Workshop eccetera – Appuntamenti

E.R. backstage © Nicola Petrara

E.R. backstage © Nicola Petrara. All Rights Reserved.

Una serie di appuntamenti che mi riguardano tra settembre e ottobre… tre workshop e due conferenze – o lectio magistralis, che stona un po’ per quel che mi riguarda, ma così si usa dire.

La sede del ritratto è il workshop. La cui prima uscita è stata a maggio alla Fondazione Fotografia Modena. E visto com’è andata mi ha convinto a riproporlo. Io che sono un po’ restio… che non amo particolarmente i WS: prima di questo di fatto non ne facevo.
Due giornate piene nelle quali il soggetto è il ritratto.
Oltre il genere in cui spesso lo si colloca con eccessiva rigidità.
Il ritratto al quale penso è innanzitutto fotografia: poi si ragiona su alcune sue specificità.
Ma senza un’idea più generale di fotografia, non credo si possa affrontarlo… non credo si riesca a fare emergere la cifra espressiva che ci riguarda.
Che se presente, da sola è in grado di trascendere il genere e portarci davvero altrove. Dove al momento non sappiamo.
Comunque altrove.
Se no nisba.
Se no possiamo infilarci comodomante nel flusso mediatico.
Che ha i suoi vantaggi, però la domanda è: ci riguarda davvero?
Ci appartiene davvero?
Ci soddisfa davvero?
Ci riconosciamo davvero?
Se è così, questo è un workshop inutile.
Perché si rivolge a chi è più animato dal dubbio e meno dalle certezze.

Una sola cosa… è un workshop con un’impronta precisa e che mi appartiene: non ha alcuna pretesa di universalità.
Per cui se il ritratto che mi riguarda è proprio estraneo, meglio evitare.
Nulla di male intendiamoci, ma almeno non si perde né tempo né denaro.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

Qui riporto il calendario ad oggi. Mancano alcuni appuntamenti in fase di definizione.
Di volta in volta aggiorno. Comunque si trova in alto nel menù alla voce WORKSHOP ECCETERA.

12-13 settembre Cambiano (Torino).
Workshop inserito nell’ambito di Cambiano Foto Festival.
Il cui Direttore artistico è Paolo Ranzani
Info e contatti:
http://www.cambianofotofestival.it/portfolio/efrem-raimondi/
Questa la scheda di partecipazione e il costo:
http://www.cambianofotofestival.it/partecipa/
Per ulteriori informazioni dirette:
Carlo Magenis
: +39 349 5816 123 
 carlo.magenis@gmail.com

10-11 ottobre Follonica (Grosseto).
Workshop inserito nel contesto della manifestazione patrocinata dal Comune di Follonica La città Visibile.
Sempre in questa circostanza il 9 ottobre presso la Pinacoteca Civica – ingresso libero – lectio magistralis La fotografia non esiste.
Info e contatti Alessandro Burato, che è l’organizzatore
http://www.alessandroburato.com/workshop-di-efrem-raimondi-a-follonica/

17-18 ottobre Formello (Roma).
Workshop organizzato da Rimesse Fotografiche.
Info e contatti:
https://www.facebook.com/events/747525538690839/permalink/747550385355021/
Per informazioni dirette:
Arianna Bonafede – 333 75 38 721

24 ottobre Milano.
Portfolio Review. Conferenza organizzata dalla rivista Il Fotografo.
Con la partecipazione di: Settimio Benedusi, Gianni Berengo Gardin, Maurizio Galimberti, Giovanni Gastel, Guido Harari, Giuseppe Mastromatteo, Malena Mazza, Ferdinando Scianna.
E il sottoscritto.
Conducono Denis Curti e Giovanni Pelloso.
Info:
http://www.spreafotografia.it/eventi/
https://www.facebook.com/events/144604972538257/

Questo al momento è tutto.
Spero a presto.

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Ritratto – Workshop: La sede del ritratto, bis

Efrem Raimondi Workshop

Cambiano Foto Festival, 12 e 13 settembre, La sede del ritratto, workshop di due giorni nell’ambito di una manifestazione più ampia della quale Paolo Ranzani è il direttore artistico.
Tutte le informazioni che mi riguardano sono qui: http://www.cambianofotofestival.it/portfolio/efrem-raimondi/
E questa la scheda di adesione con relativo costo:
http://www.cambianofotofestival.it/partecipa/

Per informazioni dirette:
Carlo Magenis
+39 349 5816 123
carlo.magenis@gmail.com

Due righe sulla struttura del workshop: non è dissimile da quello fatto a maggio in Fondazione Fotografia Modena, e un paio di settimane fa a Venezia a Casa dei Tre Oci.
Stessa questione. Stessa sottrazione.
Per chi volesse un minimo di documentazione, questi i link:
https://blog.efremraimondi.it/workshop-mi-fido-di-adesso/

https://blog.efremraimondi.it/workshop-ritratto-report-modena/

Aggiornamenti su altri ws si trovano in WORKSHOP-ECCETERA nel menù in alto.

