Alex Zanardi – Del ritratto

Alessandro Zanardi. E la relazioe ritratto-fotografia.
Una condizione semplice: non facile, semplice.
Dove il grado di complessità sta nell’eludere tutti i cliché che accompagnano la tormentata relazione.
Questo lavoro credo si presti per una breve riflessione.

Non c’è anima che tenga: non me ne occupo, non ne ho il tempo, non sono un predicatore e sono già abbastanza trafelato con la mia.
Non si può continuare a collocare con nonchalance certe parole, anche quelle consolidate: se c’è un’anima, nel ritratto soprattutto, è quella dell’autore. Ed è l’unica che cogliamo.
Prima di questo shooting ho incontrato Alessandro Zanardi una sola volta in compagnia di Michele Dalai, per l’anima semmai ci vuole un tempo che non è il nostro.

Nell’occasione scattai una double snapshot, con una compatta analogica flash on.

Alex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedAnno 2003. Cinque anni prima del redazionale per Men’s Health diretto da Luigi Grella – una direzione intelligente e molto coraggiosa.
In qualche modo proprio questa snap cruda è la matrice del ritratto di apertura.
E ancora, l’anima non c’entra niente.
Conta molto di più la spinta che il grandangolo medio, l’equivalente di un 35 mm. full frame, dà a tutto l’isieme. Spazio incluso.
E così sfatiamo l’avversione al grandangolo nel ritratto: lo uso nel 90% delle situazioni.
È solo una questione di modulazione e dialettica con lo spazio, a partire da quel rettangolino che è il mirino della fotocamera: succede tutto lì dentro.

Non è la verità assoluta. Ognuno faccia come crede ma la profondità che restituisce, il dinamismo, non hanno eguali.

Alex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedFatta questa, abbiamo affrontato lo studio a campo aperto: un limbo bianco molto generoso.
Prima con la sedia a rotelle. E qui gli ho chiesto se gli andava di scorrazzare.
Ha scorrazzato. Prendendo possesso di tutto il bianco che c’era.

Alex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedAlex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedA seguire un fronte e un back, a campo più stretto e nessun dinamismo: la handbike con la quale ha fatto la Maratona di New York.

Alex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights Reserved L’urgenza di un primo piano. Stretto.
Cambio ottica e monto l’equivalente di un 50 full freme. Di solito aggiungo un tubo di prolunga. Qui no, trattandosi di un piano sequenza piuttosto rapido: PAM – PAM – PAM. Stop

Alex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedAlex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedAlex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedE invece no stop. Perché mentre Alessandro si cambia, gli assistenti stanno mettendo a posto lo studio ecetere eccetera, io son lì fermo che guardo il pavimento del limbo.
E tutti quei segni, le tracce dello scorrazzamento, assumono un’altra valenza.
Di nuovo grandangolo. Si piazza un flash; parabola quella che c’è va bene; frostata.
Diretto e scatto.

Alex Zanardi by © Efrem Raimondi - All Rights ReservedStop. Adesso sì, shooting finito.
Un’immagine non preventivabile. Che non sapevo neanche se il magazine l’avrebbe usata. Ma per me non poteva mancare.
Una volta che le cose le vedi ti risultano nitide e procedi.
Non penso, non ce n’è bisogno, procedo. È un flusso…
Se questa immagine non l’avessi fatta mi sarebbe mancata.
Anche al magazine, visto che è stata pubblicata.

Funziona così: non pensare al ritratto. Fallo come fosse una qualsiasi fotografia.

Fashion consultant, Paolo Lapicca
Stylist, Monia Ripamonti
MUA, Guja
Assistente fotografia, Emanuela Balbini

Come tutti, spero di rivedere presto ristabilito Alex.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

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Il Gesto

Laura by Efrem Raimondi - All Rights Reserved    Laura – Lago Maggiore, 2014


Tu sei lì.
Io qui…
Una distanza ponderata.
Una distanza necessaria.
Stesso tempo, stesso spazio.
Stesso niente…

Vediamo orizzonti diversi: il tuo si ferma alla mia fotocamera, più che una linea un punto.
Il mio non ha traguardo.
E quando ti guardo, non ha ancora una forma.

Aspetto te.
Aspetto un gesto.
Un segno minimo estraneo a questo tempo.
Che dia forma al mio spazio.
E tu sei il centro.
Ti sembro distratto?
Mi vedi girato?
Tu resti il centro.

Basta l’ombra, basta l’accenno di un gesto interrotto.
Ti sembra irripetibile in questo tempo che ci riguarda?
Ma io mi ci aggrappo.
E gli do la forma che questo spazio non comprendeva prima di noi.

Tu sei lì.
Io da qui non mi muovo.
Io non penso.
Ma stavolta scatto.

Come si fa un ritratto?

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Alessandro Zanardi by Efrem Raimondi - All Rights ReservedAlessandro Zanardi – Milano, 2007 – Studi Mondadori

Questo articolo l’ho già pubblicato nel 2014.
In vista dei prossimi appuntamenti pubblici, workshop e lectio, lo ripubblico.
Perché ci sono questioni, intorno alla fotografia, che ritengo sostanziali.
Certamente sbagliandomi.

