Milan Design Week: giù la clèr.

Knoll at Prada © Efrem Raimondi. All rights reserved.

 

Al di là di tutte le considerazioni numeriche (molto confortanti) o economiche (l’industrial design soffre come tutti in questo dannato paese senza testa), il Salone Internazionale del Mobile è sempre un grande happening.
E Milano respira.
Io invece una settimana in apnea: dalle 7 alle 5, entrambe AM.
Tralascio il dettaglio e vado al triangolo: Facebook, Twitter, Sito.
Tutto taggato Interni magazine. Da qui si estrapolerà, forse, anche un cartaceo. Data e numero da destinarsi. Che non sarebbe male… giusto per arrivare al quadrato.
A spasso con l’iPhone… non tutto ha funzionato alla perfezione, in ambito Twitter essenzialmente. Mea culpa… frequento da poco e alcuni fondamentali mi mancano.
Per fortuna soccorso dall’ufficio di competenza della Mondadori.
Una prima assoluta in un ambito di questo livello. E assolutamente perfettibile.
Intanto sarebbe opportuno essere in due: io all’icona e l’altro al media. Altrimenti si perde l’attualità, che se per FB e il sito non è poi così importante, per TWT sì. E forse è questa mia scarsa attitudine all’attualità, indifferenza quasi, che me lo rende ostico.
Va be’, semmai se ne riparla alla prossima edizione.
La mira però era iconografica. Che confluiva nell’album appositamente ideato per la pagina Facebook, Interni Photo Diaries. Condiviso con Anastasiia Prybelska.
La premessa che mi riguardava era molto semplice: usare un mezzo elementare come l’iPhone per realizzare delle immagini che fossero fotografie… indiscutibilmente prodotto di uno sguardo che trova nel linguaggio la sua forma. La sua cifra. Applicata all’ambito social.
Non un report di istantanee, più o meno simpatiche, dei luoghi in cronologico parossismo. Perché il rischio del Fuorisalone è quello di  rimbalzare qui e là come la biglia di un flipper.
Che ci sta anche… non se devi costruire una galleria il cui soggetto è la percezione, quella restituita dai luoghi: composti di figure molteplici che intendi convogliare sulle pagine di una rivista come Interni. Che sa sperimentare e la fotografia la usa come mezzo espressivo ma l’attenzione alla sbavatura è alta. Un equilibrio complesso insomma.
Certo, il contesto era tale da permettermi anche delle divagazioni sul tema, in fondo il Fuorisalone è per natura social. Nel suo DNA c’è contaminazione e obliquità.
A certe ore anche un po’ di allucinazione… non mi reggevo più in piedi.
In quest’epoca d’immagine diffusa, di liturgia della presenza sgangherata, dell’improvvisazione iconografica, cosa ce ne facevamo di un report di istantanee?
Di fianco avevo, sovente, fotocamere e smartphone che scattavano continuamente.
Ma cosa? Duplicati.
Noi no. L’intento un altro.
Discutibile come sempre… c’è chi ha gradito e chi no.
Ognuno tira le proprie somme. E io le mie. Ma io amo questa rivista.
Giù la clèr.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Tom Dixon

Michael Young

Prospero Rasulo

Gianni Veneziano

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Ringrazio Michelangelo Giombini per aver creduto nel progetto. E condiviso lo sforzo.
Le immagini qui pubblicate sono un estrapolato.
Realizzate con iPhone 4s.