Cambiano Foto Festival – Sito e contatti

Cambiano Foto Festival

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Ritratto quattro regole però

Efrem Raimondi backstage - by Giulia Diegoli

Ritratto… quattro regole. Come a bigliardo.
Mi piaceva molto giocarci, all’italiana, cinque birilli.
Ho ancora la mia bella stecca due sezioni… ferma lì da una quindicina d’anni.
Comunque ero un giocatore modesto.
Malgrado conoscessi le regole.
Perché vero, non basta conoscerle per giocare bene.
Solo che se non le conosci, non giochi.
Questo per quanto concerne il bigliardo, dove le regole sono oggettive.

In fotografia no.
In fotografia sembra che possa valere tutto.
Cioè niente.
Sembra.
E certamente per fare una fotografia qualsiasi, e magari anche piacevole, può anche essere vero.
Per farla…
Rifarla è un’altra faccenda. E il culo della casualità è esaurito.
Per ovviare a questa imperdonabile latitanza, occorre conoscere quelle quattro regole oggettive.
E già basterebbe per continuare nel gioco collettivo.
Poi però si può andare oltre e alzare il livello.
Con delle regole soggettive: quelle che manipolano coscientemente le oggettive.
E che sono la struttura della tua capacità espressiva. Quindi ben più complesse. Perché le usi senza dover ricorrere ad alcun ripasso, senza passare da alcun manuale.
Eppure sono struttura visibile.
Se non conosci le prime, non passi alle seconde.
Tutto ciò vale per qualsiasi fotografia si abbia in testa.

Non sono un docente… non sono un didatta.
Sono solo un fotografo che ogni tanto esprime il proprio punto di vista in sedi a me non abituali. Ma che non mi dispiacciono affatto.
Siano conferenze, workshop, o corsi accademici… per me non cambia: senza la mia fotografia sarei muto.
E questo è il mio limite: non ho pretese universali. Non ci credo.
Io parto da me. Questo lo dico con estrema chiarezza, giusto per evitare equivoci.
E i miei workshop, quelli recenti sul ritratto, e anche i prossimi in programma, uguale.
È bene che insista: il ritratto è uno degli ambiti fotografici più soggettivi che esistano… come si potrebbe affrontarlo se non partendo da sé stessi?

Per questo le mie quattro regole sono cinque:

1 – Il ritratto è in primis fotografia: FOTOGRAFIA!
Ed è questo l’approccio col quale va affrontato. Troppo spesso si finisce
invischiati nelle specifiche di genere.
Che sostanzialmente fanno coincidere una soggettività discutibile con
l’oggettività assoluta, trasformandola in Verità.
Balle…

2 – Il soggetto del ritratto è l’autore.
Privato del suo sguardo, il ritratto cessa di essere fotografia per rientrare nei confini, stretti, del genere. Che è un fatto di costume, magari giornalisticamente rilevante ma stop: ciò di cui parlo non ha niente a che vedere con l’attualità. Della quale me ne frego.
Il ritratto che davvero mi interessa si concentra sulla relazione fotografica che intercorre tra i testimoni. E che produce una fotografia tout court che non necessita di spiegazioni.

3 – La fotogenia è un’idiozia.
Un concetto vuoto che ha solo a che fare con la gradevolezza.
Cioè un fatto esclusivamente mediatico. Quello che l’autore restituisce è una immagine altra. Tutta quanta bordi inclusi… che segnano il limite tra ciò che c’è ed è visibile, e ciò che viene escluso. E che quindi non esiste.
Una fotografia che non ha nemmeno l’urgenza di confrontarsi con la riconoscibilità.

4 – Sottrazione.
Andare senza tentennamenti all’essenza di ciò che per te rappresenta la cifra di quell’immagine. Fosse anche un dettaglio apparentemente marginale: fa’ che diventi soggetto. E tutto il resto scompare. Via!
Non devi condensare tutta la storia di quella persona: basta un frammento… il ritratto non è un riassunto.

