Fotografia Europea 2014…
Premessa.
Chico De Luigi è un pazzo meraviglioso. Infatti lucidissimo.
Nel contesto di Fotografia Europea 014 – Reggio Emilia, ha concepito FRAMED, mostra collettiva di 61 autori.
Il soggetto, LA CORNICE.
Nell’invito che mi ha mandato leggo il testo di Marco Zauli, che apre così La cornice è una corona che consacra, eleva di rango una fotografia e quello che rappresenta, impone una genuflessione dello sguardo, deferenza dovuta a qualcosa che si riconosce valere (essere) più in alto del resto.
Chissà, può essere… non sono certo che mi riguardi. Però ci provo.
Poi altre riflessioni sul rapporto cornice – fotografia.
A me l’architettura della mostra piace, e il tema della cornice l’ho già affrontato. Diversamente, e tanto tempo fa.
Nello specifico attuale c’è un fatto che mi incuriosisce molto, ed è il motivo per cui aderisco senza pensarci un secondo più del dovuto: i 61 mandano una fotografia, ma la cornice la sceglie FRAMED.
Come chiedermi di andare nudo allo stadio. In un derby.
Però voglio vedere l’effetto che fa.
Quindi realizzo la fotografia che pubblico in testa, e la invio. Nuda.
La realizzo per questa occasione specifica, non rovistando nei cassetti. Che qualcosa a ben cercare c’è sempre, ma per me non è la stessa cosa. Almeno in questo caso.
Sabato 2 maggio vado a Reggio Emilia, e un minimo di report su questa mostra lo faccio. Magari.
Quello della cornice è un lavoro duro.
Oltre a essere un tema forte della filosofia dell’immagine, perché raffigurazione di un limite evidente. Sia di qua dell’opera, che di là, dove c’è tutto il resto.
Non mi frega niente dire di come son fatte, è il concetto di cornice la vera questione. Anche se, vero, l’idea che ognuno si fa influenza la scelta dell’oggetto che si usa intorno all’opera. E che la segna, la definisce appesa nello spazio che le è stato deputato.
Parlo di cornici, non di supporti modello sandwich: fotografia schienata a un compensato del cazzo e faccia contro un vetro che le toglie quasi tutto l’ossigeno… ma quel niente che resta, perché qualcosa resta, le omaggia umidità e muffa, compressa com’è da delle mollette d’acciaio.
E vedi che fine fa la tua bella fine art…
Tanto valeva stamparla al minilab sottocasa.
Comunque ‘sto sandwich a giorno non segna niente, non è una cornice, quindi non c’è motivo per parlarne.
La cornice invece sottolinea un confine tra l’opera, che è comunque un’astrazione, e il reale circostante, qualunque esso sia.
Questo in sintesi è il suo scopo, quello di creare una discontinuità evidente.
Paolo Ulian e io facemmo una cornice impalpabile, per la Association Jaqueline Vodoz et Bruno Danese, oggi Fondazione Vodoz Danese. Nell’ambito della mostra Intorno alla fotografia. 37 cornici per 37 fotografi, esposta nel 1998 a Milano e a Parigi.
E poi itinerante.
Per meglio dire, Paolo Ulian fece la cornice, io la fotografia.
Il risultato è un’opera a sé stante.
Da prendere nel suo insieme precario e matematico. Binomio assolutamente possibile.
E che allora presentammo così …Col nostro sguardo che un po’ declina gli ammiccamenti e le certezze dell’alta definizione, funamboli lungo un’impalpabile diagonale di luce, ci piace davvero proiettare quest’ombra, questa recinzione inesistente eppure visibile. Si allunga, si deforma, palpita in una sorta di rapporto omologico col rettangolo fotografico, assumendo di volta in volta forma diversa ma mai casuale, sempre rispondente ad una precisa logica matematica. Una cornice dinamica dai contorni liberi, instabile per propria natura. Impegnata in una continua dialettica col circostante è unica o molteplice, piena o soffusa. Precaria la sua stessa esistenza: appesa com’è a un filo elettrico basta davvero poco… staccare la spina… ed è finita.
Questo è l’unico concettuale che sposo. Perché ha forma.
Per chi si regola con le arti visive, una condizione imprescindibile.