Hybrid

INTERNI mag, April 2013 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Il numero di aprile è il più importante dell’anno. Questo per la rivista INTERNI, causa il Salone Internazionale del Mobile: Milan Design Week.
Ibrido. Anzi, Hybrid Architecture & Design, che è il tema della splendida mostra nei cortili dell’Università degli Studi di Milano.
Questo redazionale è estremo. E il soggetto è la luce. Che è sempre padrona. Quando dà e quando toglie. E qui toglie.
Qui è solo la luce che c’è. Quella prodotta dalla lampada di turno.
In epoca digitale una sfida vera. L’avrei fatto in pellicola ma non c’era il tempo.
Non c’è più tempo…
Il tema della luce è anche quello dell’ombra.
Quando precaria o circostanziata, della penombra.
Che è luogo ambiguo per la vista. E di incertezza.
Zona della trasfigurazione. Dove la definizione è un valore mnemonico.
Un territorio che amo, quasi una nebbia emotiva.
L’abitudine al monitor rimbecillisce: credi che la realtà retroilluminata sia lo standard ideale in fotografia?
Bello e tombale, la dialettica è un’altra.
E io godo solo col cartaceo. Perché tocco con mano.
Solo dopo, a giochi fatti, cerco la pagina FB di La Stryxia, l’altro soggetto delle immagini, quello tangibile. E gentilissimo.
Leggo questo: PAGLIACCIO TRAVESTITO A LUTTO.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Stylist, Nadia Lionello.
Assistenti, Alessandro Albano e Francesco Andriolo.
LAMPADE:
RITUALS, di Ludovica+Roberto Palomba per FOSCARINI,
AVIA, di Zaha Hadid per SLAMP,
ASCENT, di Daniel Rybacchen per LUCEPLAN,
LABO, Federico Sandri per PENTA,
MIA, di Nicola Grandesso per DE MAJO,
FLORENSIS, di Ross Lovegrove per ARTEMIDE.

POLTRONA di Vincent Van Duysen per B&B ITALIA,
Abiti e accessori: ABER GAZZI, DE TOMASO, TSHIRTERIE.

Fotocamera Hasselblad H3D II-39 con 50/3,5.

Un grazie a  La Stryxia.

 

Milan Design Week – Anteprima

Università degli Studi-Milano, aprile 2013 © Efrem Raimondi

Un’anteprima stringata…
Giro con ‘sto iPhone da un po’. E lo uso anche come mezzo fotografico. Non sono il primo e non sarò l’ultimo. Ma di questo chi se ne frega.
Solo che non mi piace essere dispersivo… allora ho proposto alla rivista Interni (della quale parlerò nel prossimo post) un percorso social per questo Salone Internazionale del Mobile… questo che parte ufficialmente lunedì 8.
Parzialmente random per luoghi, show room, mostre, eventi (mi fa schifo ‘sta parola… proprio il suono), opening.
Trasversale, com’è questo appuntamento annuale.
Mano e sguardo liberi… predisposto a ciò che capita. Persone incluse.
La novità sta nel fatto che anziché essere pubblicato sulla mia pagina Facebook-Twitter, tutto ciò verrà postato sulle due rispettive pagine di Interni magazine. Passo passo… scatto scatto, minimo editing al volo, post in tempo reale. Creando un album di immagini (Interni Photo Diaries, on FB) che verranno poi, più in là, anche usate nella forma nobile, quella cartacea. Quella alla quale, checché se ne dica, i fotografi sono affezionati.
La prima foto c’è già, fatta mercoledì in uno dei cortili dell’Università degli Studi. Dove si sta predisponendo la kermesse made by Interni Hybrid Architecture & Design.
A Milano.
Stop. Ne riparliamo alla fine.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Grazie a Gilda Bojardi, Michelangelo Giombini, Andy Scupelli.

