blond Salade che devono ricredersi e correre in libreria – luogo improprio. Spiegateglielo…

Fiamma Monza, che in questo anno calcistico duemila.zero, militava in serie A.
Allenata da Giancarlo Padovan, allora prima firma sportiva del Corriere della Sera… e da Raffaele Solimeno, ex calciatore… questo lavoro è un reporatge. Lo è a tutti gli effetti. Anche se privo di disperazione e volti scavati dalla sofferenza.
Che per essere lirica e emozionale dev’essere altrui. Mica tua… tu guardi, piangi, fai la coda per la mostra, raccatti il libro e un souvenir e torni a casa contento. Con tua figlia per mano.
Forse è il caso che la pianti di dire che il reportage mi è estraneo, perché poi qualcuno vagamente distratto ci crede, e non appena accenno a parlarne vengo zittito da uno sguardo che dice ma tu che ne sai?
E infatti è una vita che non ne faccio, con una struttura così intendo, che nasce destinata ai magazine. E che poi magari, in qualche singola immagine, trova asilo anche altrove.
Per GQ Italia, quindi un maschile. Quindi si può pensare a una qualche morbosità nascosta nelle pieghe. Ma nascosta bene, perché io non ne vedo. Però fosse stato fatto per un femminile il dubbio non ci sarebbe stato.
Mi chiedo però come mai un femminile non ci pensi oggi a produrre un lavoro così.
Che sia una femminilità non condivisibile? Forse non condivisa da chi i femminili li fa… va be’, che c’entra… non è che quella che viene generalmente prodotta, come idea di femminilità dico, sia poi così condivisa dal pubblico femminile a giudicare dai resi in edicola.
E allora? Ma non è che i femminili si siano invaghiti di un concetto virtuale di donna? Una figura piallata che s’aggira confusa tra le pagine del giornale… un fumetto. Un fumetto magro.

Ricordo la lectio magistralis che mi fece una grande fashion editor molti anni fa guardando le mie donne ben ordinate in un portfolio: le donne amano vedere la proiezione di sé in una figura che le affascini e le faccia sognare: se tu odi le donne non fotografarle.
Ma come? Ma se io le amo! Ci ho messo anni a riprendermi.
Nel frattempo ho continuato a fotografarle.
L’ho rivista recentemente… ingrassata. Le sue donne, quelle che deambulano tra le pagine, sempre più magre.
Le mie stanno bene. E altrove.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Football by Efrem RaimondiFootball by Efrem RaimondiFootball by Efrem RaimondiFootball by Efrem RaimondiFootball by Efrem RaimondiFootball by Efrem RaimondiFootball by Efrem RaimondiFootball by Efrem RaimondiFootball by Efrem RaimondiFootball by Efrem RaimondiFootball by Efrem RaimondiFootball by Efrem RaimondiFootball by Efrem RaimondiFootball by Efrem RaimondiFootball by Efrem Raimondi

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Questa è una sintesi del lavoro, realizzato in due step: il dittico in notturna esterna durante l’allenamento. Che in realtà è un posato con tutto ciò che comporta, generatori, flash e corredo assortito. E una Pentax 67 col 105 mm.
Stessa sera, spogliatoio con una Pentax 645N.
Entrambe le situazioni con una AGFA APX 100.
Il secondo step la partita, Pentax 645N col 75 mm e una TRI-X PAN 320 PROF.

Assistenti: Fabio Zaccaro e Nicole Marnati.
L’articolo di GQ, firmato da Emanuele Farneti.