Se no fai altro. Anche l’intellettuale se ci riesci.
O la performer balcanica. Col mondo per cornice.
© Efrem Raimondi. All rights reserved.
la cornice è sempre un dilemma, si deve per forza incorniciare? non è una costrizione?
Tu e Paolo Ulian avete si fatto un’opera a sé stante! un’opera unica, dove la cornice
che può anche non esserlo, è proprio parte integrante della foto, la esalta, si intreccia con lei, non limita il suo spazio vitale, si espande, è viva!
e certe cornici non sono vive…a volte assomigliano a necrologi
le opere hanno bisogno di confini. anche da attraversare
Scusami Efrem, non ho capito ma la fotografia che aspetta la cornice è davvero quella con il frigorifero?
crozza/papa francesco direbbe “il frigo”… comunque sì, quella col frigor. confermo
Non sapevo che tu e Paolo Ulian aveste collaborato insieme! Grande coppia per un grande risultato!
Ma non ti preoccupa l’idea di lasciare a altri la scelta della cornice per una tua fotografia?
sì diletta, anche se la cornice è di fatto tutta di paolo ulian. io ci ho solo ragionato sopra. quanto alla cornice demandata, diciamo così, non solo non mi preoccupa, ma anzi mi incuriosisce molto. voglio proprio andare a vedere… del resto mica è una personale, che cambierebbe l’intera faccenda
trovo davvero geniale la cornice d’ombra che avete escogitato, anche lei, come del resto la foto-grafia, esiste grazie alla luce!
Non mancano conferme sul potere creativo della luce: http://www.artonweb.it/artemoderna/quadri/articolo111.htm
E sono d’accordo anche sulla importanza/necessità della cornice in funzione non meramente decorativa, ma mezzo per creare un confine, tutto ciò che è fuori è altro, non ci interessa.
La cornice obbliga a concentrarsi sull’immagine e contemporaneamente ne definisce il carattere oggettuale. Quello che sta dentro alla cornice è un oggetto ed è anche una fotografia: oggettualità (del fare) e soggettualità (del pensare), per usare parole di Ada Cortese, si fondono nella sperimentazione sia analitica che emotiva, assecondando la “graduale distillazione dell’essenza e del movimento dalla prigionìa dell’ oggettualità che, madre di ogni oggetto, condivide con essi il destino dell’immobilità, del silenzio e dell’inconscietà.”, in breve, favorendo l’elaborazione della ‘filosofia dell’immagine’ (dal reale all’astrazione).
Del resto, è quello che devono aver pensato Cartier-Bresson, quando adotta il bordo nero intorno alle sue foto (anche per impedire che venissero arbitrariamente tagliate), o Avedon che, in ‘the American West’ e in seguito anche nei ritratti e le foto di moda, stampa le foto con un sottile bordino nero, facendone una sorta di marchio di fabbrica: in entrambi i casi un modo di ‘incorniciare’ per blindare l’opera ‘nello spazio che le è stato deputato’.
l’articolo che segnali me lo son perso. per cui grazie per averlo linkato… anche perché sul tema dell’ombra ci sarebbe tanto, ma proprio tanto da dire. e da fare. ho sempre amato l’ombra e ci ho giocato.
le cornici di avedon sono quelle proprie della pellicola piana che usava. presenti a volte anche oltre “the american west”. che nello specifico segnavano la fine di quel bianco quasi assoluto. bresson credo altrettanto, solo che erano 35 mm. dico credo perché non so se si trattasse del limite della pellicola o di un bordo creato dal marginatore in stampa.in generale è una cornice “naturale” usata da molti fotografi per un lungo periodo, ed è vero, serviva a sottolineare il cosiddetto taglio in macchina. anche questa cornice ho amato molto. e questa è proprio sparita. se oggi la usi quasi ti insultano.
solo una precisazione sull’opera che riguarda ulian e il sottoscritto: vero, paolo e io ci siamo confrontati sulla questione, ma è tutta farina del suo sacco
Quello della cornice è un lavoro molto duro ma anche quello di chi la deve scegliere: io non so mai come comportarmi! Certo che ci vuole coraggio a demandare la cornice per una propria opera! La cornice è importante e può anche fare del male e io non so se farei altrettanto :-)
sarà una sorpresa… domani