Tu e la tua macchina fotografica…

Ubaldo Dino Mancuso © Efrem Raimondi-iPhone

Reduce dal tour di presentazioni di TABULARASA, il libro su Vasco Rossi, edito Mondadori, la premiata coppia Raimondi–Thorimbert torna a faticare.
iPhone alla mano, immagini e audio, un botta e risposta negli spazi dell’ultimo (triste) Photoshow milanese.
Del tutto casuale la scelta delle persone, bastava che avessero una fotocamera esposta… almeno una. Poi c’era anche chi due… tre! Ho comperato la macchina apposta… mica come quel pirla col telefonino… Questi qui, appena mi avvicinavo e illustravo, declinavano.
Chi con un sorrisetto, chi sgarbatamente… facendomi sentire incredibilmente a disagio. Brutta sensazione.
Ammetto di avere privilegiato anche il grado di conoscenza, diretta, nel caso di un paio di persone incontrate incidentalmente. No premeditazione… no pentimento.
Non casuale invece il senso delle domande. Tre secche:
A – la tua macchina fotografica è femmina o maschio?
B – se ti do lo stesso modello della tua fotocamera ma nuova imballata, mi dai la tua?
C – il tuo/tua partner ama o odia la tua fotocanera?

Si dice body… corpo macchina. Ma non si tratta di un semplice involucro.
Non è un’armatura atta a proteggere fragilità inesponibili, quella di cui parliamo.
Esiste un rapporto feticistico, un transfert della meta sessuale?  O una affermazione del proprio status sessuale, a volte tale da diventare devianza… esibizionismo?
Già ai tempi del SICOF, che era altra roba rispetto al Photoshow, ricordo l’ostentazione di teleobiettivi formato super dotato. Il rimbalzo a Fallocrate e al suo Aforismi mi era chiaro.   E le fanciulle? Modulano diversamente.
Non è assolutizzabile, però alla domanda “Di che sesso è la tua fotocamera?” tutti rispondono. Quasi tutti collocano. Molti proiettano.
Per farne che, questa è un’altra faccenda. A volte niente. A volte per andare a spasso… prendere aria, vedere gente insieme: tu e la tua macchina fotografica, coppia fissa, nessuna relazione complicata. Che poi è l’elemento della terza domanda. Perché se il rapporto è certificato, il/la partner è del triangolo il vertice più lontano. Si assiste a vere scenate di gelosia… a tentativi di sabotaggio. Che in casi estremi prevedono anche la soppressione.
Ma in tutto questo, la fotografia cos’ha a che fare? Niente.

IMG_1806_Bruno
A: Femmina, perché LA Olympus.
B: Assolutamente no, le sono molto affezionato e non la cambierei con nessuna mai… mi si spezzerebbe il cuore.

IMG_1813_Jessica
A: Maschio! Perché… eh… perché mi sembra un maschio…perché è nera!
B: Dipende, se è scassata sì altrimenti no perché ci sono affezionata
C: Non la caga neanche…

IMG_1815_Luca Mantovani
A: Maschio, perché raggiunge l’obiettivo.
B: No, perché c’è un legame affettivo… ci sono voluti tanti sacrifici per arrivare a prenderla, mi è costata sudore insomma…
C: Se lei è il soggetto allora va bene altrimenti se la porto a destra e a sinistra, a fotografare animali o cose così… minchia!

IMG_1818_Barbara
A: Femmina, perché fa quello che dico io! – risata.
B: No, perché questa ho imparato a usarla e voglio andare avanti così.

IMG_1822_Antonio_Teresa
Teresa
A: Femmina
B: No! Si completa con la macchina fotografica maschio di mio marito.
C: Gli piace, è pur sempre una macchina fotografica… ma non vuole saperne di utilizzarla perché inquadra sotto il mio punto di vista!
Antonio
A: Maschia, perché è tosta,
ER: hai detto MASCHIA però…
Antonio – grande risata.
B: No, ci sono affezionato.
C: La ama, la ama… perché ama me! –risata.

IMG_1823_Roberto
A: Sicuramente è femmina… perché ci vuole tanta sensibilità, che è solo delle donne.
B: No, perché è impostata… mi trovo bene… poi mai lasciare il vecchio per il nuovo.

IMG_1826_Sara
A: Femmina! La… e poi perché assolutamente è  a occhio di donna…
B: No, ci sono affezionata e ci capiamo al volo.