5 – Il ritratto è tale quando il soggetto ha la coscienza di essere ritratto.
Esiste cioè una reale partecipazione. Fosse anche durante un bombardamento.
Non ne determina la cifra, a questa ci devi pensare tu.
Ma la consapevolezza, fosse anche un istante, che si è in un’altra dimensione nella quale avviene un’interruzione del normale procedere, deve esserci. Perché fare ritratto, farlo davvero, non è mica una roba normale. E certe consuetudini, anche morali, si stracciano.

Poi ci sono una serie di questioni che si modulano all’occorrenza: ottiche, luce, postproduzione e via dicendo con tutto l’apparato strumentale.
Che partecipa indubbiamente… ho un’idea molto precisa a riguardo. Ne ho già scritto. Ma tutto ciò è solo in subordine.
Per ciò che mi riguarda, finisce qui.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

Backstage – Gentleman mag. Fotografia Giulia Diegoli

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Workshop – Ritratto – 2 incontri

MIO PADRE E IO ©Efrem Raimondi

Be’ insomma… mio padre e io.
Fotografati da mia madre.
Sarà il 1962… ’63. Nell’ordine che ha lasciato mio padre, incredibilmente non trovo la data.
Il mio primo workshop.

Due incontri al momento:
La sede del ritratto,
Modena, Fondazione Fotografia Modena, 22-23-24 maggio:

cover

 

Il mio ritratto sei tu,
Venezia, La Casa dei Tre Oci, 20-21 giugno:

VENEZIA

 

Al di là dei due differenti titoli, la struttura è la stessa.
E risponde alla domanda: qual’è l’origine, la matrice del ritratto che mi appartiene? Dove diavolo risiede? Come faccio a individuarla e quindi a modularla con le persone che ritraggo?
Ed è proprio una domanda sola.
Con una sola risposta: il ritratto è luogo di sintesi… crocevia di tutto il quotidiano che ci riguarda. E nel quale ci riflettiamo.
C’è un percorso da fare: prima come se parlassimo di fotografia… poi dentro nello specifico.
E si lavorerà anche.
No modelle, no modelli… non me ne abbiano, ma nella circostanza tutto inter nos.
Le info si trovano nei due link sopra.
¡Hasta Luego!

A margine: sulla questione workshop ne ho parlato specificatamente qui: https://blog.efremraimondi.it/workshop-mi-fido-di-adesso/

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Energy for Creativity

ITALO ROTA by Efrem Raimondi

Energy for Creativity…
Cioè la Mostra-Evento che INTERNI magazine organizza quest’anno… Milan Design Week. A breve.
Intanto io sto seguendo una serie di incontri.
Conferenze direi…
C’è chi le snobba. Sì, le snobba: mi chiedo il perché…
Eppure sono un ambito stimolante per fare fotografia, proprio perché succedono sempre le stesse cose.
C’è un moderatore che in genere anche introduce… ci sono dei relatori, degli ospiti, fotografi, un pubblico, video, slideshow, domande e risposte, applausi, drink e selfie.
Poi tutti a casa.
La confezione è questa.
Indipendentemente dall’argomento e dal grado di interesse.
Indipendentemente dall’acqua minerale.

In vistadel Salone Internazionale del Mobile, che parte il 14 di questo mese, mi è stato chiesto appunto dalla rivista INTERNI di seguire l’intero ciclo. Che si sta svolgendo all’Expo Gate, Milano.
Proprio tra lo statuario Garibaldi e il Castello Sforzesco.
Il mandato è semplice: visto che sono sempre uguali e fatte due fotografie fatte tutte, vediamo di raccontarle diversamente.
Ecco… diversamente. Cioè?
Ma diversamente da cosa… diversamente?
Ho guardato la lista delle conferenze mirando ai relatori, tutti architetti che hanno realizzato alcuni padiglioni Self Built e Corporate di Expo Milano 2015.
Alcuni famosi famosissimi anche extra ambiente, altri ben ambientati.

Così ho pensato di fare un servizio di pubblica utilità. Spero.
E faccio le facce. Di tutti. Identico approccio a creare un percorso.
E i relatori sono sistemati…
Poi c’è il resto da raccontare… perché non fare un backstage?
Proprio col senso del rapporto tra formale e informale.
Non rompendo il ritmo che la confezione prevede, questo non ci riguarda, noi siamo tutti dei fruitori in qualche modo.
Però manipolarlo è possibile.
La confezione è quella, proviamo a entrarci davvero cercando la traccia che riguarda più l’emotività e meno il fatto.
Questo mi son detto.