La chiamavano Nanda

 

Approfitto di alcuni commenti in ambito social riguardanti il ritratto a Fernanda Pivano pubblicato anche nel post che precede, per dire due robe due…
E che probabile anticipino una serie di articoli decisamente focalizzati sull’incontro, forte, con alcune persone. Incontri tradotti in ritratto.
Fernanda Pivano l’avevo già vista, prima di questo ritratto realizzato giovedì 30 giugno 2005, a Milano. A casa sua…

FERNANDA PIVANO by Efrem Raimondi

In ambito pubblico e uno più privato mercoledì 24 marzo 2004: certe date le registri per esteso in memoria. Quando l’ho accompagnata a Bologna, destinazione Vasco Rossi per un’intervista per Vanity Fair. E io con due compatte e un po’ di Tri-x a ritrarre l’evento.
Da questa serie ho estrapolato una sola immagine per il libro TABULARASA, fatto con Toni Thorimbert, per Mondadori.
E la stessa immagine mi è stata chiesta da RAI 2 per la serie Unici… essere Vasco Rossi. In verità un’immagine molto live, forse troppo. Non so… non ci penso. Non m’importa.

Fernanda Pivano - Vasco Rossi by Efrem raimondi, from TABULARASA

Comunque qui adesso, pubblico anche alcune altre. Anche più live.
Ed è assurdo, perché la cosa che più mi è impressa di quella giornata è come guidavo in autostrada! A 90 all’ora in prima corsia con gli occhi ovunque, in anticipo su qualsiasi evenienza… che se fosse successo qualcosa, qualsiasi cosa, ero fottuto. Io ero fottuto.
Le orecchie invece erano unicamente dirette. Sulla traiettoria della Pivano, seduta al mio fianco.
Che raccontava dei suoi incontri con Miller, Burroughs e cosa accadeva a casa Bukowski. Come quando il grande Hank torna dall’ippodromo con un paio d’ore di ritardo perché infilato sotto le macchine nel parcheggio a cercare di stanare un gattino impaurito.
E ce la fa!
E una volta a casa, gatto in braccio, passa le due ore successive a raccontare nel dettaglio il trionfo, mentre si occupa della divina creatura e sostanzialmente se ne frega dell’apprensione di Linda, sua moglie, e degli ospiti. Pivano inclusa.
Insomma, c’era solo da ascoltare. E da guardarsi attorno: il più lungo, lento, meraviglioso viaggio Milano – Bologna che mi abbia riguardato.

Fernanda… che praticamente tutti chiamavano Nanda. E io non ci riuscivo. Che mi sembrava di darle del tu. E proprio non ci riuscivo. Mi ha anche rimproverato per questo. Giuro.
Ci sono due soli modi di dare del tu… quello che non ci pensi e fila tutto liscio e quello che ci pensi continuamente e finisci per balbettare. Francamente, in mezzo ai tanti inciampi che mi riguardano, questo preferisco evitarlo. E non che con quelli ai quali do del tu ci sia una considerazione o una stima minore… è che è diverso. I monumenti io li vedo come un bambino, sempre enormi.

Al secondo incontro privato, quello del 2005, sono andato col critico Demetrio Paparoni. Una chiacchiera tra loro.
E mentre ero lì e ascoltavo, scattavo delle snap. E mi viene in mente come ritrarla… mi è chiarissimo.
Un set montato in 5 minuti, una verifica della luce e una Pentax 67 col mio grandangolo preferito per il ritratto. E lei ride. E io scatto.
E eccoci qua. Lei sempre presente.
Seee, si occupino pure di farfalle e parvenu assortite… ma vaffanculo, la storia siamo noi!

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Fernanda Pivano by Efrem Raimondi for Vanity FairFernanda Pivano by Efrem Raimondi for Vanity FairFernanda Pivano by Efrem Raimondi for Vanity FairFernanda Pivano - Vasco Rossiby Efrem Raimondi for Vanity FairFernanda Pivano - Vasco Rossiby Efrem Raimondi for Vanity Fair

FERNANDA PIVANO by Efrem RaimondiFernanda Pivano and Efrem Raimondi

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

N.B. Nel souvenir con Fernanda Pivano, la mia espressione imbarazzata è di rigore… mai a mio agio dall’altra parte della fotocamera.

Fotocamere: Leica Minilux, Ricoh GR1s, Olympus E300, Pentax 67.
Flash: incorporato per le snap, Profoto per il posato.
Film: Fuji NPS 160, Kodak TRI-X.

Assistenti: Letizia Ragno, Nicole Marnati, Emanuela Balbini.