E buon anno

Se c’è una cosa che mi ha insegnato l’anno lasciato alle spalle è la leggerezza.
La facoltà di lasciare andare le cose.

E certa gente per la propria strada, che ho riconosciuto non essere la mia.
Quindi forse fare una chiarezza ulteriore sulla mia.

Non riconoscere più persone e colleghi.
Non le colleghe, loro sono le stesse che conoscevo.
Un po’ smarrite. Come me di fronte a certe manifestazioni pubbliche di goliardica arroganza. Tra una sirena e l’altra, tra un’ambulanza e l’altra a distanza di un minuto.
Ma cos’ha fatto il Covid?
Andrà tutto bene. Davvero?

Saremo migliori. Davvero?
Ce lo ricordiamo ‘sto mantra vero?
E questa smania di tornare alla normalità…
Non m’interessa quella normalità ante virus, che è proprio l’origine del problema.
Lei è il virus.

Che sì sì il Covid, ma oltre il suo devastante bagaglio, è stato detonatore di un malessere profondo. Strutturale.

Si deve ricominciare. Da dove? Con quale visione? Che mondo vogliamo?
E io cosa faccio?

Intanto magari sì dai, venderò cellulari. Qualcosa si deve pur rimediare.
Come suggerito dai simpatici guaglioni che mi hanno rubato faccia e nome su Facebook e spalmano ovunque ‘sta roba dell’iPhone 11 eccetera.
Poi, rubato… Per fottermi l’identità ci vuole un po’ più di impegno.
Che l’identità è un fatto di coerenza riconoscibile.
Anche nelle avversità.
Diciamo una presa in prestito di un paio di elementi identificativi, nome e faccia appunto. Che da soli non bastano.
All’inizio mi incazzavo – dura da novembre. Perché non è simpatico.
Poi mi è passata vista l’insistenza nel propormi come venditore di cellulari: evidentemente mi riconoscono delle risorse e uno status che non sapevo di possedere.
Un po’ come Troisi napoletano/emigrante in Ricomincio da tre e alla fine sì va bene, se proprio mi si vuole venditore di cellulari potrei convincermene.
Se non altro per non star lì a perdere tempo in spiegazioni.

Mi sto adoperando per rintracciarli.

Perché vorrei congratularmi con loro.
Fargli sentire tutta la mia vicinanza. A mio modo.
Poi mi ringrazieranno.

E dulcis in fundo certo, l’auspicio è di un buon anno.
Non per tutti. Il mio augurio è per le persone che riconosco.
Per gli stronzi no.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Ritratto e Identità

L’elemento identificativo per eccelenza è la faccia. VisoVolto, in italiano gentile.
Se dovessimo pensare il ritratto come codice identificativo potremmo fermarci qui. Riabilitando magari anche la fototessera.

L’identità invece è altro, cioè un sistema identitario consapevole, e tutto concorre a comporlo.
È roba tua, ma anche il passepartout sociale che permette l’accesso a un gruppo piuttosto che a un altro.

Cosa succede se a Vasco Rossi nego il viso?
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E se la negazione la sottolineo?
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Cosa succede? Niente.
La misura resta invariata: faccio fotografia. Che è un altro luogo, per nulla oggettivo.
Senza alcuna ansia si procede in una realtà mutata.

E mutante.
Vasco Rossi mi perdonerà se lo uso in questo contesto, ma è perfetto.

L’ho ritratto per quattordici anni: sai che importanza ha avuto il piano identificativo?
Zero.
Quello identitario? Molta.
La relazione iconografica che riconosco è solo questa: cosa intercetto dell’identità di quest’uomo? Cosa mi riguarda? Cosa vedo?

Fosse anche un lembo, è tutto. E da qui si procede.

Ma vale per tutti e per tutto. Anche davanti a un laghetto dolomitico, con la paperetta e la bambina che annega perché l’acqua è gelida e ha appena ingoiato una teglia di lasagne di mamma sua, anche qui, cosa vedi?
Nulla che ti riguarda? Lascia stare.
Passa oltre senza rimpianti.
E soprattutto smettila di ossessionarti con ‘sta menata del ritratto…
È tutto molto semplice.

Dedicato a chi guardandosi allo specchio non si riconosce. E si cerca altrove.

Entrambe le immagini sono state realizzate nel maggio 2013: stesso shooting a Pieve di Cento, dove Vasco Rossi e i musicisti provavano.

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