Il tutto, nell’immediato, è concentrato sulla pagina Instagram Internimagazine. Poi si dipana anche sul resto del social della rivista. Facebook in primis nell’album Fuorisalone 2015, quindi Twitter.
Ci sarà poi un editing per il cartaceo. Questo a giugno.
Leggero: no assistente, un 28 mm s’una Nikon impugnata con la mano destra e un piccolo flash che muovo con la sinistra. Talvolta cambio. Questo per il ritratto.
Impugnato come capita un iPhone 4s per tutto il resto.
Il lavoro non è ancora finito. Anzi è appena iniziato.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

MICHELE DE LUCCHI by Efrem Raimondi

Michele De Lucchi

DAVIDE RAMPELLO by Efrem Raimondi

Davide Rampello

MARCO BRANDOLISIO by Efrem Raimondi

Marco Brandolisio

Sergei Tchoban by Efrem Raimondi

Sergei Tchoban

ITALO ROTA by Efrem Raimondi

Italo Rota

Italo Rota by Efrem Raimondi

Energy for Creativity by Efrem Raimondi

Energy for Creativity by Efrem Raimondi

Energy for Creativity by Efrem Raimondi

Energy for Creativity by Efrem Raimondi

Energy for Creativity by Efrem Raimondi

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Bad Boys – Bad Photography

Bad Boys - © Efrem Raimondi

 

Bad Boys. Ma anche Bad Girls.
Insomma BAD PHOTOGRAPHY, cioè quella fotografia sospettata di connivenza col soggetto.
Perché l’archetipo funzioni occorre che il soggetto sia famoso e infame.
Dove: famoso è un fatto riconosciuto unanimemente; infame è invece una soggettiva, e ha a che fare con una valutazione morale urlata da una parte della cosiddetta opinione pubblica direttamente in faccia alla parte avversa.
Bene/male, buoni/cattivi, solita solfa.
Vietato astenersi: gladiatori virtuali… gladiatori felicemente abbonati in poltrona.
Poi ci sono casi limite dove l’infame è solo contro tutti: unanimemente infame a pulire la cattiva coscienza del mondo.
Infame dopo, magari. Come Lucifero. E chi l’avrebbe mai detto…
Soggetti fantastici. M’interessano anche di più. M’interessa andare a vedere nel dettaglio come li avevo ritratti quand’erano arcangeli, che magari…

Però ecco, quando fotografo di tutto ciò non me ne frega niente.
Nessuna barriera morale da erigere. Libero da pregiudizi e preconfezionamenti assortiti mi occupo della persona che ho davanti.
È la persona che mi interessa, che in un face-to-face rivela lati meno appariscenti, dettagli inaspettati.
E questo è il mio punto. Qui mi fermo tutto il tempo che occorre.
Prima di scattare. Poi scattando tutto si definisce abbastanza velocemente.
A volte con chiarezza, a volte meno. Ma in un percorso così c’è da preventivarlo: nulla è scontato. Nulla è predefinito.
Se poi ti basta il mezzo busto con dietro la bella libreria a descrivere le gesta intellettuali del grande statista, piuttosto che la poltrona preferita e la tappezzeria a ramages che fa ambiente, tranquilla che te le porto a casa.
Ti accontenti di poco però.
L’errore in cui OGGI spesso si incappa, è di pretendere una fotografia senza fotografo.
E si vede.
Perché fotografo definisce una persona che ha un’idea di fotografia. Non uno che fa fotografie. E più l’idea, l’architettura, è precisa più lo riguarda. E lo identifica.
E anche questo si vede.
Annunciazione! Tutto pensato a tavolino, allineato a un diktat e appiattito al compitino da svolgere, col ritratto non funziona. Eh già…
A meno di accontentarsi di un’illustrazione. Che appunto non è fotografia.
Dite di no? Dite che è polemica sterile? Ok, chiedo scusa, non mi soffermo… il mio intento è un altro. Ciao.

Occuparsi della persona, e non del giudizio, non significa non avere un’opinione.
Ma se proprio, mi rivolgo all’etica e non alla morale contingente.
Insomma… la fotografia didascalica non fa per me.
Forse è proprio così: me ne frego della Storia.
E la fotografia non emette giudizi. Non la mia almeno.
Eppure è successo. Di essere stato redarguito per aver ritratto Tizio e Caio.
Addirittura Sempronio!
Il fatto in sé costituiva la colpa. Perché certificava la mia accondiscendenza ai valori/disvalori attribuiti all’innominabile.
Intercettato in rete:
”Ma hai visto i suoi ritratti?”
”Sì sì, c’è proprio un sacco di bella gente: Berlusconi e anche Andreotti. Una fotografia asservita. Punto e basta”.