Non c’è nulla di male nel non volersi occupare del ritratto, ma se proprio ce ne facciamo carico va detto che non può essere preso come un esercizio stilistico.
E sia come viene…
Sia come al momento capita…
Sia in balia del circostante. Del soggetto soprattutto.

Se così, non se ne esce. E non si restituisce nulla che sia poco più che formale.

Una pratica notarile a volte. 
E non c’è software che presti soccorso.

Il rischio maggiore è la staticità. Che non riguarda l’immobilità del soggetto e i fraintendimenti sul posato: ci sono posati più dinamici di una corsa campestre!

Il ritratto riguarda l’interezza della persona.

Della quale ci occupiamo magari solo attraverso un dettaglio.
Spesso il più marginale… quello che non si pondera a priori.


Ma succede che proprio la marginalità diventi soggetto.

Cifra esplicita bastante a sé stessa.
E a tutto quanto.

Il soggetto di una fotografia è la fotografia stessa in tutta la sua interezza.
Per come la restituisci.
Per tutto il perimetro che la delimita.

Perché sì… e non c’è un altro perché.

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workshop Milano – New Old Camera

Alessandro Zanardi by Efrem Raimondi

Alessandro Zanardi © E.R.

Workshop, La sede del ritratto, prossimissimi…
Va be’, Follonica è settimana prossima, quindi andato.
C’è solo la cosiddetta lectio magistralis la sera del 9 ottobre, aperta a chiunque voglia.
Così come Roma, per Rimesse Fotografiche, che è il 17 e 18 ottobre.
Entrambe le info comunque si trovano nel menù in alto alla voce WORKSHOP ECCETERA.

Quindi c’è Milano:
7-8 novembre
New Old Camera
Organizzazione Workshop On The Road 

Info e contatti

In generale il senso del percorso è questo

© Efrem Raimondi. All rights reserved

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Una pura formalità – Obiettivi e ritratto

EMANUELE FILIBERTO DI SAVOIA


Una pura formalità…
Non l’ho mai fatto.
E in fondo non mi piace neanche parlarne.
Di tecnica fotografica…
Ma di fregnacce se ne sentono, e se ne leggono tante.
Anche troppe. Soprattutto in epoca di didattica diffusa. O sfusa.
Che purtroppo si traducono in fatti concreti, cioè in fotografie… meglio usare il plurale, che il singolare, fotografia, appartiene a un altro genere.
E questo danneggia fortemente la salute: meno quella oculare e più, molto di più, il binomio cranio – fegato.
Che se almeno rimanessero parole a vanvera, come d’abitudine, potremmo scartarle con grande facilità vista la scarsa propensione alla lettura che, ci dicono i dati, abbiamo.

La tecnica non è il motivo principale di nessuna fotografia, e anzi non è neanche un motivo.
Ma per quanto fastidiosa, è ineludibile. Chi dice il contrario bluffa.
E più la si possiede, più è dimenticabile.
Si usa e basta. E non si è usati…
Karl Marx sosteneva che chi conosce più parole ha più potere.
E non è necessario essere dei seguaci del Materialismo Dialettico per capire che è prorpio così.
La tecnica è semplicemente uno strumento di precisione, quello che ti permette di esprimere chiaramente ciò che intendi dire.
E quando davvero lo dici, e fortemente lo ribadisci, non la si nota neanche.
La fotocamera analogica più complessa da usare è la usa e gettadisposable camera.
In digitale l’iPhone o qualsiasi altro smartphone.
Questo proprio perché l’apparato tecnico è di proprietà del mezzo.
La fotocamera più semplice, per entrambe le sponde, è il banco ottico. Proprio perché si limita a fare il suo lavoro, cioè essere uno strumento ottico che disciplina la luce.
Come, dipende totalmente da noi.
In generale, più un’immagine ci appartiene e la ribadiamo, meno notiamo intrusioni meramente riconducibili allo strumento.

Recentemente ho sentito da qualche parte, non ricordo dove, che mai come oggi la fotografia è florida. Credo che mai come oggi sia emulativa e strumentale. Profondamente taggata dal mezzo.
Il ritratto sembra essere l’ambito più esposto, forse perché il più popolare.
Il più consumato, masticato e vomitato.
O forse solo perché il modo più semplice di riproduzione della specie, senza l’obbligo della distinta femminile.
Ed è proprio sul ritratto che entro nel merito di una specifica, una sola: l’ottica. Perché è da qui che si parte. Ed è una cifra predeterminante.
A riguardo se ne leggono di tutti i colori… random una manciata di cliché a scelta.
Non sono un didatta, non ne ho la patente. Ma pratico. Siccome, e me ne stupisco, succede che mi venga chiesto, lo metto per iscritto.
Che è essenzialmente un modo per evitare di ripetermi, e qualora ricapitasse ho un link da spendere. Comodo comodo.
Sottolineando che non è una verità. In fotografia non ce ne sono, esiste solo il relativismo. Che però a maggior ragione non è confondibile col fatto che qualunque cosa abbia diritto di cittadinanza: tutto si misura sempre con la fotografia che si ha davanti. E non sostituibile da alcuna parola, da nessuna descrizione: linguaggio autonomo.