IMG_1842_Giulia
A: Femmina, perché è LA macchina fotografica… sinceramente non vedo altre implicazioni per quanto mi sforzi… sono superficiale?
ER: Assolutamente no.
B: No! Perché ci sono molto affezionata… è il mio mezzo lo conosco e proprio non la cambio.

IMG_1846_Stefano Brandolini
A: Femmina! Perché è una cosa abbastanza intima… dev’esserci un rapporto… siccome c’è un contatto fisico dev’essere femmina.
B: NO perché non mi fiderei. Della macchina…

IMG_1850_Luca
A: Credo femmina…
ER: Come credo?
Luca: Non ne ho certezza, però visto che io la amo e sono tradizionalista penso sia femmina.
B: Non la vendono più la mia nuova… comunque NO mai! Sono legato sentimentalmente.
C: Bah… credo… credo che la ignori… credo.

IMG_1851_Ubaldo Dino Mancuso
A: Maschio… perché ci ho un coso lungo davanti quindi è maschio… maschio.
B: Eh certo, mica so’ fesso! –risata.
C: La adoperiamo insieme. Ci piace…

 IMG_1853_Massimo
A: Maschio perché… ha una forza… è virile! Virile sì.
B: No perché è personale… è un gioiello è come per la donna un gioiello.
C: Indifferente… indifferente.

IMG_1856_Liliana_Marius
A (Liliana): Una femmina –risata. Perché… perché così
A (Marius): Mmm… non ha un sesso.
ER: Questa fotocamera che state usando di chi è?
Entrambi: Tutti e due!
B: – all’unisono – Sì certo!

Questo è quanto… mia sponda. Quella di Toni è meglio, ed è qui:
http://tonithorimbert.blogspot.it/2013/03/what-sex-is-your-camera.html
© Efrem Raimondi. All rights reserved.

 

 

The cannonball woman by Maria Serena Patanè

Ho conosciuto Maria Serena Patanè durante un master (ma che diavolo è un master?).
Il fatto in sé è poco significativo… ci si incontra dove capita.
Conoscersi invece prevede un passaggio ulteriore. Mai gratuito.
Quello che serve a capire se una persona ti piace o no. E se quello che fa, idem.
Maria Serena idem.
The cannonball woman è un lavoro del 2008, presentato per l’esame finale alla Royal Academy of Art, L’Aja (Den Haag).
Un piccolo prezioso libro autoprodotto, rilegato, 21,5 x 14,5 cm.
Testo originale in eng: qui il pdf della traduzione in ita.
Testo-IT-thecannonballwoman

© Maria Serena Patanè – All rights reserved,

Il sito di Serena Patanè: http://www.serenapatane.com

HBTY!

Randagia tirolese, mon amour © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Questo blog ha compiuto un anno 1 giusto un mese fa…
Siamo giovani! Poca esperienza ma tanto entusiasmo.
Come si contano gli anni di un blog? Cioè, mica possono corrispondere al crono umano…
E visto che è di Kronos che si parla, mi piace rimbalzare dritto al tempo felino, al divino gatto, che per uno dei nostri lui di anni ne fa sette.
Quindi a questo blog, che al gatto si è inchinato e non perde occasione per omaggiarlo, attribuisco un’esperienza di sette anni.
Così, arbitrariamente e senza ragione.
In questo spazio ho incontrato persone che non conoscevo.
Quelle che hanno commentato.  Alcune poi de visu.
E certamente, almeno mi sembra, ho incontrato anche coloro che non commentano ma che di qui passano.
Non li conosco. Ma se li incrocio li riconosco. Oppure mi aiutano e si fanno riconoscere.
Io non distinguo più tra i due approcci, chi scrive e chi no.
All’inizio pensavo fosse importante commentare perché era un segno tangibile di presenza. Una cortesia anche.
In questo anno trascorso ho capito che no, che la presenza non ha urgenza di manifestazione. Può anche essere silente.
Per cui tutti benvenuti!
Da più parti mi arrivano inviti a partecipare a forum, gruppi ecc.
L’ho fatto una volta. Non lo faccio più. Perché se questo spazio si dichiara polemico, quello dei forum è luogo di belve incazzate.
Dove le ottime intenzioni dei promotori (alcuni, mica tutti) svaniscono nel battere di quattro post. Perché c’è sempre qualcuno che fa la gara di bigolo.
Per me la fotografia è roba seria (e non seriosa) che non si riduce a una gara di postulati e cliché. Manco fossimo Caravaggio…
Solo una cosa per favore… qualora dovessi sbrodolarmi addosso, ammazzatemi.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