Quando ritrassi Piersilvio Berlusconi, preventivamente e cortesemente mi venne chiesto se me la sentivo. Non in maniera così diretta naturalmente, ma la sostanza ho dedotto fosse quella.
Ero stupito: sono un fotografo, ritraggo la gente e non emetto sentenze di alcun genere. Solo regolare fattura una volta consegnato il lavoro.
Con Andreotti poi… quando venne pubblicato il trittico mi arrivarono due mail di amici di quand’eravamo giovani, belli, intelligenti e sulle barricate insieme, che mi accusavano di complicità: non si fotografa certa gente. Ti sei reso complice. Punto.
Complice??? Ma io non vedevo l’ora di ritrarre Andreotti!
Ci sta tutto… la fotografia evoca diversamente e a ognuno la sua visione.
Sulla sponda dei buoni non so scegliere… i santi mi interessano meno: se questo è il parametro preferisco ritrarre i demoni.
A qualcuno potremmo anche far indossare uno zainetto Prada, che il marketing ci tiene.

Tutto ciò non accade se l’infame non è famoso. Anzi, se non è famoso non è neanche infame. E l’accezione bad boys si tinge di romantica commozione.
È la convenzione che si riserva al disagio.
Alla fotografia del disagio nello specifico. Che assume un’aura nobile, socialmente rilevante. E nessuno ti imputa niente.
Mentre è qui che più mi scandalizzo nel vedere stracciata ogni etica.
Per me cambia niente: m’interessano le persone.
E tutte hanno un nome e un cognome. Punto.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

Bad Boys - Bad Photography

Piersilvio Berlusconi, 2006. Negativo 4,5/6 cm

Bad Boys - Bad Photography

Giulio Andreotti, 2006. Negativo 6/7 cm

Bad Boys - Bad Photography - Efrem Raimondi

Umberto Bossi, 1996. Negativo 10/12 cm

Bad Boys - Bad Photography - Efrem Raimondi

Mario Draghi, 1996. Negativo 6/7 cm

Bad Boys - Bad Photography - Efrem Raimondi

Massimo D’Alema, 1996. Negativo 10/12 cm

Bad Boys - Bad Photography - Efrem Raimondi

Alessandra Mussolini, 2006. Digitale APS

GIULIA LIGRESTI by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Giulia Ligresti, 2007. Digitale APS

NOEL GALLAGHER by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Noel Gallagher, 2005. Negativo 4,5/6 cm

ALEX SCHWAZER by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Alex Schwazer, 2011. Digitale medio formato

OSCAR PISTORIUS by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Oscar Pistorius, 2011. Digitale medio formato

ZLATAN IBRAHIMOVIC by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Zlatan Ibrahimovic, 2008. Digitale medio formato

BAD BOYS by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Periferia di Legnano, 1981. Negativo 35 mm

BAD BOYS by Efrem Raimondi. All Rights Reserved

Periferia di Legnano, 1981. Negativo 35 mm

© Efrem Raimondi. All rights reserved

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Workshop. Mi fido di me… adesso.

Workshop - Efrem Raimondi

Workshop…
Fino a poco tempo fa non ne volevo fare.
In generale non li trovavo utili, soprattutto i miei.
Questo per iniziare… come una dichiarazione.

Più di due anni fa feci un post sul tema della didattica, maggio 2012.
Nel quale, tra l’altro, manifestavo la mia diffidenza per i workshop.
Come un fastidio. E pensavo ai miei, non a quelli di altri fotografi. Ai miei e a quei pochi che avevo tenuto.
Dal risultato inadeguato per ciò che ritengo uno standard buono.
Per questo trovavo sempre una scusa e declinavo gli inviti.
Perché costringere in due/tre giorni un percorso che fosse significativo sul ritratto, mi sembrava limitato. E per me limitante.
Ho bisogno di aria, di soffitti alti e che il tempo si fermi…
Il ritratto più di qualsiasi altra fotografia è un tempo sospeso. Quindi anche i relativi workshop si adeguino.
Questo per me.