Quando parlo di ottiche mi riferisco esclusivamente alla lunghezza focale.
Ognuno faccia come gli pare, io faccio così: due sole obiettivi a disposizione, un normale e un grandangolo medio. Più, a corredo, un set di tubi di prolunga, che uso applicato al normale.
Questo lo standard, indipendentemente dal formato. E con questo set economico si va dappertutto. Si ritrae chiunque.
Il cosiddetto normale è quello che fa più o meno coincidere se stesso con la diagonale del formato. Restituendo un’immagine molto simile a quella che i nostri occhi percepiscono.
Il fatto che spesso in epoca analogica, quindi prima del boom degli zoom, fosse di default montato sulla fotocamera primo acquisto, praticamente sempre una reflex 35 mm, ha fatto sì che il 50 venisse snobbato. Perché considerato economico, sinonimo di scadente.
E anche adesso, nel pieno del testosterone digitale, soffre di questa memoria.
All’inizio anch’io, uguale: con le mie due 35 mm usavo di tutto meno il 50.
Ma è l’obiettivo più duttile che esista: una meraviglia.
E a farmelo scoprire è stato il banco ottico. Nel formato 10/12 col 180 mm, mentre col 20/25, di rado e solo in studio, il 360 mm. Quindi in realtà in entrambi i casi leggermente più lunghi delle reciproche diagonali.  Come del resto lo è il 50 per il full frame.
Dall’uso pressoché esclusivo del banco nel decennio 1986 – ’96 ho mutuato la necessità, vitale, del tubo di prolunga per gli altri formati.
Il mio modo per avvicinarmi…
Per me estremamente utile e accondiscendente nello ”sfondare” i piani mantenendo volume. Cosa non altrettanto vera per i teleobiettivi, non nella stessa misura. Che mi danno l’impressione di appiattire troppo. Come di schiacciare.
E poi a me piace il contatto quando fotografo. E un tele, anche se medio, allontana.
Quanto al grandangolo giro intorno all’equivalente di un 28/30 mm, in subordine al formato.
E qui conta molto la distanza dal soggetto. Ma se usato con attenzione non c’è deformazione, solo una leggera spinta: lo trovo un obiettivo dinamico, tanto che spesso col medio formato digitale lo preferisco al normale.
Piuttosto, non so perché ma trovo ostile, o quantomeno ostico il piccolo formato – full frame – nel dialogo col ritratto. Soprattutto se verticale. E infatti appena posso mi rifugio nell’orizzontale, che mi sembra alleggerirne la compressione.
Tutto ciò detto è indubbiamente una faccenda mia, una nota tecnica poco significativa. Certamente indegna per qualsiasi forum o consesso fotografico.
Se però a qualcuno può interessare, adesso è a disposizione.
Così come il Rodenstock Sironar-N 360/6,8 di cui ho parlato prima: lo vendo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Alice von PlatenNOEL GALLAGHER (OASIS)RENATO DULBECCOFERNANDA PIVANOCAT POWERMASSIMO D'ALEMAJOVANOTTIVALENTINO ROSSINICKY HAYDENFRANCESCA PICCININIFIORELLORON ARADALESSANDRO ZANARDIALESSANDRO ZANARDI

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Nell’ordine:
Emanuele Filiberto di Savoia, 2007 – Men’s Health mag
SMC Pentax 75/Pentax 645N

Alice von Platen, 1998 – Primo Piano mag
SMC Pentax 105 + extension/Pentax 67

Noel Gallagher, 2005 – Sport Week mag
SMC Pentax 75/Pentax 645N

Renato Dulbecco, 1997 – Capital mag
SMC Pentax 105 + extension/Pentax 67

Fernanda Pivano, 2005 – Personal work
SMC Pentax 55/Pentax 67

Cat Power, 2012 – Rolling Stone mag
Hasselblad 50/Hasselblad H3DII

Massimo D’Alema, 1996 – Capital mag
Rodenstock 180/Toyo 45G

Jovanotti, 1999 – GQ mag
Rodenstock 180/Toyo 45G

Valentino Rossi, 2001 – GQ mag
SMC Pentax 55 /Pentax 645N

Nicky Hayden, 2006 – Men’s Health mag
SMC Pentax 75/Pentax 645N

Francesca Piccinini, 2011 – Playboy mag
Hasselblad 50/Hasselblad H3DII

Fiorello, 2000 – GQ mag
SMC Pentax 105/Pentax 67

Ron Arad, 1989 – Stern mag
Rodenstock 90/Toyo 45G

Alessandro Zanardi, 2007 – Men’s Health mag
Hasselblad 80/Hasselblad H3DII
Hasselblad 50/Hasselblad H3DII