La prima pubblicata © Efrem Raimondi. All rights reserved.

 

Oggi me la tiro

Non è mio costume… ma oggi me la tiro.
Prima il regalo di Luigi Fiore dalle pagine del suo splendido blog nonsologol. Inaspettato e emotivamente coinvolgente, perché mi ricorda un sacco di cose:
http://nonsologol.wordpress.com/2013/03/17/efrem-la-butta-sempre-dentro/
Poi questo articolo di Vilma Torselli per Artonweb. Anche questo inaspettato. E tosto come sempre:
http://www.artonweb.it/fotografia/articolo38.html
Nelle stesse 24 ore… ringrazio entrambi per il graditissimo regalo.
Perché è di questo che si tratta… io ero assolutamente ignaro.
Me li sono trovati lì. E adesso stanno anche qui.
Tra l’altro questa cosa di Gerhard Richter l’aveva dichiarata anche Photology condividendo un mio post Facebook col quale rimbalzavo all’articolo INSTAGRAM (qui, due turni dietro).
E io che conoscevo vagamente di nome Richter (ignoranza senza confine né pudore), adesso mi ci metto. E vado a vedere.
Però intanto un po’ me la tiro. Un pochino dai, mica mi allargo.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

 

INSTAGRAM

INSTA 10, marzo 2013 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Guardo il Web ma qui viro in una sola direzione.
I social network sono l’ambito di amplificazione di atteggiamenti individuali deteriorati che trovano finalmente traguardo sociale. E l’applauso.
Ci sono persino le claque. E neanche portate da casa… si autogenerano.
Questo riguarda tutti i social network che conosco e frequento: Facebook da un paio d’anni, Twitter dopo che Red Ronnie m’ha fatto una testa tanta in occasione della mia co-partecipazione a una puntata del suo meraviglioso Roxie Bar TV, per cui primo tweet il 13 febbraio complice Rossella Rasulo che mi ha istruito.
E adesso Instagram. Complice nessuno salvo un paio di dritte di Settimio Benedusi.
Non ho idea se ce la faccio. Sono molto franco, io non uso giri… mi sembra tutto un circo. Per fortuna gli animali siamo noi.
Almeno questo lo risparmiamo alle altre specie.
Finché si trattava del solo Facebook potevo reggere, anche perché io sono un punk di prima generazione… mi affeziono alle cose che capisco. Le altre le rifiuto. Di Twitter capisco poco, mi sembra un soliloquio. Più utile forse. Ma mi è emotivamente distante. Almeno per ora.
Instagram è invece faccenda molto seria. Non entro nel merito della menata dei diritti ecc. ecc… chi se ne frega, al momento.
Prima ero estraneo e non ci pensavo. Adesso ci penso eccome!
Perché sono un fotografo inattuale. Uno che dell’attualità non sa che farsene… non mi dice niente che io non veda. Mentre a me, in fotografia, interessa ciò che non si vede. E che per prendere forma e voce ha bisogno di me. Nel pieno delle mie facoltà.