Non avendo nulla da sommare, io sottraggo.
Ed è nella sottrazione che trovo la fotografia che mi riguarda.
Solo che fare questa fotografia è più semplice che dire come farla.
Perché non si tratta di fissare un binario e montarci sopra, e l’approccio non solo è molto importante, ma soprattutto non è univoco.
Questo era il vero limite, quello che riscontravo.
Aggiungevo però, a fine post, che ne stavo rodando uno.
Cioè un workshop dove il tempo fosse davvero sospeso.
E la sottrazione diventasse elemento visibile.
Dovevo trovare il modo per coniugare la struttura e l’idea che ho di fotografia con un percorso teorico-pratico realmente significativo sul ritratto, che per me ha delle peculiarità non declinabili.
Come l’assenza di effetti speciali dal sapore posticcio, per esempio.
O l’individuazione dell’elemento, magari marginale, che in realtà è l’architrave di tutto il rettangolo fotografico.
Un percorso che mantenga intatta la centralità del linguaggio e la sovranità dell’autore e che proprio nel fare, nel misurarsi praticamente con una situazione standard, sia in grado di rispondere alla domanda Dove ha sede il mio ritratto originario?
Perché si tratta di trovare la propria matrice, senza la quale produrremmo solo delle parodie.
Mi hanno aiutato molto una serie di conferenze che ho tenuto.
E anche la lettura di alcuni portfoli, prevalentemente di giovani autori, dove convivevano determinazione del gesto e una certa balbuzie espressiva. Cosa c’era che non quadrava?
A me era chiaro. A loro no. E proprio nel confronto ho trovato la chiave che mi riguarda. Che riguarda la serie di incontri in programma.

Adesso mi fido di me… adesso ho il workshop che mi mancava.
Bello secco. Modulabile sia in due che in tre giorni.
Non è la verità… in fotografia non esiste.
È solo il mio modo di fare ritratto.
Per cui l’unica condizione all’adesione, è che esista un’affinità.
E che ci sia la disponibilità a disintegrare i cliché.
Non ci sono effetti speciali, confermo.
Né fuochi d’artificio: c’è solo da andare dritti al punto.
Un face to face col soggetto, quello autentico. Cioè noi.
Perché è solo in noi che risiede l’origine del ritratto.
Se c’è, si trova. Se no amen.

Sottrazione è la parola d’ordine.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

C A L E N D A R I O
Comincio a maggio, presso la Fondazione Fotografia Modena.
Poi Venezia a giugno, presso CIVITA, Casa dei Tre Oci.
Il calendario si trova nel menù in alto WORKSHOP – ECCETERA, e sarà aggiornato di volta in volta.

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Il Fotografo magazine – Cover

Il Fotografo - Efrem Raimondi


Il Fotografo
ha una nuova direzione. Quella di Denis Curti.
Quindi sarà una nuova rivista.
Bene: in bocca al lupo!
Sono molto affezionato a questo magazine, perché è stato il primo a pubblicare un mio lavoro. Un reportage sui portatori di handicap… secco dal taglio intimista.
Ne ho già parlato.
Nel corso del tempo l’ho perso di vista… come un po’ tutte le riviste di fotografia.
Mi riaffaccio. Trentadue anni dopo.

È stato lo stesso Denis Curti a chiedermi di selezionare alcune mie immagine di Vasco Rossi.
Eh… sembra facile. Non lo è. Anche perché TABULARASA, il libro fatto con Toni Thorimbert, è lì da vedere. E per una volta mi permetto anche di aggiungere che di roba ce n’è tanta.
Comunque, Denis Curti e io, insieme, ce l’abbiamo fatta. E tre sono inedite.
Approfitto della circostanza per dire due cose sulla fotografia che faccio con Vasco Rossi.
È una fotografia semplice. Molto semplice.
Non è una fotografia facile.
Non è per niente dissimile da quella che faccio abitualmente: perché dovrei alterare qualcosa? A parte il fatto che non ne sarei capace…
E questo è il primo punto, quello che ha segnato sin dall’inizio il nostro rapporto: per me il soggetto è l’immagine che si ha davanti.
Tutto il rettangolo, non solo dove c’è lui.
Anzi a volte quasi non c’è.
A volte ci si nasconde. Entrambi.
E più credi di vederlo bene, perché ce l’hai proprio davanti a occupare tutto il fotogramma, più si gioca altrove.
Sono le sfumature, i dettagli, a contare.
Le imperfezioni… le ombre… le distonie e anche qualche – raro – eccesso iconico: tutto ma proprio tutto finisce per convergere e trovare equilibrio.
Magari precario, ma chi se ne frega… noi lo congeliamo esattamente nell’istante che ci accomuna. E con ciò, è per sempre. O almeno per il tempo che ci riguarda. Che è già qualcosa.
Uso il plurale. Perché per farlo da quattordici anni, occorre sintonia.
Che non è una coincidenza piatta, ma un percorso realmente condiviso. Anche nella contraddizione.
Con lui ma anche coi suoi collaboratori più stretti, in primis Tania Sachs e Floriano Fini. Che sono stati sempre presenti a tutti i miei shooting.

Non ho mai ritratto nessuno dicendogli Fai quello che vuoi.
Né tantomeno lo direi a Vasco. Perché se ne andrebbe.
Chi è davanti all’obiettivo si aspetta che sia tu a dire qualcosa.
Anche le rockstar, anche le attrici, anche i designer.
Anche la mamma.
Poi si interagisce.
Nell’intervista di Denis Curti, Vasco dice Considerando che farmi fotografare m’innervosisce e mi indispone, è necessario che il fotografo riesca a coinvolgermi, sia molto sveglio, svelto e abbia le idee chiare.
Ecco… forse ciò che soprattutto mi riguarda è che si fa coinvolgere.
Altrimenti le fotografie sotto la doccia, quelle sì del 2004 – perché le due pubblicate di Castellaneta in realtà sono del 2014… un refuso, succede – non ci sarebbero state.
Quanto alle idee chiare, davvero a me si schiariscono strada facendo.
All’inizio mi guardo attorno e basta. Ma non c’è affanno.
L’affanno è inutile. Pericoloso e virale…
Qualcosa si troverà.
Perché non è tanto nello specifico di uno shooting e in una ideona triccheballacche che risiede la cifra di un lavoro.
Ma in una idea più ampia di fotografia e la sua modulabilità.
Questo vale per tutti. Non è una prerogativa ad personam.
E poi c’è il fatto che a me piace fotografare le persone complesse.
E Vasco lo è. Complesso, non complicato…
E questo è un agio.
Perché ci permette a volte di attaccarci a un dettaglio apparentemente marginale.
E invece lì c’è tutto.
Per esempio le due pubblicate, di Pieve di Cento anno 2013: Vasco era risorto rispetto a quando l’avevo visto un anno prima, che stava davvero male.
S’era lasciato tutto alle spalle.
E quando ho visto le frange di quella giacca nera mi è stato subito chiaro cosa fare.
Ho costruito una sequenza… in realtà a me bastava questo dittico.

Vasco Rossi by Efrem Raimondi

E avrei anche smesso di fotografare.
E avrei sbagliato. Perché un po’ dopo ho fatto quella del fondale e lui dietro.
Solo mani, cappello, stivali. Vasco anche così.
Per me almeno. E anche per lui credo.
Poi si tratta di verificare per chi altro…
Sono molto affezionato a questa immagine.
Fatta di niente.
Sempre recenti le due inedite di Castellaneta, settembre 2014. Cinque mesi fa.
Un Vasco così sdraiato e il primo piano della copertina.
Ognuno tragga le sue conclusioni.
Le mie sono che questa fotografia è sempre più divergente dal gusto di certi magazine. Che infatti non la usano.
Ma non è una colpa, semplicemente facciamo due cose diverse.
Io continuo a fare fotografia. Loro la evitano.
Sono fermi lì, Vasco Victim… Io no, io lo ritraggo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

Il Fotografo - Efrem Raimondi

Il Fotografo - Efrem RaimondiIl Fotografo - Efrem Raimondi

Il Fotografo - Efrem Raimondi

Adesso in edicola.
Un grazie speciale a Tania Sachs e a Floriano Fini, compagni di questo viaggio.