Tante o poche che siano, purché mi riconosca.
Si dice che Instagram sia la Polaroid attuale. Non è vero.
In che cosa differisce da qualsiasi altra fotografia realizzata col cellulare? Nella sostanza in niente. Quindi anche qualsiasi altro sistema, organizzato o meno in forma social, potrebbe rivendicare l’attributo.
Instagram ha a che fare con la Polaroid solo perché è istantanea.
E usa una gabbia quadrata. Ma c’è chi si sta già lamentando.
Mentre però le pola si confrontavano con un istante dilatato e molto personale, le instagram click trovano ragione di vita nell’omologazione di un format immediatamente mediatico che ha raggiunto 100 milioni di utenze. Utenze…
In questo forse è davvero l’instant per eccellenza.
Su La Stampa.it del 28 febbraio leggo: Unisce la macchina fotografica e la camera oscura, illude ogni utente di essere il nuovo Henry Cartier-Bresson…
A parte l’illusione bressoniana e il rapporto con l’istante, che ci sarebbe da dire tanto ma non adesso, il tema della cosiddetta camera oscura è rilevante.
La serie di filtri che accompagnano l’applicazione sono ”la camera oscura”. A furia di parlare come conviene al marketing finisce che ci si crede. In realtà ‘sti filtri sono semplicemente degli applicativi di effetti. Che hanno lo scopo di rendere accattivante lo scatto originale. E qui siamo al punto.
Accattivante, cioè mediaticamente commestibile… che ammicca al gusto degli adepti. Questo ci permette di accumulare seguaci. Proprio così, seguaci.
Se questo è lo scopo nulla da dire. Se il riconoscimento mediatico è il fine, nulla da dire.
E ognuno faccia come preferisce o fervidamente crede.
In questi pochissimi giorni di praticantato mi son fatto un po’ di giri trasversali, quasi a caso, in varie bacheche… o gallery, o album, chiamatele come volete e salvo alcune immagini mi sembrava di essere finito in un fumetto, comics insomma. Sembrava di essere tornati indietro di un quinquennio, anche di più, tra saturazioni, desaturazioni, contrastoni, effettoni modello Photoshop Elements.
Roba un po’ vecchia a dire il vero… passata.
Poi ogni tanto appariva qualcosa che mi riconciliava.
Che mi ha fatto venire la voglia di esserci.
E che ha davvero a che fare con l’unica idea che ho di fotografia, che è indipendente dal mezzo che uso.
Quindi la sfida, poco remunerativa mediaticamente, mi affascina.
Non sono declinabile per Instagram.
Piaccia o meno, io Normal. Al massimo Inkwell.

Instagram Camera Oscura.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Ci sei o ci fai

Mio padre e io, 1962 © Efrem Raimondi. All rights reserved.

Io faccio il fotografo. Se lo sono o meno non mi riguarda.
Sembra esserci una distinzione sottilissima, o addirittura zero… invece il solco è profondo.
E ampio, perché distingue un atteggiamento.
C’è chi fotografo si sente. E lo dichiara. Ma non lo è.
Produrre dei file non significa niente… non qualifica nessuno.
Non fa mestiere. Perché fare il fotografo ha anche a che fare col mestiere.
E non solo col gesto.
Ed anzi il gesto è tanto più incisivo quando non si limita all’episodio.
Il gesto in sé può anche essere grande ma se non ha supporto, non ha continuità espressiva, è isolato. E tale resta.
E questo vale anche se ci si appiccica l’etichetta Artista… che poi mica ho mai capito la differenza. Spesso anzi mi induce un sospetto.
California Dreamin’ è canzone immortale: sono cinquant’anni che scorrazza sulle frequenze radio di tutto il mondo.
Ma qualcuno ricorda cos’altro hanno inciso i Mamas and Papas?
Gli è andata di culo. Tutto qui. Forse in molti farebbero cambio… di gran culo, quindi.
Oliviero Toscani, mi sembra, poneva una domanda: ma fai o sei fotografo?
Sottintendendo che esserlo vale molto più che farlo. Sottintendendo che esserlo è in qualche modo attributo nobile, a differenza dei manovali della fotografia, quelli cioè che dichiarano semplicemente di farlo. E che in tal modo non fanno coincidere la propria intimità col proprio lavoro (quasi una parolaccia), che resta separato.
Mi pare recitasse più o meno così il salmo.
Io non riconosco il bivio. Non mi frega niente della distinzione.
E il livello di nobiltà lo misuro non attraverso un titolo o una dichiarazione d’intenti ma per ciò che vedo. Sia della persona che del prodotto.
In quest’epoca zeppa d’immagini simili a pallottole a salve, cos’è che davvero va a segno?Cos’è che si può fare? In che modo un’immagine, basta vederla, si dichiara tua?
L’altra sera, presentando (ancora, sorry…) TABULARASA, il libro su Vasco Rossi, Toni Thorimbert rispondeva a una domanda (cazzo mi ha anticipato! ma io coincido) dicendo ”Io faccio sempre la stessa foto”.
Questa è la differenza. Questo è ciò che pensa e produce chi fa il fotografo. E che non si preoccupa di trend e di posizionamento, e comunque mai a scapito della fotografia che gli appartiene.
Che è una perché ha a che fare con una matrice facilmente individuabile: te stesso. E qui sì che le cose coincidono.
Perciò se fotografi, fotografa! Non interroghiamoci continuamente sul senso di ciò che facciamo, fotogramma per fotogramma: il linguaggio si misura su una frequenza più lunga e ampia della singola immagine.
Se fai lo scrittore, scrivi! Non puoi su ogni riga impiantarti alla ricerca di qualcosa che non trovi. O che ti pare migliorabile. Alla fine si vedrà. E si vede sempre.
Facendo il fotografo e non preoccupandomi dei quarti di nobiltà, non trovo di per sé distintiva neanche la rivista per la quale lavoro, o il cliente in genere: quello che mi frega davvero è che le immagini vengano rispettate. Che non subiscano traumi tali da renderle innocue… scariche… a salve insomma.
Come avere sempre un bel muro bianco davanti, al quale attaccare il proprio racconto.

Romano Ragazzi, 1985 © All rights reserved.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

Pleine mer: l’inferno.

2001 © Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

Quando sono stanziale mi iscrivo alla biblioteca locale.
Adesso è un vezzo dato che non leggo più.
Nel 2002, non ricordo il periodo, nella piccola biblioteca di St. Jean-Cap Ferrat, nella Francia che se la tira, a ragione (ma io sono dotato di uno snobismo che mi preserva), incappo in questo straordinario libro di Jean Gaumy, fotografo Magnum.
Rimango folgorato: un viaggio dentro l’inferno di un mare senza ombrelloni… un reportage esattamente per come lo intendo. Di una potenza che lascia senza fiato.
Con qualche parola balbettata al cospetto di questo bianco e nero vero. Anzi verissimo.
Ma è meglio il mutismo di fronte a questa fotografia.
Per cui mi limito a segnalarlo ai pochi che non lo conoscono.
È di pesca in mare aperto, apertissimo, che si racconta.
Su pescherecci aperti anche loro. In balia di tutto, mica quei supermarket di adesso, che neanche per sbaglio ti centra uno schizzo di mare.
Quattordici anni di lavoro: dal 1984 al 1998. Dentro un girone dantesco.
La mia passione per questo lavoro di Jean Gaumy è mutuata dalla grande, difficilissima, semplicità. Che ce l’hai o no.
E non c’è effetto, sbattimento o accanimento digitale che te la dia.
Questa è l’edizione francese, Éditions de La Martinière, dato che mi sono catapultato lo stesso giorno in una libreria di Nizza… non potevo aspettare.
L’edizione italiana c’è, Contrasto Editore, acquistabile anche on line:
http://www.contrastobooks.com/Catalogo/Mare-Aperto.html
Non può mancare. Secondo me.

276 pagine per 120 immagini più diari di bordo, mappe e appunti. Formato 24 x 29,5 cm.

© Efrem Raimondi. All rights reserved.

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière

© Jean Gaumy/Éditions de La Martinière