© Efrem Raimondi. All rights reserved

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il Potere davanti

Il potere logora chi non ce l’ha. Celeberrimo Andreotti.
La miseria invece logora solo chi la vive.
Giulia Ligresti e Anna Maria Cancellieri, una vicenda di questi giorni, nella quale non entro. Non per ritrosia. Solo che questo non è luogo.
Però riguardare il ritratto che ho fatto a Giulia Ligresti mi dà lo spunto per una riflessione, stavolta scritta, sul rapporto tra fotografia e Potere. E il cartello opposto, fotografia e Miseria.
Altre due citazioni, sorry…
Di Helmut Newton: Per me il massimo è stata Margaret Thatcher: che cosa c’è di più sexy del potere? e ancora Mi piace fotografare le persone che amo, la gente che ammiro, il famoso e specialmente il famigerato.
Non sono semplici provocazioni, queste di Newton, e che per lui fossero sacrosante non c’è motivo di dubitarne.
Se le indosso, me le adatto così: il potere, fotografarlo, è affascinante. Anche sexy, dipende. A patto di essere onesti e restituire una immagine che ti appartenga. Nella quale riconoscerti.
Il che preclude, nel mio modestissimo caso, l’ammiccamento.
Perciò sei esposto, molto più esposto che in qualsiasi altro ambito ci si cimenti fotocamera in mano. Guerre a parte. Forse.
Il potere di cui parlo è maiuscolo, cioè politico, economico, finanziario.
Quello da cui tutto dipende, anche i direttori dei giornali. Anche direttori e sovrintendenti delle varie istituzioni culturali. Oggi più che mai.
E quando si piazza davanti all’obiettivo di un fotografo, lo fa sempre con grande cognizione di causa.
Anche quando decide di evitare. Mi è successo… mi è successo di essere stato cortesemente rifiutato da un potente molto potente. Esplicitamente rifiutato: mi ha fatto molto piacere. Perché onesto nei miei confronti. Oltre che nei propri. Così non si generano equivoci.
Fotografare il potere non è agevole. E non ti dà alcuna gloria.
Anzi a volte finisci all’indice perché ti viene imputata una qualche complicità. A differenza della fotografia della miseria – altrui  miseria – con l’impianto umanitario e sociale… che ha vinto tutti i più grandi worldpress. Piena di boria bianconera new style, con un che di retrò che commuove e affascina.
Ah sì? A me la fotografia affascinante fa schifo!
Moralista e demagogica, formato cartolina nei dispenser dei bookshop trova la sua destinazione finale.
Miseria che fa cassa.
Miseria comoda.
Miseria photoshoppata.
Miseria passepartout infilata in qualche fashion magazine in cerca di consenso intellettuale.
Miseria sterile e miserabili disarmati…
La fotografia ha un’etica. E se ne frega della morale.
E fotografare non significa emettere giudizi universali.
Io fotograferei chiunque, anche il Diavolo se ne avessi l’occasione.
Che così, epidermicamente, mi invoglia più di tanti santi, miti e boriosi.
Che poi, non è che sto parlando di immaginette da mettere nel portafoglio o buone per la campagna elettorale: alcune di queste immagini hanno visto la luce solo grazie al sostegno del magazine che le aveva esplicitamente commissionate.
È di Capital edito RCS che sto parlando, direzione Mario Fortini.
L’intenzione era vedere la forma antropologica del potere.
Non bastava la sagoma, volevo il dettaglio… volevo capire se la specie di appartenenza era la stessa: com’è fatto il potere?
E se davvero lo si vuole fotografare, va guardato bene in faccia.
Dritto negli occhi.
E magari da molto vicino.
Senza timore reverenziale. Ma senza preconcetti.
I preconcetti, o anche più comprensibilmente le divergenze ideologiche o etiche, emergono in chi poi le fotografie le guarda.
E il giudizio a riguardo è immediatamente condizionato a seconda della sponda di appartenenza.
Credo che il fotografo possa andare oltre questa immediatezza.
Non ci deve restituire uno stereotipo… non una classifica di buoni e cattivi.
Non una didascalia.
Non una caricatura.
Non un’omelia.
Ci dia ciò che vede. È questo che si pretende da un fotografo.
Tutto qui. A patto di avere un magazine complice.
Quindi non subalterno. Io non ne trovo più.
Paolo Sorrentino ha fatto un ritratto forte, diretto e onesto di un uomo di potere. E Il divo è lì da vedere. E rivedere.
Un manuale da prendere alla lettera per chi fotograficamente col potere si relaziona.
A meno di essere delle veline.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.


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Indice:
Giulia Ligresti, 2007 – First magazine
Massimo D’Alema, 1996 – Capital magazine
Gianfranco Fini, 1996 – Capital magazine
Guidalberto Guidi, 1997 – Capital magazine
Biagio Agnes, 1996 – Capital magazine
Pier Silvio Berlusconi, 2006 – Men’s Health magazine
Giulio Andreotti, 2006 – Grazia magazine
Giulio Andreotti, 2006 – Grazia magazine
Mario Draghi, 1996 – Capital magazine
Cesare Geronzi, 1997 – Capital magazine
Franco Bernabé, 1997 – Capital magazine
Lamberto Dini, 1996 – Capital magazine
Enrico Micheli, 1996 – Capital magazine
Umberto Bossi, 1996 – Capital magazine
Walter Veltroni, 1996 – Capital magazine

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